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lo specchio dei tempi:… Harbin (13)
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(lo specchio dei tempi: Harbin….)
Un grande silenzio segue le ultime parole del vecchio
generale.
Sulle anime e sulle ubbriachezze grava il peso di tutti
quei mille e mille morti rimasti nella neve. Poi da uno
dei tavoli si alza una voce ed intona un canto. Tutti i
cosacchi balzano in piedi a far coro.
E’ un canto nazionale cosacco: il ‘Sagustie Kazaki’: un
po’ religioso, un po’ guerriero, un po’ barbaro: straordi-
nariamente forte.
Il vecchio generale lo ascolta in piedi, la mano alla fron-
te, nel saluto militare. Un soffio di poesia rinfresca e no-
bilita la taverna miserabile nella quale agonizza – grot-
tesca e dolorosa – una epopea.
Nel frattempo era entrata nella taverna una giovane
donna – bellissima – e s’era seduta al tavolo della vec-
chia dei ceci.
Non doveva avere più di vent’anni.
Una di quelle straordinarie bellezze bionde che si tro-
vano nei vicoli di Harbin.
– Ballaci qualche cosa, Maruscka!
le dice qualcuno quando il coro è terminato e le ani-
me sono tutte sospese verso l’Infinito.
– Ho altro per la testa che ballare, Vassili!
risponde la ragazza.
– Maestro, la ‘Glàsaia’,
chiedono parecchi.
Il pianista attacca il pezzo sulla tastiera gialla e sdentata
che pare anch’essa un frantumo di guerra e di rivoluzio-
ne.
Una donna che sta tutta raggomitolata in un angolo, can-
ta per conto suo la canzone senza abbandonare il suo an-
golo né il suo raggomitolamento. Ha una voce calda e dol-
ce, con alcune note basse, aspre e dolenti.
Dinanzi le fuma un piatto di cavoli lessi, tra due bottigliet-
te di vodka, già vuote.
Di scatto, Màruscka s’alza, si strappa il cappello che libe-
ra una formidabile capigliatura bionda tutta ricci e baleni,
si punta le mani sui fianchi con un gesto mezzo lascivo
mezzo guerriero, e fra gli applausi generali attacca la dan-
za classica cosacca.
E’ una danza di maneggio e di steppa che in certi momen-
ti ha il ritmo dei trotti cadenzati ed in altri l’impeto dei
galoppi a tutta briglia.
La danza strappa agli avventori urla selvagge di entusia-
smo. Altre bottiglie finiscono in pezzi sotto le gambe dei
tavoli.
– Viva Kolciak! Viva Semionof!
si grida.
– Abbasso Sirowy!
urla il gigante dal ciuffo.
– Che Dio li maledica!
aggiunge con costanza la vecchia dei ceci.
E l’esaltazione slava esplode nella bettola fumosa.
Tutti cantano, gridano, parlano, masticano, tracanna-
no, litigano, si abbracciano, rompono piatti e bottiglie.
Le fiamme dei fornelli avvampati intorno alle padelle
proiettano bagliori spettrali sui volti degli uomini e del-
le femmine. Le mani battono con cadenza selvaggia il
ritmo frenetico del finale della ‘cosacca’.
Magnifica è la femmina con la bionda criniera sconvol-
ta dalla danza, rosse le guance, fiammeggianti gli occhi,
palpitante il seno, tutto fremente e sudato il corpo felino.
– Forza, Màruscka! Brava, Mu-ka! Avanti, Marka!……
(M. Appelius, Al di là della grande muraglia)