DUE MODI E MONDI (per uno stesso fine)

Consulta anche:

dedicato-ad-un-professore-4.html

Un cane …lupo in:

il-cane.html

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(Premessa del curatore del blog: ‘Propongo qui di seguito, due differenti

approcci di porsi di fronte ad una medesima questione, antica, di cui

forse neppure gli autori qui citati ne conoscono la genesi. Due mondi

e modi diversi, forse anche opposti, con fini uguali, forse non eguali,

ma distanti come fredde aule universitarie e infinite terre, siano

esse del sud o del nord…poca differenza scorgo nella volontà umana…

di voler cogliere o penetrare il delicato ed antico argomento.

Pur mantenendo in entrambe i casi citati il medesimo impegno nei

confronti delle specie animali qui adottate…

Lascio al giudizio del lettore, là dove ve ne fosse qualcuno (per giunta

in quest’ora delicata in cui il pensiero scaturisce….) contrario al principio

dello sfruttamento alimentare e ‘scientifico sperimentale’ degli animali,

dove si celi l’intento simile alla natura per preservare e continuare

indisturbata la sua opera, con ugual modo e forma, una spirale che conduca

per gradi e tempi, ad un intento affine e simmetrico alla stessa sua volontà

creatrice.

Lascio il giudizio al modesto viandante su questi sentieri, per scoprire

dove risiede il vero filosofo, colui che conosce profondamente i misteri

del micro-macro-cosmo creato o increato, ricco di mondo, entro e fuori

le sue ‘masturbazioni’ mentali, ed il fuggiasco, avventuriero, eretico,

perseguitato, alla Jack London, che prova il brivido del lupo, della bestia,

‘povera di mondo’, per scoprire…..e scorgere nella sua innata sete di

libertà, la ricchezza del mondo ‘creato’, o peggio rappresentato, che

taluni ci privano quotidianamente, pur figurandosi o peggio paventandosi,

‘ricchi di mondo’…..)

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Esempio accademico:

….”D’altra parte, la istruzione della metafisica e la distruzione dei concetti

operate da Heidegger fanno sì che il suo pensiero sia libero dal logocentrismo

teoretico occidentale: è piuttosto la filosofia di Derrida che, non effettuando

la svolta heideggeriana verso il ‘pensiero dell’essere’, rientra nella storia

della metafisca, quella dell’oblio dell’essere. Derrida ha poi ampliato la

sua critica parlando di carnologofallocentrismo, riscontrando nel logos

come phoné il fondamento epistemologico non solo dell’etnocentrismo

e del maschilismo occidentali, ma anche dell’antropocentrismo e dello

specismo che costituiscono il nucleo profondo del moderno soggetto

umano quale maschio carnivoro occidentale. Secondo Derrida, si resta

prigionieri del carnologofallocentrismo, della sua logica sacrificale,

violenta, carnivora e anche cannibalica della fagocitazione reale o

simbolica, nella sua forma sublimata del logos come phoné della

scrittura alfabetico-fonetico-lineare, dei suoi linguaggi e delle

concettualizzazioni, di cui sarebbero partecipi anche i vegetariani……”

(Nell’albergo di Adamo)

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Approccio umano:

“L’ultimo giorno dell’anno viaggio alto oltre i boschi sulla neve

perfetta dei rilievi vasti e ondulati. Il cielo è sempre limpido e

da quassù riesco ad avere la compagnia del sole e dei colori

incredibili che crea durante tutte le brevi ore della sua stentata

permanenza. Vado veloce sugli sci, gli occhi all’orizzonte a saziarsi

dello spazio pulito coi cristalli di neve che rilucono come diamanti.

Non ho bisogno di osservare dove posare i passi, con condizioni

come queste si ha sempre l’impressione di essere condotti dalla

terra stessa; è come trovarmi sperso tra i ghiacci dell’Antartide:

c’è il cielo turchino o lo spazio bianco striato dai colori del sole

basso, null’altro. Alle due e mezzo del pomeriggio, il sole si

accosta definitivamente alla linea del mondo. L’altopiano viene

scosso da un ultimo sussulto di luce intensa, infuocata, un

arancio che pare voglia donare calore prima della lunga notte.

I lupi si acciambellano mentre io sono fermo e fisso l’astro

svanire inesorabile verso sud. Il loro folto manto invernale si

tinge dei colori dell’alba e acquista tonalità mai viste.

Chinook, il manto chiaro infammiato di arancio lucente, si

mordicchia via il ghiaccio dai polpastrelli. Poi, accovacciati

vicini, si leccano e asciugano l’un l’altro; ogni volta, a vederli

così, ho l’impressione che si completino a vicenda; il proverbiale

legame che unisce i lupi di uno stesso branco, infatti, non manca

di manifestarsi anche nei miei due amici.

La giornata non ha più la forza di prolungarsi oltre.

Il sole si ritira con un ultimo guizzo, lasciando al buio questa parte

di pianeta.

Il cielo assume il colore del gelo, la neve si tinge di viola.

Continuo ancora per un po’ mentre si accendono le stelle e mi

tornano in mente le parole di un vecchio pioniere….

In armonioso silenzio.

Sì, armonioso!

Pareva che dal silenzio venisse un dolcissimo ritmo, il suono di un

accordo perfetto….

Bastava cogliere quel ritmo per diventarne parte, sia pure per un attimo.

In quel momento non potevo avere dubbi sull’identità dell’uomo con

l’universo…..”

(Il sogno del lupo)

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IL VIAGGIO COMINCIA (8)

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La discesa procedette nel più profondo silenzio, turbato soltanto dalla

caduta di frammenti di roccia.

Io mi tenevo solidamente afferrato, ma la mia paura era che la corda,

a mio parere ben fragile per sostenere il peso di tre persone con bagaglio,

tutt’a un tratto si spezzasse; e facendo miracoli di equilibrio utilizzavo ogni

sporgenza per poggiare i piedi e pesare sulla corda il meno possibile.

Hans, quando una delle sporgenze gli scivolava sotto i piedi diceva con voce

tranquilla:

– Gif akt!

– Attenzione!, ripeteva mio zio.

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Dopo una mezz’ora eravamo arrivati su un ripiano abbastanza ampio per

contenerci tutti e tre.

Hans tirò un capo della corda, l’altro capo cominciò a salire, e dopo qualche

istante il tutto ricadde ai nostri piedi, accompagnato da una pericolosa pioggia

di sassi. Chinandomi con precauzione dalla piattafoma, notai che il fondo del

pozzo era ancora invisibile.

La manovra ricominciò, e dopo un’altra mezz’ora eravamo scesi di altri duecento

piedi. Non so quanti geologi, per accaniti che fossero, avrebbero cercato di studiare

la natura del terreno durante una discesa simile. Per conto mio, non me ne occupai

davvero: che si trattasse di strati pliocenici, miocenici, eocenici, cretacei, giurassici,

triassici, permiani, carboniferi, devoniani, siluriani o primitivi, poco me ne importava.

(Jules Verne, Viaggio al centro della Terra)

 

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UN SOGNO ESQUIMESE (4)

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Con le mani unte e il ventre pieno, ci ritroviamo sotto le tende;

i primus fanno le fusa; le pipe sono accese.

Mentre si pulisce i denti, uno racconta una storia; il mio vicino,

bocconi sul suo sacco, rutta e vomita; ha le labbra ancora ricoperte

di rimasugli di grasso.

L’indomani uno dei cacciatori che, come tutti gli Esquimesi, sogna

molto, mi racconta più o meno questo:

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” Ho visto questa notte una larga sala chiara, completamente ghiacciata,

donne che andavano e venivano con delle specie di calze che aderivano

alla pelle.

Al mio passaggio fanno un leggero cenno di saluto con la testa, accompagnato

da un sorriso.

Estasiato, le guardo passare una ad una davanti a me.

Al momento in cui una di loro, tendendo le braccia, sembra invitarmi a

seguirla, una voce tonante mi chiama:

– ‘Esquimese! Ah! ah! ah! ah!….

sempre con le mani in tasca.

– Esquimese, Ah! ah! ah!…come puzzi.

– Non sai cos’è questo… Come, non lo sai? E’ il grande spaccio Qraslunaq….

Estremamente importante; niente a che vedere con l’emporio di Siorapaluk.

Boutiken-Kasik! Un piccolissimo spaccio da niente… Qui, ma guardati intorno’.

Le donne, in grembiule bianco come le infermiere dell’ospedale di Thule,

stanno appoggiate con i gomiti su tavoli puliti.

Tutto è ricco e brillante…

Cose appese e ammucchiate da tutte le parti.

– Ne vuoi?

Mi offre la voce….Tendo gioiosamente le braccia per ricevere le scatole di

conserva:

– Grazie, dico a una…

– Molte grazie, dico a quest’altra…

– E’ molto gentile da parte vostra…

Confuso guadagno l’uscita.

Dietro i me ridacchiano, mi volto e improvvisamente le scatole vengono giù;

ce ne sono da tutte le parti….

Ne sono coperto….

Le infermiere mi segnano a dito con mille risatelle!….

I ho tre occhi e enormi orecchie di lepre.

Il sangue scorre da una profonda ferita alla mano destra.

Non ho più le gambe; Esquimese grottesco, un Esquimese infermo, Esquimese

kiffak, è finita.

Pignartoq tamaq!”.

(J. Malaurie, Gli ultimi re di Thule)

 

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