LA LETTERA

la lettera

 

 

Precedente capitolo:

il-giorno.html

Prosegue in:

un-nuovo-giorno.html

Foto del blog:

la-lettera.html

 

 

 

 

Eravamo seduti sui tavolacci, nella nostra baracca soffocante.

Parlai della nostra marcia attraverso la città e dei girasoli.

– Nessuno di voi li ha mai visti?

chiesi.

– Certo che li avevo visti,

fece Josek.

– Che cos’hanno di così strano?

Non volli spiegargli la profonda impressione che mi avevano

fatto i girasoli.

Non dissi che per amore di quei fiori invidiavo i tedeschi, e

che mi aveva preso un violento infantile desiderio di avere

anch’io un girasole…dei fiori.

Arthur intervenne:

– Sì, è tutta esteriorità. I tedeschi sono dei grandi romantici.

Ma a quelli che marciscono là sottoterra non serve più niente.

I girasoli marciranno come loro, l’anno venturo non ne resterà

più traccia a meno che non ne piantino di nuovi. Ma chi può

dire cosa succederà l’anno venturo?

Continuai il mio racconto.

Parlai dell’infermiera che era venuta a prendermi per condurmi

nell’ex segreteria di architettura. E raccontai della SS morente

al cui capezzale ero rimasto per ore, e della sua confessione.

Il bambino che in braccio a suo padre era saltato incontro alla

morte, lo chiamai col nome di Eli.

– Allora la SS sapeva come si chiamava il bambino?

chiese uno.

– No, sono io che gli ho dato quel nome, perché mi ricordava

un ragazzino del ghetto di Leopoli.

…Raccontai e raccontai (pagine e pagine…ricordi, libri…), e …

quando mi fermai un attimo a riordinare i miei pensieri, tutti

mi incalzarono a continuare.

Come mai non mi canzonavano?

E non mi trattarono male?

Eppure dovevano sentirsi chiamati direttamente in causa dalla

mia storia.

Quando dissi alla fine che il morente aveva chiesto a me il per-

dono del suo delitto, e io me ne ero andato senza una parola,

notai sul viso di Josek un lieve sorriso…

 

la lettera

 

 

Egregio signore,

 

 nel giugno del 1942, a Leopoli, in circostanze insolite, una giovane SS

che stava per morire mi confessò i suoi delitti. Voleva morire in pace,

mi disse, dopo aver ottenuto il perdono da un ebreo. Ritenni di dover-

glielo rifiutare.

Ne discussi poi a lungo con i miei compagni di deportazione, e, finita

la guerra, andai a trovare la madre del giovane nazista, ma non trovai

il coraggio di rivelarle la verità su suo figlio.

Questa vicenda continuava a tormentarmi.

Così decisi di fissarla per iscritto, e alla fine del mio racconto rivolgo

la domanda che ancora oggi merita una risposta, per il suo significato

politico, filosofico e religioso: ho avuto ragione o torto negando il perdo-

no? E ho voluto rivolgerla direttamente ad alcune persone importanti

di diverse nazionalità, persone al cui parere tengo in modo particolare.

      

                                                                          Simon Wiesenthal 

 

la lettera

  

                                              SVEN ALKALAJ

 

Primo ambasciatore della Repubblica di Bosnia ed Erzegovina negli USA.

 

La lettura degli avvenimenti descritti nel Girasole ha suscitato in

me grande interesse e commozione.

In qualità di bosniaco ed ebreo, posso affermare che mi trovo ad

affrontare lo stesso problema e lo stesso dilemma che ci propone

il Girasole.

Dopo la seconda guerra mondiale e il processo di Norimberga

pensavamo che non si sarebbe mai più ripetuto quanto era acca-

duto agli ebrei d’Europa.

‘Mai più’.

 

la lettera

 

Invece è accaduto di nuovo e proprio nel cuore dell’Europa.

Gli avvenimenti che hanno scosso la Bosnia e l’Erzegovina

negli scorsi tre anni e mezzo hanno qualche analogia con l’

Olocausto e possono servire da guida per cercare una rispos-

ta al problema del perdono.

Non voglio in alcun modo paragonare il genocidio in Bosnia

ed Erzegovina con l’Olocausto, né asserire che siano identici.

Voglio tuttavia affermare che esistono evidenti analogie nella

valutazione del valore della vita umana.

 

la lettera

 

A Sarajevo eravamo costretti a vivere come topi, alla ricerca

frenetica di cibo. L’unico accesso al mondo esterno era una

galleria fangosa e buia, di un metro e sessanta per un metro

e ottanta. Perfino il nostro presidente dovette adattarsi all’

insidia mortale di quel percorso.

Vivevamo nel terrore di non vedere l’indomani, ben consa-

pevoli che avremmo potuto essere le prossime vittime del-

la campagna di ‘indiscriminati’ cannoneggiamenti meglio

organizzata della storia.

Abbiamo assistito al massacro di Srebrenica, nel quale sono

stati uccisi 8000 innocenti, nonostante fossero protetti dalle

Nazione Unite.

In Bosnia Erzegovina abbiamo visto perire intere famiglie –

bambini deliberatamente uccisi, torturati e violentati – e ab-

biamo visto lo stupro diventare arma di guerra.

Nella sola Sarajevo sono state uccise più di 10.000 persone,

tra cui 1.700 bambini, e in tutto il paese più di 200.000.

 

la lettera

 

Ora riposano disseminati in tutta la città: troviamo le loro

tombe in quelli che erano i giardini, nei parchi, nei cortili.

Questa generazione bosniaca, e quella dei sopravvissuti

all’Olocausto, sono forse le uniche ad avere il diritto di

dare una risposta al problema del perdono: parafrasando

le parole di un compagno di Simon dirò:

nessuno che non abbia materialmente vissuto quello che

abbiamo vissuto noi, sarà mai in grado di capire del tutto. 

Anche se questo può sembrare poco attinente al tema del

perdono, posso assicurare che non è così.

Simon forse non era sicuro se fosse giusta la sua risposta

alla SS morente, ma una cosa invece era certa: non avrebbe

mai potuto dimenticare i delitti commessi.

Possiamo perdonare assassini ancora in vita?

 

la lettera

 

Il problema si può porre anche in questi termini: quanto,

quanto velocemente, con quanta facilità può un singolo

perdonare un massacratore e un aguzzino?

Chi ha diritto di parlare a nome delle vittime?

E si deve dimenticare, prima di perdonare?

Posso io perdonare un cecchino nazionalista serbo, che

con il fiato pesante di alcol piazzava granate in mezzo

alla gente in coda per il pane o per l’acqua?

Oppure un delinquente che, tra un sorso di alcol e una

sigaretta aspettava o forse ancora aspetta, di inquadrare

nel mirino un padre, un fratello, una sorella, o una figlia,

…un innocente comunque sia?

In questo contesto, la risposta per quel cecchino è no! 

(S. Wiesenthal, Il Girasole)

 

 

 

la lettera