E CONTRO L’INTOLLERANZA (primo germe del male…nominato guerra)

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e contro l'intolleranza

 

 

….Il modello della società cristiana non era minacciato, agli occhi del

vescovo, soltanto dal pericolo dell’eresia. Ed è qui che si coglie la

differenza sostanziale rispetto al controllo inquisitoriale.

Gli esterni tollerati – zingari, ebrei – e gli interni devianti per pubblici

e clamorosi peccati – bestiammiatori, strozzini, concubinari,….eretici –

dovevano essere isolati, allontanati o costretti a piegarsi alla ‘vera’

norma cristiana. 

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Per questo, si prevedeva che i pubblici peccatori che si presentavano

alla comunione pasquale non potessero essere ammessi se prima

non avevano dato chiari segni del loro proposito di cambiar vita.

Il parroco non poteva invece allontanare i peccatori che tali risultassero

solo a lui – evidentemente, per non incrinare il principio della

segretezza della confessione.

Ma poteva differire l’assoluzione in attesa di avere segni certi del

pentimento del peccatore – per esempio, l’annullamento dei

contratti usuraii da parte degli strozzini. 

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Si torna dunque alla confessione (ritengo che il concetto possa

essere esteso anche a quella confessione pubblica, appartenente

all’arte, cultura, e ricerca, tutte le volte che espongono un dissenso

rispetto alla morale odierna): e qui la differenza tra l’uso

inquisitoriale e l’uso vescovile appare evidente.

All’inquisitore premeva solo impadronirsi delle conoscenze per

rendere efficace la sua opera di caccia (costante nel tempo e nei

luoghi) …all’eretico.

Al vescovo, invece, la confessione serviva come strumento di

regolazione dell’intera società: per cancellare le colpe morali,

per ridurre all’ordine cristiano chi se ne allontanava, per dare

efficaci esempi di conversione.

Il progetto prese varie forme: ma fra tutte quella che ebbe più

importanza nella vita quotidiana della popolazione fu la pratica

della ampia riserva dei casi e quella, in parte connessa, delle

penitenze pubbliche.

Ambedue avevano un’origine nella volontà di costringere i ‘presunti’

peccatori a mutar vita (anche quando solo esprimevano un semplice

dissenso..). Non era una penitenza dalle maglie larghe quella

proposta da Carlo Borromeo: né la sua idea della confessione dei

peccati aveva niente a che spartire con quella finzione consolatoria,

di rimedio ai terrori e alla disperazione del peccatore, che per altri

era preminente. Questo lo si vede specialmente nell’ampiezza che

assunse sotto di lui il sistema di riserbare all’autorità del vescovo

una grande quantità di peccati.

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Nei casi di peccati socialmente noti, il peccatore doveva scontare 

pene che mostrassero a tutta la comunità l’abbandono delle 

pratiche colpevoli e il ritorno alla comunione ecclesiastica.

Era un principio affermato dal Concilio di Trento a cui Carlo

Borromeo dette particolare importanza. 

Per questa via, storie di peccati e penitenze riempirono la

corrispondenza tra l’arcivescovo e i suoi curati. 

Nel 1572, ad esempio, davanti al curato si presentò per confessarsi

un certo Bernardo da Dosso e confessò di aver ricorso a una pratica

superstiziosa per guarire dalla febbre di cui soffriva. Il suo caso

rientrava tra quelli per i quali Carlo Borromeo si era riservato l’

assoluzione. Il curato dovette perciò scrivere all’arcivescovo il quale

concesse l’assoluzione ma con precise condizioni:

 

Se la cosa è pubblica, lo farete stare un giorno di festa pubblica

sopra la porta della chiesa con una corda al collo, mentre si

diranno le messe, e voi essagerarete il fatto allo altare con un

sermone. Quando egli habbi segnato la febre ad altri, o insegnato

ad altri il segnarla, lo farete far duplicata penitentia.

 

La gamma dei casi riservati stabilita dal primo concilio provinciale

(1565) ne comprendeva dodici e andava dal rapimento di fanciulle

alla falsificazione di monete, di bilance, di misure.

E’ un elenco che negli anni successivi si complicò e si arricchì di una

casistica nuova.

Nel secondo sinodo diocesano milanese (1568) Carlo Borromeo

aggiunse per la sua diocesi una decina di casi in più, tra cui quello

di chi conosceva e non denunziava eretici o lettori di libri eretici (figurarsi

chi li scriveva….).

 

(In virtù di questo fatto, o mio caro uditore, dal passo scalzo o

calzato da ricco mocassino, di un buon bicchier di vino, con la 

rima di voglio rispondere, e dirti che il mio libro non è ancora

finito. Quando lo sarà a te io farò dono, dopo averlo incorniciato

e pubblicato con la mia povera moneta, almeno la storia non

dimentica la nostra pena e il tuo inganno. E ti lascio all’arte tua

che non è figlia della scienza, ma della più stupida e dubbia…

….coscienza…!)

(A. Prosperi, Tribunali della coscienza)

 

 

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E CONTRO L’INTOLLERANZA (primo germe del male…nominato guerra)ultima modifica: 2011-09-02T07:20:00+02:00da giuliano106
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