(la casa) DEGLI SCHIAVI (5)

Precedenti capitoli:

la casa (degli schiavi) (4)

stregoni & asimmetrie: …. non sono Mozart (4)

storia universale dell’infamia: Gang & Teatri (18)




 

degli schiavi









Oltre alla cultura, anche un’affiliazione linguistica lega

queste popolazioni, come i Tem, Lobi, Kurumba, Senufo,

Dogon, e altri….

In ogni caso, la regione della ricerca (delle radici del blues)

di Oliver può anche essere estesa orizzontalmente sulla

mappa per includere a ragione l’intera cosiddetta fascia su-

danica centrale e occidentale.

Un numero considerevole di individui di tutte queste aeree –

spesso provenienti da piccoli gruppi etnici inermi delle mon-

tagne – vennero deportati in schiavitù con la forza e l’arro-

ganza – .

Alcuni di questi gruppi sono classificati nella letteratura et-

nografica come ‘Antiche culture negritiche’ sin da quando

Bernhard Ankermann introdusse e Hermann Baumann defi-

nì tale terminologia, indicando come probabile il fatto che

questa gente discendesse dai coltivatori di miglio residenti

nelle stesse aree per diverse migliaia di anni.

Nella Nigeria nord-orientale ancora nel 1963, allorché esplo-

rai l’area tra Yola e Toungo, c’erano gruppi, come i poco noti

Zanganyi, che si nascondevano in aree montuose inaccessibi-

li per paura delle incursioni degli schiavisti.

Contrariamente a quanto è stato sostenuto più e più volte,

la tratta degli schiavi non si estese nell’entroterra della costa

africana per sole 100 miglia; al contrario, lanciò le sue reti nel-

le regioni interne dell’Africa, specialmente durante il tardo 

XVIII ed il primo XIX secolo.

Ciò fu magnificamente dimostrato da Sigismund W. Koelle

nella sua ricerca degli inizi del XIX secolo sulle lingue parlate

dagli schiavi liberati a Freetown, in Sierra Leone. In quella che

fu la prima indagine sistematica sulle lingue africane, Koelle

elencò nomi come Jupa, Dipo, Gbari, Kakanda, Basange, Ebe,

Igbira-Panda e Igbira-Hima che, a volte, non compaiono nean-

che nelle mappe linguistiche moderne.

Gli ex-schiavi, di cui Koelle studiò le lingue a Freetown, in

Sierra Leone, erano stati condotti lì su navi britanniche che ar-

rembavano le navi schiaviste di altre nazionalità che passava-

no a nord dell’equatore. Molte di queste navi venivano ferma-

te al largo della costa di Guinea.

In ogni caso, alla estensione più occidentale del continente c’-

era uno sbocco commerciale controllato dalla Francia vicino

a Dakar, Senegal, di grande importanza strategica per la tratta

transatlantica degli schiavi: l’Ile de Gorée. St. Louis, a nord di

Dakar, fu fondata nel 1638 e dal XVIII secolo in poi l’isola di

Gorée, circa a 3 chilometri al largo della terraferma nei pressi

di Dakar, venne coinvolta nella tratta degli schiavi.

Cambiò spesso proprietario fin quando, nel 1817, cadde sotto

il dominio francese. Molto del suo passato è conservato nel

museo storico situato in Rue Malvois. Non lontano da lì, su

quest’isola totalmente priva di traffico automobilistico, c’è la

‘casa degli schiavi’ dove sono ancora visibili (e udibili…) le

celle in cui gli schiavi (ed i loro aguzzini) venivano rinchiusi

per settimane prima di essere imbarcati per le destinazioni

del Nuovo Mondo.

Senza dubbio molta gente proveniente dal Mali, dal Senegal,

dalla Guinea e da altri posti che venne trasportata in America

del Nord via New Orleans deve essere passata attraverso que-

sto ‘monumento dell’infamia umana’, fra cui anche il nostro..

Buddy…..





 

degli schiavi


STORIA UNIVERSALE DELL’INFAMIA: il brigante Musolino visto da Cesare Lombroso (11)

Precedente capitolo:

storia universale dell’infamia (10)

Prosegue in:

storia universale dell’infamia (12)

Da:

i miei libri

 

 

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E’ noto in qual modo sia stato arrestato il già troppo celebre

brigante Musolino, pel quale era indetta una taglia di 50.000

lire e furon messi in moto fin 1000 tra soldati e carabinieri;

ederansi esauriti tutti gli espedienti – dell’agguato, del ricatto,

della donna ammaliatrice, perfino dell’oppio – e speso più di

un milione.

 

Giuseppe Musolino.jpg

 

E’ stato colto proprio quando le ricerche cominciavano ormai

a rilassarsi, quando ormai erano state rimandate le guardie e

la truppa, tranne i carabinieri.

Il merito dell’arresto non si dovette invero ad alcuna delle ar-

mi della pubblica sicurezza, poiché fu preso dai carabinieri in

iscambio di non so qual malvivente nei dintorni di Cagli, a qua-

si mille chilometri dal suo paese e, soprattutto, grazie ad un filo

di ferro da cui erano sostenute delle viti, il quale impedì al ban-

dito di sfuggire loro a tempo con la sua solita velocità.

 

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Un merito solo, però, ebbe l’autorità: quello di aver perseguitato

senza tregua parenti, amici, favoreggiatori di tutti i gradi, per

modo da rendergli impossibile la dimora nel vecchio nido.

Finché era difeso dalle roccie, dai boschi e soprattutto dalle sim-

patie vivissime dei compaesani, egli era assolutamente impren-

dibile.

Pur essendo un delinquente nato, per quanto attenuato dalla

sua intelligenza, accenniamo alla sua biografia pur sempre di

un criminale. Istinto feritore e

 

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vendicativo, fino alla prima giovinezza, dagli 11 anni ai 21, com-

mise violazione di domicilio, porto d’armi e reati di violenza, e fe-

rimento contro il proprio padre, che lo fecero severamente ammo-

nire e che l’avevano messo a capo della maffia del suo paese; una

inettitudine a continuato lavoro, mentre con la sua agilità e forza

avrebbe potuto guadagnar molto come boscaiolo; per l’incoscien-

za completa, ch’egli mette nei reati spesso da lui anzi considerati

come un dovere, e che mescolandosi a quella specie di megaloma-

nia, così frequente nei criminali-nati, giungeva al punto di fargli

chiedere al prefetto, prima di consegnarsi, il permesso di freddare

due nemici che gli erano fuggiti di mano.

 

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Fu detto che egli non era un vero delinquente perché aveva rispar-

miato parecchi carabinieri – che egli avrebbe potuto colpire in ag-

guato – e perché qualcuno dei pretesi suoi nemici non colpiva mor-

talmente, ma alle gambe, misurando, si potrebbe dire, con una giu-

stizia barbarica, ma misurando la pena; se non che ciò si spiega per

quella intermittenza e contraddizione degli istinti, che è speciale

appunto agli epilettici; e così, mentre conservava amorosamente

un ciuffo dei capelli della zia Filasto e mentre pare così amoroso dei

suoi, specie delle sorelle, quando il Raffo tentò persuaderlo a presen-

tarsi per poter liberare i suoi parenti per causa sua incarcerati:

Lasciateveli marcire, rispose, io voglio essere libero.

 

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Il fatto, però, è che uccise anche delle donne, solo perché erano vicine

ad uno dei pretesi suoi nemici, come la Crea, che nulla gli aveva fatto

di male; e ammazzò Marte dinanzi ai suoi parenti, incrudelendo, in

compagnia di altri due banditi, su lui agonizzante, dopo avergli pro-

messo di perdonare un tentativo di tradimento e dopo aver mangiato

insieme delle frutta; e non solo uccise il fratello dello Zoccolo pel solo

fatto di essere suo fratello, ma sparò più volte sul suo cadavere, messo

a bersaglio contro il muro, e immerse le mani nelle sue viscere sangui-

nanti.

Il fatto è che di 24 fra omicidi o tentati omicidi, non una volta egli sen-

tì rimorso; e che se egli beneficò di 10 lire una povera ragazza che egli

aveva parlato bene di lui non conoscendolo, sono di quei tratti di ge-

nerosità che usano sempre tutti i banditi – Buffaleri, per esempio – per

farsi perdonare dagli uni i delitti contro gli altri, regalando sempre del

danaro che non costa loro nulla.

La vanità e la megalomania di Musolino hanno per contenuto la fede

d’esser un onesto giudiziere, ordinariamente, si dilunga a far l’apologia

di sé medesimo, a dettare le sue memorie.

Ha fede così profonda nella sua onestà, o meglio è così invasato dalla

sua artificiosa personalità novella, che crede e spera davvero di otte-

nere la grazia reale, e non fa che domandare di telegrafare e scrivere

al Re; al comm. Doria, che gli rimproverava di avere ucciso un cara-

biniere che faceva il suo dovere, risponde:

Anch’io avevo un dovere da compiere!

Accusato di violenza e di rapine, esclama:

Mi sarei ucciso se avessi rubato o violentato!

Spesso diceva, con la soddisfazione dell’uomo virtuoso:

Sono un galantuomo!

(C. Lombroso, Delitto, genio, follia)

 

 

 

 

 

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STORIA UNIVERSALE DELL’INFAMIA (10): un business che spara

Precedenti capitoli del business:

un business che spara (1)

un business che spara (2)

un business che spara (3)

un business che spara (4)

storia universale dell’infamia: un business che spara (9/5)

Precedenti capitoli dell’infamia:

storia universale dell’infamia: la ‘maffia’ (8)

Prosegue in:

storia universale dell’infamia (11)

 

 

 

 

un business che spara 6

 

 

 

 

 

 

…..Gli occhiali primitivisti e ruralisti indossati dalla maggior

parte degli osservatori sono i principali responsabili del fatto

che ci stupiamo per la presenza sin dal dopoguerra di mafiosi

sulle rotte del contrabbando internazionale dei tabacchi o nel

commercio della droga con destinazione Stati Uniti.

Lo scambio transoceanico rappresenta uno dei caratteri fon-

danti della storia che qui si narra, innanzitutto con l’esporta-

zione agrumaria senza la quale non esisterebbero la mafia

dei giardini stessi.

Proprio nascosti nelle casse di agrumi, oppio e morfina viag-

giano da Palermo a New York negli anni venti, in quantità

tali da provocare per rappresaglia una serie di restrizioni

commerciali da parte americana.

Ma con lo scambio delle merci si intreccia quello delle perso-

ne, con l’emigrazione d’inizio secolo e successivamente, pur

se i flussi si vanno riducendo.

Continuano tra gli altri a valicare l’oceano personaggi come

Calogero Orlando, nato a Terrasini nel 1906, partito da Detroit

nel ‘ 22 con 400 dollari, tornato nel ‘ 28 con 800 dollari, e poi

arricchitosi, nel corso di un continuo viavai tra America, Sici-

lia e Spagna, con l’import-export di olio e formaggi, con la fab-

bricazione e il commercio di sardine e acciughe salate; alme-

no a suo dire, perché secondo la polizia invece la merce che

tratta è droga.

 

un business che spara 6

 

Si ricordi che negli anni trenta Lucky Luciano importa già

stupefacenti dall’Europa, forse attraverso personaggi come

Pietro Davì detto Jimmy l’americano, ritornato dagli Stati

Uniti nel ‘ 34 e già nel ‘ 35 arrestato a Milano per questo lo-

sco traffico; che nel ‘ 50 ritroviamo quale importatore di

morfina dalla Germania (attraverso canali insospettabili).

Ma qui siamo già dopo la guerra, quando è l’America a ve-

nire in Italia con il piano Marshall e gli ‘indesiderabili’.

Il principale tra questi è proprio Luciano, scarcerato nella

patria d’origine dopo un’oscura trattativa con il suo ex

persecutore, il senatore Thomas Dewey.

E’ certamente lui a riaprire il gioco, prima sfruttando il ‘fi-

lone aurifero’ rappresentato dalle industrie farmaceutiche

del Nord Italia da cui trae la materia prima; poi stringendo

rapporti con i raffinatori marsigliesi.

Dopo averlo liberato, gli americani sembrano ossessionati

da colui che considerano ‘re o almeno membro della fami-

glia reale’ di un traffico che sfocia tutto nel loro paese; da

qui le proteste contro le autorità italiane accusate di non

prestare attenzione alle sue attività.

In effetti gli italiani si dimostrano restii a mettere in moto

una macchina investigativa atta a seguire i complessi giri

della droga.

Luciano è un tranquillo uomo d’affari straniero; affari for-

se illegali ma comunque innocui per l’Italia dove non si

producono né si consumano stupefacenti….

(S. Lupo, Storia della mafia)

 

 

 

 

 

 

un business che spara 6

STORIA UNIVERSALE DELL’INFAMIA (4)

Precedente capitolo:

storia universale dell’infamia (3)

Prosegue in:

storia universale dell’infamia (5)

Da:

Frammenti in rima

 

 

 

storia universale dell'infamia 4

 

 

 

 

 

 

….E cani; case da gioco cinesi; donne come la più volte

vedova Red Norah, amata e ostentata da tutti i maschi

che capeggiarono la banda dei ‘Gophers’; donne come

Lizzie the Dove, che si vestì a lutto quando giustiziaro-

no Danny Lyons e morì sgozzata da Gentle Maggie, che

le contese l’antico amore dell’uomo morto e cieco; tumul-

ti come quello di una settimana selvaggia del 1863, allor-

ché le bande incendiarono cento edifici e per poco non si

impadronirono della città; risse di strada in cui l’uomo

scompariva come nel mare perché lo calpestavano fino

a ucciderlo; ladri e avvelenatori di cavalli come Yoske

Nigger – intessono questa caotica storia.

Il suo eroe più famoso è Edward Delaney, alias William

Delaney, alias Joseph Marvin, alias Joseph Morris, alias

Monk Eastman, che fu a capo di 1200 uomini…

Queste finte graduali (angosciose come un gioco di ma-

schere in cui non si sa più chi è chi) omettono il suo ve-

ro nome – sempre che osiamo pensare che ci sia al mon-

do qualcosa di simile.

Sta di fatto che all’anagrafe di Williamsburg, a Brooklyn,

il suo nome è Edward Ostermann, poi americanizzato in

Eastman. Cosa strana, questo furfante burrascoso era …

ebreo.

Era figlio del padrone di uno di quei ristoranti che annun-

ciano ‘Kosher’, dove uomini dalle rabbiniche barbe posso-

no dirigere senza pericolo la carne dissanguata e tre volte

purificata di vitelli secondo le regole.

A diciannove anni, verso il 1892, aprì un negozio di uc-

celli con l’aiuto del padre. Osservare la vita degli animali,

contemplare le loro piccole decisioni e la loro imperscru-

tabile innocenza fu una passione che lo accompagnò sino

alla fine.

Nei successivi periodi di splendore, quando rifiutava sde-

gnosamente i sigari dei lentigginosi ‘sachems’ di Tamma-

ny o faceva il giro dei migliori bordelli in una precoce au-

tomobile che sembrava la figlia naturale di una gondola,

aprì un secondo e finto negozio che ospitava cento gatti

di razza e più di 400 colombe – che non erano in vendita.

Li amava individualmente ed era solito passeggiare a

piedi per il quartiere con un gatto felice in braccio e altri

che lo seguivano avidi.

Era un uomo rovinoso e monumentale.

Il collo era corto e taurino, il petto inespugnabile, le brac-

cia lunghe e bellicose, il naso rotto, il volto istoriato e tut-

tavia meno importante del corpo, le gambe storte come

quelle di un cavallerizzo o di un marinaio.

Poteva fare a meno della camicia come pure della giacca,

ma non di una piccola tuba tronca sulla testa ciclopica.

Gli uomini se serbano il ricordo.

Fisicamente, il gangster convenzionale dei film è un’imi-

tazione di Eastman, non dell’ambiguo e flaccido Al Capo-

ne. Si dice che a Hollywood abbiano fatto lavorare Wolh-

eim perché i suoi lineamenti richiamavano immediata-

mente quelli del compianto Monk Eastman…..

(Prosegue ……)

 

 

 

 

 

 

storia universale dell'infamia 4

 

STORIA UNIVERSALE DELL’INFAMIA (2)

Precedente capitolo:

storia universale (dell’infamia)

Prosegue in:

storie d’oltre confine

Da:

Frammenti in rima

 

 

storia universale dell'infamia 2

 

 

 

 

 

 

 

I cavalli rubati in uno Stato e venduti in un altro furono solo

una disgressione nella carriera criminale di Morell, ma pre-

figurarono il metodo che ora gli assicura un degno posto in

una Storia Universale dell’Infamia.

Metodo unico non solo per le circostanze sui generis che lo

determinarono, ma anche per l’abiezione che richiede, per il

funesto sfruttamento della speranza e per l’evolversi gradua-

le, simile all’atroce dipanarsi di un incubo.

Al Capone e Bugs Moran agiscono con illustri capitali e con

un mitra in una grande città, ma il loro operato è volgare.

Si contendono un monopolio, tutto qui….

 

storia universale dell'infamia 2

 

Quanto a uomini, Morrel arrivò a comandarne un migliaio,

tutti vincolati da giuramento. 

Duecento di loro componevano il Gran Consiglio, e gli altri

800 eseguivano gli ordini che questo promulgava.

Il rischio toccava ai subalterni.

In caso di ribellione venivano consegnati alla giustizia o get-

tati nel fiume impetuoso di grevi acque, con una pietra assi-

curata ai piedi.

Spesso erano mulatti.

La loro scellerata missione era la seguente:

Percorrevano – con qualche effimero lusso di anelli, per incu-

tere rispetto – le vaste piantagioni del Sud. Individuavano un

negro disperato e gli offrivano la libertà. 

Gli dicevano di fuggire dal suo padrone, così che loro potessero

venderlo una seconda volta in qualche tenuta lontana. Allora gli

avrebbero dato una percentuale sul prezzo della vendita e l’avreb-

bero aiutato a evadere di nuovo.

Poi lo avrebbero portato in uno Stato libero.

 

storia universale dell'infamia 2

 

Denaro e libertà, sonanti dollari d’argento e insieme la libertà:

quale più forte tentazione?

Lo schiavo azzardava la prima fuga.

La via naturale era il fiume.

Una canoa, la stiva di un battello a vapore, una scialuppa, una

zattera vasta come un cielo con un capanno a un’estremità o al-

te tende di iuta; non aveva importanza il luogo, ma sapersi in 

movimento, al sicuro sull’infaticabile fiume….

Lo vendevano in un’altra piantagione.

Di nuovo fuggiva nei canneti e nelle forre.

Allora i terribili benefattori adducevano vaghe spese e sostene-

vano di doverlo vendere un’ultima volta. A quel punto gli avreb-

bero dato la percentuale sulle due vendite e la libertà.

 

storia universale dell'infamia 2

 

L’uomo si lasciava vendere, lavorava per qualche tempo e nell’-

ultima fuga sfidava il pericolo dei cani da caccia e altri occasio-

nali aguzzini.

Ritornava pieno di sangue, sudore, disperazione e sonno.

Resta da considerare l’aspetto giuridico di questi fatti.

Il negro non veniva messo in vendita dai sicari di Morell sino

a quando il padrone originario non aveva denunciato la fuga

e offerto una ricompensa a chi l’avesse trovato. Allora chiun-

que poteva tenerselo, e la sua ulteriore vendita era un abuso

di fiducia, non un furto.

Ricorrere alla giustizia civile era una spesa inutile, perché i

danni non venivano mai pagati.

Tutto ciò era quanto mai rassicurante, ma non all’infinito.

Il negro poteva parlare; il negro, semplicemente per ricono-

scenza o sventatezza, era capace di parlare. Qualche pinta di

whisky di segala nel postribolo di El Cairo, Illinois, dove quel

figlio di cagna nato schiavo non sarebbe andato a scialacquare

quei soldi che non avevano alcuna ragione di dargli, e avrebbe

rivelato il segreto.

In quegli anni, un Partito abolizionista agitava il Nord, una

schiera di pazzi pericolosi che negavano la proprietà e predi-

cavano la libertà dei negri incitandoli a fuggire.

Morell non si sarebbe lasciato confondere con quegli anarchici.

Non era uno yankee, era un uomo bianco del Sud figlio e nipo-

te di bianchi, e sperava di potersi ritirare dagli affari e vivere 

come un gentiluomo e avere i suoi sacri campi di cotone e le

sue curve file di schiavi.

Con tutta la sua esperienza, non era disposto a correre rischi

inutili.

Il fuggiasco aspettava la libertà.

Allora i foschi mulatti di Morell, si trasmettevano un ordine

che talvolta era solo un cenno e lo liberavano della vista, del-

l’udito, del tatto, del giorno, dell’infamia, del tempo, dei bene-

fattori, della misericordia, dell’aria, dei cani, dell’universo, del-

la speranza, del sudore e….di se stesso. 

(J. L. Borges, Storia Universale dell’Infamia)

 

 

 

 

 

storia universale dell'infamia 2

                

GENTE SCONOSCIUTA

Precedente capitolo:

gente (sconosciuta)

Prosegue in:

Dialoghi con Pietro Autier 2:

14 aprile (una esecuzione) &

gli occhi di Atget:

14 aprile (una esecuzione) (seconda parte)

  

 

 

sconosciuta

 

  

 

 

 

L’auto era ferma su un promontorio dove Perry e Dick

avevano sostato per uno spuntino.

Era mezzogiorno.

Dick scrutò l’orizzonte con un binocolo.

Montagne….

Falchi roteanti in un cielo latteo.

(Avrebbe voluto sparare con il suo fucile, adora il profu-

mo di polvere da sparo….ma soprattutto lo eccita il colpi-

re selvaggina indifesa, come le prede inermi che…).

 

sconosciuta

 

Una strada polverosa che attraversava, serpeggiante, un

villaggio bianco e polveroso.

Era la seconda giornata in Messico, e finora gli era piaciu-

to tutto, perfino il cibo. (In quello stesso momento stava

mangiando una tortilla fredda e unta, se la godeva tutta.).

Avevano attraversato il confine a Laredo, Texas, la mat-

tina del 23 novembre per un fine settimana movimentato,

e trascorso la prima notte in un postribolo di San Louis Po-

tosì.

Ora si trovavano trecento chilometri a nord della tappa

seguente, Città del Messico.

“Sai che penso?” disse Perry. “Penso che ci deve essere

qualcosa di sbagliato in noi due. Per fare quel che abbia-

mo fatto”.

“Fatto cosa?” (noi siamo ragazzi per bene che si vanno

un po’ a divertire fuori confine….).

“Lassù”.

Dick lasciò cadere il binocolo nell’astuccio di pelle, una

lussuosa custodia con le iniziali H.W.C..

Era seccato. Maledettamente seccato.

Perché diavolo Perry non teneva il becco chiuso?

Cristo, a cosa serviva continuare a rivangare quella sto-

ria?

Era veramente seccante.

 

sconosciuta

 

Soprattutto dal momento che si erano accordati, in un

certo senso, di non parlare di quella maledetta faccenda.

Dimenticarla, e basta.

“Deve esserci qualcosa di sbagliato in gente capace di fa-

re una cosa del genere,” insistè Perry.

“Non parlare per me, piccolo,” ribattè Dick.

“Io sono normale”. E se ne era convinto. Si riteneva equi-

librato, perfettamente sano, forse un po’ più furbo dell’-

individuo medio, e basta.

Ma Perry…c’era, a parere di Dick, “qualcosa di sbagliato”

nel Piccolo Perry. A dir poco. Nella primavera preceden-

te, quando erano rinchiusi nella stessa cella, nel Peniten-

ziario di massima sicurezza, aveva imparato a conoscere

molte delle caratteristiche minori di Perry: poteva essere

“come un bambino”, sempre a bagnarsi il letto e a piange-

re nel sonno, e spesso Dick l’aveva visto “starsene seduto

per ore intere a succhiarsi il pollice e a rimirare quelle

maledette, fasulle mappe di tesori”.

Questi erano alcuni lati; ce n’erano altri.

In certe cose il vecchio Perry “ti metteva addosso una

paura d’inferno”.

Il suo carattere, ad esempio.

Poteva montare su tutte le furie “più in fretta di dieci

indiani ubriachi”. Eppure uno non se ne accorgeva.

“Magari era lì lì per farti la pelle (con le mani o il suo

inseparabile fucile), ma non te ne rendevi conto, a

guardarlo o a sentirlo”, aveva detto Dick una volta.

 

sconosciuta

 

Per quanto violenta fosse la sua collera (contro froci

negri ebrei ed altro ancora…), esternamente Perry

rimaneva un giovane duro, freddo, con occhi sereni

e un po’ sonnolenti (come una città tranquilla e sen-

za alcun problema…).

C’era stato un tempo in cui Dick aveva pensato di po-

ter controllare, di poter regolare la temperatura di quel-

le improvvise febbri gelide che bruciavano (il fuoco …

poi era la sua seconda o terza passione, lo adorava…)

e raggelavano l’amico.

Si era sbagliato, e come risultato di questa scoperta si

era sentito molto insicuro sul conto di Perry, non sape-

va bene cosa pensarne. Solo, intuiva che avrebbe do-

vuto temerlo (ed a Perry era la cosa che più lo eccita-

va, provava quasi un orgasmo quando sapeva di in-

cutere paura e terrore…).

 

sconosciuta

 

“Dentro di me”, proseguì Perry, “giù, giù in fondo, non

avrei mai creduto di poterla fare. Una cosa simile”.

Tutte le volte che tornava a casa stanco del suo fine

settimana….così pensava.

“E quel negro?” commentò Dick.

Silenzio.

Dick si accorse che Perry stava fissandolo.

Una settimana prima, a Kansas City, si era rubato un

un paio di occhiali scuri, piuttosto frivoli, con la mon-

tatura argentata e le lenti a specchio, e andava in giro

come fosse un divo del rock.

A Dick non erano piaciuti; aveva dichiarato che si ver-

gognava a farsi vedere in giro con “uno che porta affari

da checca come quelli”.

In realtà ciò che lo infastida erano le lenti a specchio; era

sgradevole avvertire lo sguardo di Perry celato da quelle

superfici colorate e speculari; ma Perry ne andava fiero

si sentiva come un divo o forse come uno…..sceriffo di

quale legge…. Dio solo lo sa……

“Con un negro”, rispose Perry, “è diverso”.

Poi proseguì con il racconto di come aveva ammazzato

picchiandolo a morte un uomo di colore.

“Certo che l’ho ammazzato, e farò così anche con i suoi

amici se ne ha qualcuno…è solo….un….frocio negro”.

(Truman Capote, A sangue freddo)

  

 

 

 

sconosciuta

PENNIWIT L’ARTISTA E BLOYD L’ERETICO (82)

Precedente capitolo:

Negli stessi anni: pedalando verso… (81)

Negli stessi anni: sistemi di allarme  (80)

Prosegue in:

Billy the Kid (il ragazzo nato nella metropoli) (83)

Billy the Kid (il ragazzo nato nella metropoli) (84)

Da:

Frammenti in rima


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Penniwit, l’artista…

 

 

Perdetti la clientela a Spoon River

perché tentai di far entrare il cervello

nella camera oscura

per afferare l’anima della gente.

La miglior fotografia che io abbia mai fatto

fu quella del giudice Somer, procuratore.

Egli sedette ben dritto e mi fece attendere

finché riuscì a raddrizzare l’occhio storto.

Poi, quando fu pronto, disse:

Pronto.

E io gridai:

Respinto

e il suo occhio girò.

E lo colsi come era solito guardare

quando diceva:

Mi oppongo.

 

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Wendell P. Bloyd

 

 

…Cominciarono ad accusarmi di libertinaggio,

non essendoci leggi antiblasfeme.

Poi mi rinchiusero per pazzo,

e qui un infermiere cattolico mi uccise di botte.

La mia colpa fu questa:

dissi che Dio mentì ad Adamo, e gli assegnò

di condurre una vita da scemo,

d’ignorare che al mondo c’è il bene e c’è il male.

E quando Adamo imbrogliò Dio mangiando la mela

e si rese conto della menzogna,

Dio lo scacciò dall’Eden per impedirgli di cogliere

il frutto della vita immortale.

Santo cielo, voi gente assennata,

ecco ciò che Dio stesso ne dice nella Genesi:

‘E il Signore Iddio disse: Ecco che l’uomo

è diventato come uno di noi’ (un po’ d’invidia, vedete)

‘a conoscere il bene e il male’ (la menzogna che tutto sia bene!);

‘e allora, perché non allungasse la mano a prendere

anche dell’albero della vita e mangiarne, e non vivesse eterno;

per questo il Signore Iddio lo scacciò dal giardino

dell’Eden’.

(La ragione per cui io credo che Dio crocifiggesse Suo Figlio,

per uscire da quel brutto pasticcio, è che ciò è propro degno di Lui).

(Edgar Lee Masters, Antologia di Spoon River)

 

 

 

 

 

 

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LA FEBBRE DELL’ORO (78)

Precedenti capitoli:

la febbre dell’oro (77) &

la febbre dell’oro (76)

Prosegue in:

intanto Jesse (lavorava….) (79)

Da:

e tristi accadimenti

 

Frammenti in rima

 

 

 

e tristi accadimenti

 

 

 

 

 

 

Perfino gli indiani delle montagne, selvaggi ed ostili, una volta

penetrati nei loro accampamenti, si mossero a pietà, e invece di

seguire il naturale impulso di infierire contro i bianchi e stermi-

narli, come avrebbero potuto fare con estrema facilità, spartiro-

no con quelle infelici creature le loro provviste, quantunque

scarse.

 

e tristi accadimenti

 

‘Ormai gli emigranti erano così cambiati che quando giunse

la spedizione di soccorso coi viveri, alcuni gettarono da parte

il cibo: a quanto pareva, preferivano la putrida carne umana

che era avanzata.

Il giorno prima che arrivasse la squadra, uno degli emigranti

si portò nel letto un bambinello sui quattro anni, e lo divorò

tutto prima dello spuntar dell’alba; l’indomani non era anco-

ra suonato mezzodì che ne aveva sgranocchiato un altro più

o meno della stessa età’.

La città di Independence sorge a circa sei miglia dal Missouri,

nella parte meridionale, ovvero a sinistra di chi risale il fiu-

me. La campagna circostante è pittoresca e ubertosa; ondu-

lato il terreno. La popolazione conta un migliaio di anime, e

in primavera, quando in quella città si radunano le carova-

ne degli emigrati, sembrano tutti impiegati attivamente e

con profitto.

 

e tristi accadimenti

 

Da alcuni anni è il principale riferimento dei mercanti di

Santa Fe, e non c’è niente che lasci prevedere un cambia-

mento.

Molte delle case attorno alla piazza sono costruite in mat-

toni, anche se la maggior parte degli edifici ha strutture in

legno. Quando arriva la primavera, nell’affacendato via-

vai delle strade si notano frotte di abitanti del Nuovo Mes-

sico e di meticci dalla carnagione scura, con i costumi la-

ceri e lerci.

In genere cavalcano un mulo o un macilento ronzino, ed

hanno un aspetto alquanto scalcinato. Lunghe carovane di

buoi, talora dieci o quindici paia aggiogate, tirano enormi

carri coperti destinati a qualche spedizione a Santa Fè; ar-

rancano per le vie guidati da un branco di mandriani che

schioccano la frusta tra strepiti e schiamazzi.

 

e tristi accadimenti

Pare che in questi viaggi i tiri di buoi siano da preferire ai

muli o ai cavalli. Il prezzo richiesto per ogni coppia si ag-

gira in media intorno ai 22 dollari, e non si può certo dire

che sia una somma ingente.

Le strade sono gremite di buoi messi in vendita dagli a-

gricoltori dei dintorni, ma sono pochi gli esemplari in

buone condizioni o ben ammaestrati; in compenso si trat-

ta per lo più di bestie giovani, in grado pertanto di fare

notevoli progressi.

Chi avesse in programma un viaggio attraverso pianure

e montagne, si rammenti di scegliere bestie giovani e di

taglia media, anziché animali vecchi e pesanti….e di non

confondere come sovente succede, l’oro con la(……) del-

le bestie dette….

(Guida del cercatore d’oro della California)

 

 

 

 

e tristi accadimenti

 

…. POI ARRIVERAI ALLE MINIERE… DELL’ORO (63)

Precedente capitolo:

poi arriverai alle miniere…. dell’oro (62)

Prosegue in:

pionieri e nativi: ricorso in appello (64)

pionieri e nativi: ricorso in appello (65)

Da:

i miei libri & blog

 

 

poi arriverai alle miniere dell'oro 63

 

 

 

 

 

 

Nel 1849, quando i cercatori d’oro passavano

attraverso il nostro villaggio di Hannibal, mol-

ti degli adulti presero la febbre dell’oro, e la pre-

sero, credo, tutti i ragazzi….

 

poi arriverai alle miniere dell'oro 63

 

Nel giorno di vacanza del sabato, d’estate, pren-

devamo a prestito delle barche di proprietari as-

senti, discendevamo il fiume per tre miglia fino

alla valle delle grotte, e lì prendevamo possesso

di un pezzo di terra e fingevamo di estrarre l’oro,

 

poi arriverai alle miniere dell'oro 63

 

ricavandone, dopo il dovuto (ma non tutte le mi-

niere sono come quelle di Hannibal, ve ne sono

talune…dove purtroppo regna il malaffare dei

nominati castas, non sono casti come in apparen-

za appaiono ma…..), in seguito due o tre volte di

 

poi arriverai alle miniere dell'oro 63

 

più quanto ottenuto da principio, infine….intere

fortune, man mano che la nostra fantasia e il no-

stro Buon Dio Straniero per quella Chiesa….ci per-

metteva di comprendere il lavoro dei ‘detti saggi’:

uomini sulla superficie terrestre….che…..

 

poi arriverai alle miniere dell'oro 63

 

Giocavamo senza minimamente sospettare la real-

tà, l’ingorda e falsa realtà che regnava in superficie,

o meglio gli inganni, tutti gli inganni….

Ebbene, a parte ciò, quella valle e tutte le colline cir-

costanti erano fatte d’oro (e noi lo trovavamo sem-

pre…., non loro…noi….).

 

poi arriverai alle miniere dell'oro 63

 

Lo scambiavamo per terriccio.

Lasciammo il ricco segreto nel suo pacifico possesso

e crescemmo nella povertà più assoluta e vagammo

per il mondo sudandoci il nostro pane (noi di certo

non lo rubavamo…): e questo perché (dicevano……)

non avevamo il dono della profezia (sì….dicevano

anche questo… , loro lo avevano grazie alle strane

virtù di ancor più strani bigliettini…. Sopra a noi sul-

la superficie della stessa Terra…).

 

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Per noi quella regione era tutta di pietra e terra, ep-

pure non doveva che essere macinata e trattata scien-

tificamente per divenire oro.

Vale a dire che l’intera regione era una cava di cemen-

to (non vi era terra…); e attualmente vi si fabbrica il

miglior Portland (..ma non solo quello…), 5000 fusti al

giorno, con un impianto che costa 2.000.000 di $.

 

poi arriverai alle miniere dell'oro 63

 

Per concludere, parecchi anni fa’ mi giunse un tele-

gramma da Hannibal, che diceva che la grotta di Tom

Sawyer stava per essere macinata per farne cemento,

poi scambiata con altra polvere bianca…strana: io non

volevo parlarne in pubblico mi sembra scorretto poi

quelli che lo fanno……

(Twain, Autobiografia)

 

 

 

 

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