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Natura e non solo in:
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Sul realismo della Commedia sono state scritte pagine mirabili.
Ma ciò di cui non venivo a capo era il fatto che, al di là dei riferimenti
a fatti e personaggi storici che il poeta dissemina nelle tre cantiche, al
di là del significato reale tra simboli e allegorie essi assumono all’interno
della struttura del poema, l’unico a non essere mai stato realisticamente
definito alla lettera è proprio questo Dante pellegrino.
Come sa anche il più pigro dei liceali, si parla di un Dante auctor che nel
poema rappresenta se stesso come viator nei tre regni: diviso tra il presente
della scrittura come autore e il passato del Viaggio compiuto in qualità di
pellegrino, il poeta ripercorre nella memoria la sua discesa agli inferi e la
sua salita al cielo.
Anche alla luce di tali indicazioni, il volto di Dante che cercavo di svelare
non si profilava se non come figura sdoppiata, come un affascinante ma
complesso gioco di rimandi tra la vita reale del poeta e l’esperienza visionaria
del suo Viaggio.
Nella Commedia, infatti, è facile comprendere riferimenti a luoghi e personaggi
reali quando è lo stesso Dante a fornire le coordinate per un corretto riconoscimento.
Quando per esempio, al termine del canto IX dell’Inferno, deve raffigurare le
tombe degli eretici nella città di Dite, il poeta si premura di farci comprendere la
natura del luogo attraverso una similitudine di carattere geografico ben precisa,
tratteggiando le arche della necropoli romana della città di Arles in Provenza.
Ma dove luoghi e personaggi sono descritti attraverso immagini allegoricamente
e simbolicamente velate – si pensi anche solo alla divina foresta e alla sacra
processione narrate negli ultimi canti del Purgatorio – la critica si limita a proiettare
le figure della narrazione in una visionarietà mistica e teologica che, per quanto
poeticamente alta, pare non avere alcun riferimento alla realtà.
Perché questa incoerenza?
Perché la descrizione poetica delle tombe degli eretici nel sesto cerchio infernale
dovrebbe avere un suo corrispettivo reale in un luogo che il poeta stesso ha
probabilmente visitato, mentre invece la divina foresta purgatoriale dovrebbe
essere un puro luogo mentale?
Perché dietro le immagini allegorico-mistiche non si dovrebbero nascondere
analoghi riferimenti a una precisa realtà che, come le tombe di Arles, fornisce
gli spunti dell’ispirazione poetica?
Ero certo che, scomponendo le immagini più strettamente allegoriche presenti
nella Commedia, avrei potuto individuare, dietro il velo della visione, tracce
reali di quel senso letterale che non poteva essere presente nel poema
solo a onde intermittenti e in misura discontinua, ma – come ben mi aveva
insegnato la lettera a Cangrande – in una omogenea e coerente compresenza
di significati.
Del resto, ancora una volta, era Dante stesso ad avvertirmi dell’ardua impresa
di una lettura che non poteva essere condotta attraverso un unico filtro
interpretativo.
In uno dei più famosi appelli al lettore che il poeta spesso dissemina nel
poema, l’invito mi parve del tutto esplicito:
O voi ch’avete li ‘ intelletti sani,
mirate la dottrina che s’ asconde
sotto ‘l velame de li versi strani.
(Inferno IX)
Consultando qualsiasi edizione critica del testo, la parafrasi di questi versi
suona più o meno così:
O voi che siete capaci
di comprendere la verità,
ammirate il senso allegorico
che si nasconde dietro il velo
dei versi che suonano misteriosi
ed enigmatici.
Provai a ribaltare completamente questo modo di interpretare: visto che i
versi che Dante ci invita a leggere risultano già di per sé allegoricamente
strani, perché avrebbe dovuto essere ancora il piano di un insegnamento
allegorico-morale a dover essere svelato?
Non era forse più utile interpretare l’appello al lettore come un invito a
scoprire, oltre il velame delle stranezze allegoriche, anche il significato
letterale della realtà che dietro esso è significata, la realtà concreta della
dottrina che egli ci invita a conoscere?
Solo così, cercando di far luce sul rapporto tra la sostanza delle cose vedute
nel regno oltremondano e la realtà viva che dietro esse si cela – soprattutto
là dove il poeta sembra narrare la visione di luoghi e immagini mentali –
avrei forse potuto individuare itinerari e tappe del Viaggio narrato nei
versi della Commedia.
…Nella piena consapevolezza che si era di fronte a un mostro sacro
della letteratura di tutti i tempi, si trattava di dare inizio a una nuova
possibile ricerca all’interno del testo dantesco, operando alla lettura
secondo un metodo che, se era inedito e inusuale, avrebbe potuto dare
conferma dell’esistenza di un sottotesto che attraversa tutto il poema.
(..e quindi una nuova lettura dell’eresia…)
(Giannazza/Freguglia, I custodi del messaggio)