E SOLO CON LA MIA CHITARRA VADO ALL’APPUNTAMENTO

 e solo con la mia chitarra vado all'appuntamento

 

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Quando Johnson cominciò a cantare, fu come uno che fosse

uscito dalla testa di Zeus già coperto dall’armatura.

Immediatamente posi una differenza tra lui e chiunque altro

avessi ascoltato fino ad allora. Le canzoni non erano dei tipi-

ci blues.

Erano pezzi portati alla perfezione.

Ogni canzone era fatta di quattro o cinque strofe, ogni distico

collegato al successivo senza che il legame risultasse troppo

ovvio.

Erano straordinariamente fluide.

 

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Al primo ascolto andavano via veloci, troppo veloci per riusci-

re ad afferrarle. In fatto di gamma espressiva e di soggetto co-

privano tutto il terreno che si poteva immaginare, brevi strofe

pungenti che alla fine creavano una sorta di storia panoramica.

I fuochi dell’umanità si alzavano dalla superficie di quel pezzo

di plastica ruotante.

La voce e la chitarra di Johnson risuonavano nella stanza e io

mi ci sentivo immerso. Non capivo come avrebbe potuto esse-

re altrimenti.

Ma Dave non lo era.

 

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Ripetutamente mi fece notare che questa canzone viene da

quest’altra e che una era l’identica replica di un’altra.

Non pensava che Johnson fosse molto originale.

Capivo il suo punto di vista, ma per me era tutto il contrario.

Ero convinto che Johnson fosse assolutamente originale, e che

né lui né le sue canzoni potessero essere paragonate a nient’alt-

ro. 

Dave pensava che Johnson andasse bene, avesse una certa forza,

ma fosse un imitatore. Era inutile discutere con Dave, non sul

piano intellettuale e musicale…in ogni caso! 

 

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…Lasciai che Dave tornasse al suo giornale, gli dissi arrivederci

e rimisi l’acetato nella busta di cartone bianco. Non era una co-

pertina stampata. L’unico segno di identificazione era scritto a

mano sul disco stesso e riportava semplicemente il nome, Robert

Johnson, e la lista delle canzoni.

Lo stesso disco che non aveva catturato l’attenzione di Dave più

di tanto aveva lasciato me stordito, come se fossi stato colpito

da una pallottola al sedativo. Più tardi, nel mio appartamento

sulla 4th Street, lo misi sul giradischi e me lo ascoltai da solo.

Non volevo farlo sentire a nessun altro. 

 

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Nelle settimane successive lo ascoltai ripetutamente, incisione

dopo incisione, canzone dopo canzone, seduto a fissare il gira-

dischi. E ogni volta mi sembrava che uno spettro mi entrasse

nella stanza, un’apparizione paurosa.

Le canzoni erano costruite con una sorprendente economia di

versi. La presenza di Johnson mascherava quella di altri venti

uomini. Mi concentrai su ogni canzone, chiedendomi come

avesse fatto Johnson. Scrivere canzoni per lui era una faccenda

estremamente sofisticata. 

Le composizioni sembravano uscirgli dalla bocca, non dalla

memoria, e io cominciai a meditare sulla costruzione delle

strofe, constatando come erano diverse da quelle di Woody. 

 

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Le parole di Johnson mi facevano vibrare i nervi come corde

di pianoforte. Erano elementari in fatto di significato e di sensa-

zione e insieme rivelavano tutto il quadro interiore.

Non è che si potesse isolare con cura ogni momento, perché

non si può. Mancano troppi termini e l’esistenza è troppo du-

plice. Johnson fa a meno di descrizioni noiose sulle quali altri

autori del blues avrebbero scritto intere canzoni.

 

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Non c’è garanzia che uno qualunque dei suoi versi sia acca-

duto, sia stato detto, o anche immaginato. Quando canta di

ghiaccioli che pendono da un albero mi fa venire i brividi, o

quando dice del latte che diventa blu…

Mi dava nausea e invidia e non avevo idea di come facesse…. 

(Bob Dylan, Chronicles)

 

 

 

 

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E SOLO CON LA MIA CHITARRA VADO ALL’APPUNTAMENTOultima modifica: 2012-01-04T12:00:00+01:00da giuliano106
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