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I papi di Avignone non solo le reintrodussero, ma
stabilirono che la metà andasse alla Santa Sede.
Al pari della maggior parte degli aumenti o delle
innovazioni papali in materia fiscale, questa inizia-
tiva – un autentico storno secondo Jean Favier – ven-
ne giustificata invocando le spese imposte dalla lot-
ta alle eresie, benché sia noto che la virulenza delle
eresie nel secolo XIV sia stata minore rispetto al XIII.
Il denaro, insomma, fu per il papato il pretesto per
una distorsione della realtà religiosa e del ruolo del-
la Chiesa ‘romana’ nella società (e per quanto qual-
cuno si affanni ancor oggi, con vaghi esempi che as-
somigliano alla regola della confraternita dei ‘ciar-
latani’, il principio rimane il medesimo).
La sopravvivenza delle crociate e delle eresie nell’-
immaginario cristiano (di allora, oggi ugual principi
sono adottati idealizzati nonché legalizzati da altri
Imperi e Sovrani) serviva a soddisfare gli appetiti fi-
nanziari della Chiesa.
Nonostante i costi del Palazzo di Avignone e delle o-
perazioni militari italiane, la società del XIV secolo
percepiva il papato come un’istituzione particolar-
mente ricca e privilegiata.
Papi a parte, in questa situazione certamente si arric-
chirono i più eminenti cardinali e prelati. In una soci-
età in cui l’indebitamento era in crescita, essi svolsero
un ruolo non trascurabile di prestatori di denaro, ma
grazie all’azione della tradizione cristiana, dalle loro
mani passavano più tesori che contante e la ricompen-
sa per i loro prestiti consisteva spesso in pezzi di orifi-
ceria.
Un problema non secondario che incontrò il papato
era il trasferimento ad Avignone delle somme raccol-
te in tutta la cristianità.
Il trasporto via terra era minacciato dall’insicurezza
che caratterizzava gran parte dell’Europa, soprattutto
in un XIV secolo in cui abbondano mercenari e briganti.
(J. Le Goff, Lo sterco del diavolo)