Precedenti articoli:
La semplicità del Genio creatore… &
I nostri primi sogni i nostri primi pensieri…
Dello stesso autore:
Il Primo pensiero & Lezioni di vita
Foto del blog:
Da:
Amato monte, ancora gli occhi miei
della sera scorgono l’ombra sanguigna
sui tuoi picchi svanire.
Amato monte, i tuoi limiti estremi
cerco con cura religiosa e
riverente desire.
Tra i tuoi ghiacciai incontro quei pensieri,
quali gli uomini santi, anticamente,
scoprirono nel deserto;
quella gioia che soltanto sentirono,
in Colui che con loro abitò l’oscurità,
saettando il Suo ampio raggio.
Beato me se tale sarà il Suo impero,
mandarmi la manna qui per neve….
… Questi versi, di cui ho già detto, assieme ad un successivo
sonetto, furono gli ultimi che tentai con una certa serietà; non-
dimeno sono assai sinceri ed esprimono con schiettezza e
semplicità, più di quanto ne sia ora capace, l’autentico umo-
re con il quale iniziai il lavoro più proficuo della mia vita.
Mia madre trovò subito un difetto nelle parole ‘ombra sangui-
gna’, come se fossero penose e poco fedeli rispetto al colore
roseo della neve al tramonto: ma, per me, avevano un signifi-
cato, dato che la ricorrente espressione evangelica ‘lavato nel
sangue di Cristo’, mi sembrava assolutamente vera, se riferita
alla terra e alla neve più pura, così come alle più pure creature;
e la pretesa di saper trovare tra le ombre delle rocce pensieri
quali gli antichi eremiti trovarono nel deserto, anche se può
sembrare immodesta, era assolutamente sincera.
I miei difetti o debolezze consuete erano irrilevanti tra quei monti;
e i soli giorni che posso ricordare – nella misura delle capacità che
mi sono state accordate – come spesi integralmente con rettitudi-
ne e saggezza, li trascorsi in vista del Monte Bianco, del Monte Ro-
sa o della Jungfrau. Quando ero maggiormente dominato da questa
influenza, tentai di intendere la forza che hanno le montagne nel ren-
dere solenni i pensieri e nel purificare i cuori dei grandi uomini di ogni
tempo e dei più grandi maestri della fede cristiana – e credo di aver-
lo fatto bene, per quelle che erano allora le mie capacità, nell’ultimo
capitolo dei ‘Pittori Moderni’ -.
Non mi soffermavo però su ciò che avevo solo sentito, ma non accer-
tato: la distruzione di ogni sensibilità perpetrata presso i popoli dell’-
Europa moderna, soprattutto ad opera del lusso della volgarità, dell’-
arroganza del malaffare della disonestà… del quindicesimo secolo
e della volgare lussuria del diciottesimo e dell’inizio del diciannovesi-
mo secolo; distruzione così completa che le stesse persone religio-
se divennero insensibili a qualsiasi bellezza o nobiltà naturale, tanto
che, se pure ancora utili gli altri in mezzo alla corruzione delle città,
con il loro ministero e la loro carità, non si salvarono, o addirittura si
smarrirono, anche se andarono a predicare su una montagna o a
pregare nel deserto… con i loro Profeti…
Nel frammento di diario, che nell’ultima parte di ‘Praeterita’ registra la
nostra breve visita alla Grande Certosa, non si fa una sola parola di
quel che vedemmo o udimmo e che ci impressionò. Eppure è bastata
una parola densa di significato per cambiare, per sempre, il corso del
mio pensiero religioso. Ero rimasto completamente deluso dal mona-
stero, dal passo attraverso il quale vi giungemmo, dalle montagne che
lo circondano, dal monaco che ci fece da guida.
L’edificio era mal progettato ed era disposto in maniera confusa; la
strada che conduceva fin lì non aveva nulla di terribile, come la mag-
gior parte delle strade alpine in salita; le montagne circostanti erano
della più semplice e comune varietà di rocce della Savoia, senza ci-
me, senza ghiacciai, senza cascate, e addirittura senza grandi diste-
se di pini. Il monaco che ci fece entrare non aveva una tonaca degna
di essere indossata, né una barba degna di essere portata, né alcu-
na espressione se non quella d’una alterigia senza sagacia; e i suoi
modi rozzi e privi di grazia mostravano che era assai stanco del po-
sto, che ancora di più era stanco di se stesso, e soprattutto di mio
padre e di me.
Dopo averlo seguito per qualche tempo per gli anditi dell’edificio,
in cui non c’era nulla da mostrare: non un quadro, non una statua,
non un frammento di vetro antico, o un paramento ben lavorato o
gioielli, né alcuna caratteristica architettonica minimamente inge-
gnosa o elegante, giungemmo alla fine a riposarci in quello che
credo sia il modello della moderna cella certosina; e lì, poggian-
domi sulla mensola della finestra, dissi qualcosa a proposito del-
l’effetto che il paesaggio poteva produrre su una mente religiosa.
Il monaco, facendo una smorfia con le labbra, replicò:
‘Non veniamo qui per guardare le montagne’ (e neppure a parla-
re o solo guardare alberi e flora e fauna che le ornano…).
A questo rimprovero piegai la testa in silenzio, continuando però
a pensare:
‘Ma allora, stupidi idioti, che ci state a fare qui?’.
(J. Ruskin, Praeterita)