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Riflessione nel giorno dell’insediamento… &
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(Da l’assalto)
I Padri fondatori temevano i pericoli di un’eccessiva con-
centrazione della ricchezza.
Perfino Alexander Hamilton, il grande conservatore, poco
prima dell’Assemblea costituente mise in guardia i suoi con-
nazionali dalla ‘vera indole della natura umana’, che avreb-
be potuto pregiudicare il futuro della nuova nazionale:
Allorché la ricchezza cresce e si accumula nelle mani di
pochi e la società viene a essere dominata dal lusso, la vir-
tù sarà considerata sempre più una graziosa appendice del-
la ricchezza; preverrà così la tendenza ad allontanarci da-
gli standard della democrazia.
Il grande storico Plutarco, le cui opere erano ben note ai
nostri Padri fondatori, scrisse una volta che:
Lo squilibrio tra ricchi e poveri è la più antica e la più fatale
delle malattie di tutte le democrazie.
Adam Smith, considerato il fondatore del capitalismo mo-
derno, nella ‘Ricchezza delle nazioni’ parlò delle èlite ric-
che e corrotte che avevano dominato la storia del mondo
prima dell’avvento della nuova èra:
Tutto per noi e niente per gli altri, sembra sia stata in
ogni epoca la vile massima dei padroni dell’umanità.
E naturalmente l’apostolo Paolo, nella prima lettera a Ti-
moteo, scrisse:
L’attaccamento al denaro è la radice di tutti i mali.
Samuel Johnson, un altro autore molto apprezzato dai
Padri fondatori, nel 1759 dichiarò che, in una repubblica,
la ragione ‘ha il potere di metterci in guardia dal male….’
Proprio tale potere di vigilanza, secondo i nostri Padri
fondatori, poteva essere particolarmente vulnerabile al
fascino seducente del potere.
Come osservato nell’introduzione, l’idea di autogoverno
divenne possibile dopo che la stampa ebbe diffuso ampia-
mente la conoscenza tra gli individui, creando un merca-
to di idee fondato sul principio di ragione.
Non appena fu possibile discutere e dibattere apertamen-
te le decisioni politiche, la ragione, e non più la ricchezza,
divenne la fonte principale del potere.
Se l’operato di un governo può essere fatto oggetto di un’-
indagine minuziosa e di un dibattito vigoroso e aperto, di-
venta molto più difficile nascondere l’abuso del potere
pubblico a scopi di arricchimento personale.
Se il principio di ragione è il criterio alla luce del quale vi-
ene valutato l’uso del potere ufficiale, una cittadinanza
ben informata può smascherare anche le manovre più ar-
dite e complesse messe in atto abusando della fiducia del-
l’opinione pubblica.
Ma la ragione, da sola, non basta.
E’ necessario anche uno spazio pubblico, universalmente
accessibile, nel quale gli individui possano comunicare li-
beramente e denunciare l’uso illegittimo o malaccorto del
potere…….
(Al Gore, L’assalto alla Ragione)
Precedenti articoli:
La semplicità del Genio creatore… &
I nostri primi sogni i nostri primi pensieri…
Dello stesso autore:
Il Primo pensiero & Lezioni di vita
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Da:
Amato monte, ancora gli occhi miei
della sera scorgono l’ombra sanguigna
sui tuoi picchi svanire.
Amato monte, i tuoi limiti estremi
cerco con cura religiosa e
riverente desire.
Tra i tuoi ghiacciai incontro quei pensieri,
quali gli uomini santi, anticamente,
scoprirono nel deserto;
quella gioia che soltanto sentirono,
in Colui che con loro abitò l’oscurità,
saettando il Suo ampio raggio.
Beato me se tale sarà il Suo impero,
mandarmi la manna qui per neve….
… Questi versi, di cui ho già detto, assieme ad un successivo
sonetto, furono gli ultimi che tentai con una certa serietà; non-
dimeno sono assai sinceri ed esprimono con schiettezza e
semplicità, più di quanto ne sia ora capace, l’autentico umo-
re con il quale iniziai il lavoro più proficuo della mia vita.
Mia madre trovò subito un difetto nelle parole ‘ombra sangui-
gna’, come se fossero penose e poco fedeli rispetto al colore
roseo della neve al tramonto: ma, per me, avevano un signifi-
cato, dato che la ricorrente espressione evangelica ‘lavato nel
sangue di Cristo’, mi sembrava assolutamente vera, se riferita
alla terra e alla neve più pura, così come alle più pure creature;
e la pretesa di saper trovare tra le ombre delle rocce pensieri
quali gli antichi eremiti trovarono nel deserto, anche se può
sembrare immodesta, era assolutamente sincera.
I miei difetti o debolezze consuete erano irrilevanti tra quei monti;
e i soli giorni che posso ricordare – nella misura delle capacità che
mi sono state accordate – come spesi integralmente con rettitudi-
ne e saggezza, li trascorsi in vista del Monte Bianco, del Monte Ro-
sa o della Jungfrau. Quando ero maggiormente dominato da questa
influenza, tentai di intendere la forza che hanno le montagne nel ren-
dere solenni i pensieri e nel purificare i cuori dei grandi uomini di ogni
tempo e dei più grandi maestri della fede cristiana – e credo di aver-
lo fatto bene, per quelle che erano allora le mie capacità, nell’ultimo
capitolo dei ‘Pittori Moderni’ -.
Non mi soffermavo però su ciò che avevo solo sentito, ma non accer-
tato: la distruzione di ogni sensibilità perpetrata presso i popoli dell’-
Europa moderna, soprattutto ad opera del lusso della volgarità, dell’-
arroganza del malaffare della disonestà… del quindicesimo secolo
e della volgare lussuria del diciottesimo e dell’inizio del diciannovesi-
mo secolo; distruzione così completa che le stesse persone religio-
se divennero insensibili a qualsiasi bellezza o nobiltà naturale, tanto
che, se pure ancora utili gli altri in mezzo alla corruzione delle città,
con il loro ministero e la loro carità, non si salvarono, o addirittura si
smarrirono, anche se andarono a predicare su una montagna o a
pregare nel deserto… con i loro Profeti…
Nel frammento di diario, che nell’ultima parte di ‘Praeterita’ registra la
nostra breve visita alla Grande Certosa, non si fa una sola parola di
quel che vedemmo o udimmo e che ci impressionò. Eppure è bastata
una parola densa di significato per cambiare, per sempre, il corso del
mio pensiero religioso. Ero rimasto completamente deluso dal mona-
stero, dal passo attraverso il quale vi giungemmo, dalle montagne che
lo circondano, dal monaco che ci fece da guida.
L’edificio era mal progettato ed era disposto in maniera confusa; la
strada che conduceva fin lì non aveva nulla di terribile, come la mag-
gior parte delle strade alpine in salita; le montagne circostanti erano
della più semplice e comune varietà di rocce della Savoia, senza ci-
me, senza ghiacciai, senza cascate, e addirittura senza grandi diste-
se di pini. Il monaco che ci fece entrare non aveva una tonaca degna
di essere indossata, né una barba degna di essere portata, né alcu-
na espressione se non quella d’una alterigia senza sagacia; e i suoi
modi rozzi e privi di grazia mostravano che era assai stanco del po-
sto, che ancora di più era stanco di se stesso, e soprattutto di mio
padre e di me.
Dopo averlo seguito per qualche tempo per gli anditi dell’edificio,
in cui non c’era nulla da mostrare: non un quadro, non una statua,
non un frammento di vetro antico, o un paramento ben lavorato o
gioielli, né alcuna caratteristica architettonica minimamente inge-
gnosa o elegante, giungemmo alla fine a riposarci in quello che
credo sia il modello della moderna cella certosina; e lì, poggian-
domi sulla mensola della finestra, dissi qualcosa a proposito del-
l’effetto che il paesaggio poteva produrre su una mente religiosa.
Il monaco, facendo una smorfia con le labbra, replicò:
‘Non veniamo qui per guardare le montagne’ (e neppure a parla-
re o solo guardare alberi e flora e fauna che le ornano…).
A questo rimprovero piegai la testa in silenzio, continuando però
a pensare:
‘Ma allora, stupidi idioti, che ci state a fare qui?’.
(J. Ruskin, Praeterita)