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– ….Dunque Remigio, tu portavi con te delle lettere di Dolcino e le
desti al confratello tuo che ha cura della biblioteca…
– Non è vero, non è vero!
gridò il cellario, come se quella difesa avesse ancora qualche efficacia.
E giustamente lo interruppe:
– Ma non è da te che ci serve un assenso, bensì da Malachia…
Fece chiamare il bibliotecario, e non era tra i presenti. Io sapevo
che stava nello scriptorium, o intorno all’ospedale, a cercare
Bencio e il libro.
Andarono a cercarlo, e quando apparve, turbato e cercando di
non guardare in viso nessuno, Guglielmo mormorò con
disappunto:
– E ora Bencio potrà fare ciò che vuole.
Ma si sbagliava perché vidi il volto di Bencio spuntare al
di sopra delle spalle di altri monaci, che si affollavano alle
porte della sala per seguire l’interrogatorio.
Pesammo allora che la curosiotà per quell’evento
evento fosse ancora più forte della sua curiosità
per il libro.
Apprendemmo dopo che, a quel punto, egli
aveva già concluso un suo ignobile mercato.
Malachia apparve dunque davanti ai giudici,
senza mai incrociare gli occhi suoi con quelli
del cellario.
– Malachia,
disse Bernardo,
– Stamattina, dopo la confessione resa nella
notte da Salvatore, vi ho domandato se avete
ricevuto dall’imputato qui presente delle…
lettere…
– Malachia!
urlò il cellario,
– Poco fa mi hai giurato che non farai nulla contro di me!
Malachia si volse appena verso l’imputato, a cui dava le
spalle, e disse a voce bassissima che quasi non udivo:
– Non ho spergiurato. Se potevo fare qualcosa contro di
te, l’avevo già fatto. Le lettere erano state consegnate al
Signor Bernardo questa mattina, prima che tu uccidessi
Severino.
(U. Eco, Il nome della rosa)