BILLIE HOLIDAY (2)

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negli stessi anni

 

 






Nel 1938 ebbe una nuova, lunga esperienza con una grande

orchestra: quella di Artie Shaw, in quel tempo sulla cresta

dell’onda.

Ma era un’orchestra bianca, e lei era negra, e il pubblico, a

certe convivenze, non aveva ancora fatto l’abitudine.

Per lei, nonostante l’appoggio coraggiosamente datole da

Shaw e dai suoi uomini, fu un seguito ininterrotto di umilia-

zioni, che vennero ad aggiungersi come altrettante ferite ai 

traumi della prima infanzia, e infine la costrinsero a lasciare

la formazione, esasperata dalle misure discriminatorie di cui

era oggetto. 

Una lunga scrittura al Café Society, nel Greenwich Village, e

varie fortunate residenze nei locali della 52a Strada, e poi a

Chicago e a Los Angeles, consolidarono la sua fama; un matri-

monio andato a male, con Jimmy Monroe, e la morte del padre

e poi della madre fecero di lei una donna ancor più amareggia-

ta, risentita, aggressiva.

 

negli stessi anni

 

A complicare la sua esistenza c’era ora, sempre più esigente,

più tiranna, l’eroina di cui era succube da qualche anno.

‘Non tardai molto a diventare una schiava tra le meglio pagate’.

Ha scritto Billie, parlando del suo sciagurato vizio.

‘Prendevo anche mille dollari alla settimana, ma quanto a liber-

non ne avevo più di quanto ne potesse avere il più pidocchio-

so bracciante’.

Dopo aver preso parte, nel 1946, alle riprese del film ‘New Orle-

ans’, con Louis Armstrong, non senza aver vivacemente protestato 

per essersi vista assegnare il ruolo di una cameriera, si sottopose

a una cura disintossicante, che ebbe come unico risultato di met-

terle alle calcagna la polizia.

 

negli stessi anni

 

A Filadelfia, nel maggio 1947, fu arrestata per possesso e uso

di stupefacenti. Durante il processo che seguì, e che fece molto

scalpore, si sentì rivolgere parole molte dure dal Procuratore

Distrettuale.

‘Per sua disgrazia, devo aggiungere, essa ha incontrato la peg-

gior sorta di parassiti e di sanguisughe che si possa immaginare

fra coloro che appartenevano alla sua cerchia’.

Disse fra l’altro il P.D:

‘Abbiamo potuto appurare che negli ultimi tre anni ha guada-

gnato quasi 250.000 dollari, ma l’anno scorso la cifra era ridotta

a 56.000 o 57.000 ($) e ora non possiede più nulla di questo de-

naro’.

Fu condannata a un anno e un giorno di reclusione, che scontò

in un carcere di Alderson, West Virginia. Poté uscire nel febbraio

1948.

Subito dopo il suo ritorno a New York, gli amici organizzarono

per lei un concerto alla Carnegie Hall, che ebbe un grande suc-

cesso; nessuno poté però procurarle delle scritture nei locali

notturni cittadini perché la polizia le aveva ritirato la ‘cabaret

card’, una tessera necessaria per potersi esibire nei locali di New

York in cui fossero venduti alcolici.

 

negli stessi anni

 

Da allora in poi, e per alcuni anni, dovette quindi limitarsi alle

esibizioni in teatro, alla televisione o alla radio, nei locali not-

turni di altre città, e a incidere dischi. 

Per risolvere il suo problema si allestì per lei una rivista musi-

cale che andò in scena, col titolo ‘Holiday on Broadway’, al teatro

Mansfield, ma non resistette più di tre settimane.

Intanto quelli del Bureau of Narcotics non la perdevano di vista.

Non erano passati che pochi mesi dalla sua scarcerazione, che

fecero un’irruzione nella sua camera d’albergo, a San Fransisco,

dove si trovava per ragioni di lavoro.

Fu trovata in possesso di stupefacenti e fu arrestata insieme col

suo manager, John Levy. Questi però scomparve con tutto il

suo danaro e la lasciò sola a sbrigarsela al tribunale, che la man-

dò assolta.

In una corrispondenza da San Francisco, in data luglio 1949, il

‘Down Beat’ scriveva:

‘Priva di danaro e sola, dopo che il suo manager, John Levy l’ha

abbandonata lasciandole affrontare il processo in cui è stata

assolta, Billie Holiday ha deciso di ricominciare a …cantare…’

(A. Polillo, Jazz)



 

 

 

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POD’S & JERRY’S

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Al Pod’s & Jerry’s, uno speakeasy della 133a Strada famoso per il pollo

fritto e per i suoi pianisti, capitavano parecchi personaggi del mondo

dello spettacolo: gente come Fredric March, Franchot Tone e Tullulah

Bankhead, e capitavano parecchi musicisti.

 

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Era chic farci una capatina dopo aver passato la serata al Cotton Club,

e ancora più chic restarvi fino al mattino avanzato, per uscire poi a

passeggiare in abito da sera per le strade di Harlem sotto il sole di

mezzogiorno. Lì Billie Holiday si conquistò una discreta popolarità

presso la gente ricca di Park Avenue, e poté essere ascoltata anche

da persone che più contavano nel piccolo mondo del jazz, e anzitutto

da John Hammond, Benny Goodman e Joe Glaser.

 

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Quest’ultimo le offerse i suoi servigi come manager, e Hammond e

Goodman le fecero incidere il primo disco, alla fine del 1933, non

molto brillante in verità.

I primi dischi felicemente riusciti furono da lei registrati nel 1935

con l’accompagnamento di un complessino riunito da Teddy Wilson,

che sarebbe stato il suo ineguagliabile partner per alcuni anni.

Wilson era una delle tante scoperte di Hammond, che lo aveva

potuto ascoltare al Grand Terrace di Chicago, dove sostituiva Earl

Hines quando questi lasciava il locale per recarsi in tournèe.

Era stato Hammond a portarlo al Pod’s & Jerry’s per fargli ascoltare

la giovane cantante, e a rendere poi possibili le loro incisioni per

la Brunswick.

Queste venivano realizzate all’insegna dell’improvvisazione e dell’

economia: le canzoni venivano il più delle volte scelte e imparate

all’ultimo, l’arrangiamento era messo su in quattro e quattr’otto, e

gli assoli erano improvvisati. C’erano pochi soldi a disposizione,

ma con quelli Wilson, che aveva anche il compito di scegliere i

musicisti, faceva miracoli.

 

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Con venti dollari a testa riusciva ad avere in studio tipi come Roy

Eldrige, Lester Young, Bunny Berigan, Johnny Hodges, Don Redman,

Cozy Cole, Benny Carter, Benny Goodman. A Billie venivano pagati

cinquanta dollari per ogni seduta.

Molti di quei dischi ebbero successo e contribuirono a far riempire 

i locali di Harlem e della 52a Strada in cui la cantante si esibiva

normalmente in quel periodo. Non le evitarono tuttavia un grosso

fiasco al Grand Terrace di Chicago, dove fece solo una fugace appa-

rizione e da dove si allontanò dopo aver tirato un calamaio addosso

al direttore del cabaret.

Né l’aiutarono a rialzare le sorti della tournée che compì nel 1937

con l’orchestra di Count Basie, che allora era ancora alla ricerca del

consenso del pubblico e dei critici, e che l’aveva scritturata per 

suggerimento di Hammond. 

(A. Polillo, Jazz)




 

 

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