(l’assalto) ALLA RAGIONE

Precedenti capitoli:

L’ASSALTO (alla ragione)

Prosegue in:

La politica della ricchezza…

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Riflessione nel giorno dell’insediamento… &

20-01-1900  &

Le nostre montagne da salvare

Da:

i miei libri

 

 

 

 

alla ragione

 

 

 

(Da l’assalto)

I Padri fondatori temevano i pericoli di un’eccessiva con-

centrazione della ricchezza.

Perfino Alexander Hamilton, il grande conservatore, poco

prima dell’Assemblea costituente mise in guardia i suoi con-

nazionali dalla ‘vera indole della natura umana’, che avreb-

be potuto pregiudicare il futuro della nuova nazionale:

 

Allorché la ricchezza cresce e si accumula nelle mani di

pochi e la società viene a essere dominata dal lusso, la vir-

tù sarà considerata sempre più una graziosa appendice del-

la ricchezza; preverrà così la tendenza ad allontanarci da-

gli standard della democrazia.

 

Il grande storico Plutarco, le cui opere erano ben note ai

nostri Padri fondatori, scrisse una volta che:

 

Lo squilibrio tra ricchi e poveri è la più antica e la più fatale

delle malattie di tutte le democrazie.

 

alla ragione

 

Adam Smith, considerato il fondatore del capitalismo mo-

derno, nella ‘Ricchezza delle nazioni’ parlò delle èlite ric-

che e corrotte che avevano dominato la storia del mondo

prima dell’avvento della nuova èra:

 

Tutto per noi e niente per gli altri, sembra sia stata in

ogni epoca la vile massima dei padroni dell’umanità.

 

E naturalmente l’apostolo Paolo, nella prima lettera a Ti-

moteo, scrisse:

 

L’attaccamento al denaro è la radice di tutti i mali.

 

Samuel Johnson, un altro autore molto apprezzato dai

Padri fondatori, nel 1759 dichiarò che, in una repubblica,

la ragione ‘ha il potere di metterci in guardia dal male….’

Proprio tale potere di vigilanza, secondo i nostri Padri

fondatori, poteva essere particolarmente vulnerabile al

fascino seducente del potere.

 

alla ragione

 

Come osservato nell’introduzione, l’idea di autogoverno

divenne possibile dopo che la stampa ebbe diffuso ampia-

mente la conoscenza tra gli individui, creando un merca-

to di idee fondato sul principio di ragione.

Non appena fu possibile discutere e dibattere apertamen-

te le decisioni politiche, la ragione, e non più la ricchezza,

divenne la fonte principale del potere.

Se l’operato di un governo può essere fatto oggetto di un’-

indagine minuziosa e di un dibattito vigoroso e aperto, di-

venta molto più difficile nascondere l’abuso del potere

pubblico a scopi di arricchimento personale.

Se il principio di ragione è il criterio alla luce del quale vi-

ene valutato l’uso del potere ufficiale, una cittadinanza

ben informata può smascherare anche le manovre più ar-

dite e complesse messe in atto abusando della fiducia del-

l’opinione pubblica.

Ma la ragione, da sola, non basta.

E’ necessario anche uno spazio pubblico, universalmente

accessibile, nel quale gli individui possano comunicare li-

beramente e denunciare l’uso illegittimo o malaccorto del

potere…….

(Al Gore, L’assalto alla Ragione)

 

 

 

 

alla ragione

JOHN RUSKIN (il genio)

Precedenti articoli:

La semplicità del Genio creatore… &

E.A. Poe  &  J. Swift… &

I nostri primi sogni i nostri primi pensieri…

Dello stesso autore:

Il Primo pensiero  &  Lezioni di vita

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Il genio (1)  (2)  (3)  (4)

Da:

i miei libri

 

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Amato monte, ancora gli occhi miei

della sera scorgono l’ombra sanguigna

sui tuoi picchi svanire.

Amato monte, i tuoi limiti estremi

cerco con cura religiosa e

riverente desire.

 

Tra i tuoi ghiacciai incontro quei pensieri,

quali gli uomini santi, anticamente,

scoprirono nel deserto;

quella gioia che soltanto sentirono,

in Colui che con loro abitò l’oscurità,

saettando il Suo ampio raggio.

 

Beato me se tale sarà il Suo impero,

mandarmi la manna qui per neve….

 

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… Questi versi, di cui ho già detto, assieme ad un successivo

sonetto, furono gli ultimi che tentai con una certa serietà; non-

dimeno sono assai sinceri ed esprimono con schiettezza e

semplicità, più di quanto ne sia ora capace, l’autentico umo-

re con il quale iniziai il lavoro più proficuo della mia vita.

Mia madre trovò subito un difetto nelle parole ‘ombra sangui-

gna’, come se fossero penose e poco fedeli rispetto al colore

roseo della neve al tramonto: ma, per me, avevano un signifi-

cato, dato che la ricorrente espressione evangelica ‘lavato nel

sangue di Cristo’, mi sembrava assolutamente vera, se riferita

alla terra e alla neve più pura, così come alle più pure creature;

e la pretesa di saper trovare tra le ombre delle rocce pensieri

quali gli antichi eremiti trovarono nel deserto, anche se può

sembrare immodesta, era assolutamente sincera.

 

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I miei difetti o debolezze consuete erano irrilevanti tra quei monti;

e i soli giorni che posso ricordare – nella misura delle capacità che

mi sono state accordate – come spesi integralmente con rettitudi-

ne e saggezza, li trascorsi in vista del Monte Bianco, del Monte Ro-

sa o della Jungfrau. Quando ero maggiormente dominato da questa

influenza, tentai di intendere la forza che hanno le montagne nel ren-

dere solenni i pensieri e nel purificare i cuori dei grandi uomini di ogni

tempo e dei più grandi maestri della fede cristiana – e credo di aver-

lo fatto bene, per quelle che erano allora le mie capacità, nell’ultimo

capitolo dei ‘Pittori Moderni’ -.

Non mi soffermavo però su ciò che avevo solo sentito, ma non accer-

tato: la distruzione di ogni sensibilità perpetrata presso i popoli dell’-

Europa moderna, soprattutto ad opera del lusso della volgarità, dell’-

arroganza del malaffare della disonestà… del quindicesimo secolo

e della volgare lussuria del diciottesimo e dell’inizio del diciannovesi-

mo secolo; distruzione così completa che le stesse persone religio-

se divennero insensibili a qualsiasi bellezza o nobiltà naturale, tanto

che, se pure ancora utili gli altri in mezzo alla corruzione delle città,

con il loro ministero e la loro carità, non si salvarono, o addirittura si

smarrirono, anche se andarono a predicare su una montagna o a

pregare nel deserto… con i loro Profeti…

 

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Nel frammento di diario, che nell’ultima parte di ‘Praeterita’ registra la

nostra breve visita alla Grande Certosa, non si fa una sola parola di

quel che vedemmo o udimmo e che ci impressionò. Eppure è bastata

una parola densa di significato per cambiare, per sempre, il corso del

mio pensiero religioso. Ero rimasto completamente deluso dal mona-

stero, dal passo attraverso il quale vi giungemmo, dalle montagne che

lo circondano, dal monaco che ci fece da guida.

L’edificio era mal progettato ed era disposto in maniera confusa; la

strada che conduceva fin lì non aveva nulla di terribile, come la mag-

gior parte delle strade alpine in salita; le montagne circostanti erano

della più semplice e comune varietà di rocce della Savoia, senza ci-

me, senza ghiacciai, senza cascate, e addirittura senza grandi diste-

se di pini. Il monaco che ci fece entrare non aveva una tonaca degna

di essere indossata, né una barba degna di essere portata, né alcu-

na espressione se non quella d’una alterigia senza sagacia; e i suoi

modi rozzi e privi di grazia mostravano che era assai stanco del po-

sto, che ancora di più era stanco di se stesso, e soprattutto di mio

padre e di me.

Dopo averlo seguito per qualche tempo per gli anditi dell’edificio,

in cui non c’era nulla da mostrare: non un quadro, non una statua,

non un frammento di vetro antico, o un paramento ben lavorato o

gioielli, né alcuna caratteristica architettonica minimamente inge-

gnosa o elegante, giungemmo alla fine a riposarci in quello che

credo sia il modello della moderna cella certosina; e lì, poggian-

domi sulla mensola della finestra, dissi qualcosa a proposito del-

l’effetto che il paesaggio poteva produrre su una mente religiosa.

Il monaco, facendo una smorfia con le labbra, replicò:

‘Non veniamo qui per guardare le montagne’ (e neppure a parla-

re o solo guardare alberi e flora e fauna che le ornano…).

A questo rimprovero piegai la testa in silenzio, continuando però

a pensare:

‘Ma allora, stupidi idioti, che ci state a fare qui?’.

 

(J. Ruskin, Praeterita)

 

 

 

 

 

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