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Libri, appunti, dialoghi….
Un sito…
I nomi, i luoghi e le persone hanno spesso un destino che li
accomuna.
Ognuno di noi è attratto nei luoghi che devono divenire il
teatro ove il destino stesso vede recitare i suoi attori.
Esiste un luogo, apparentemente fuori dallo spazio e fuori
dal tempo, un luogo deputato a sede dell’irripetibile.
Si chiama Dyrolhey.
Sono gli archi delle porte di un’isola che diviene terraferma:
infido approdo e guardiano di una laguna paradiso dei sen-
za nido dominati dall’istinto territoriale.
Dopo essere stato un’isola Dyrolhey è ora un promontorio che
si affaccia alto sul mare, sovrastato dalla bianca torre di un faro.
E’ un luogo di pace interiore dove un giorno, stanca di vita in
Europa, dei limiti orizzontali che costringono il suo sguardo,
Aivlis Aleunam, posseduta ed attratta dall’infinita totalità di
quell’orizzonte decise di trasferirsi a vivere.
Vivere nel faro.
E’ stata giudicata strana la scelta di Aivlis, una scelta ardita,
incompresa. Fino a trasformarla quasi in un’attrazione turisti-
ca. Molti avevano saputo che quella ragazza dai lunghi capel-
li viveva racchiusa nel faro in compagnia del vento e dei suoi
innumerevoli libri che a fatica erano stati portati lassù al suo
arrivo.
E tutti chiedevano, ma come fa a vivere senza telivisione, sen-
za telefono, non vuole sapere cosa succede nel mondo?
Ma qualcun’altro sapeva.
Infatti Aivlis, quasi di nascosto, con grande pudore, avvicina-
va i suoi messaggeri che di tanto in tanto rifornivano anche i
suoi frugali pasti: gli autisti che accompagnavano i gitanti che
periodicamente e senza regolarità, salivano al faro. Ed erano
solo loro a dialogare con gli occhi di Aivlis che è vero, non si
allineavano più davanti al telivisore, ma erano ormai abituati
a vedere oltre, come aveva loro insegnato l’orizzonte che sem-
pre più lontano chiudeva quella linea bianca di spuma di ma-
re.
Di quell’oceano grigio che trasformato in schiuma bianca si
infrange, si trascina e si ritrae sui sandur nell’unico legame fra
l’infinito e Dyrolhey.
Anche gli uccelli portano messaggi ad Aivlis.
Tornano tutti gli anni per spiegarle che la vita continua ed oc-
corre deporre le uova. Si schiuderanno nelle notti chiare d’esta-
te. E proprio Aivlis diviene parte di Dyrolhey. Lontano il suo
nome è solo mormorato quasi nel timore lei possa sentire.
Ma gli uccelli lo urlano con quel loro grido stridente e rapido….
Aivlis, Aivlis, Aivlis.
Ad ogni battito d’ali è una festa.
Loro sanno che a lei piacciono le feste. E lei esiste.
Quando c’è il vento, invece, lasciano che sia questo a chiamarla
attraverso gli spifferi delle finestre del faro. Qui Aivlis, la chia-
mano.
Qui Aivlis, qui Aivlis.
E lei corre dall’una all’altra finestra, mai stanca di scrutare nella
notte del giorno invernale, quando nemmeno gli uccelli volano.
E lei esiste.
E’ così che gli occhi di Aivlis cambiano, mutano espressione, ra-
pidi nel movimento, enigmatici nel guardare al di là del presen-
te. Solo Runar oggi scuote la testa e riconosce. E’ arrivato con i
suoi gitanti, ignari di quella solitudine che si consuma lassù.
Ha subito notato la porta del faro: è aperta, spalancata.
Sbatte col vento.
Oggi gli uccelli non chiamano Aivlis, Aivlis, Aivlis.
Il mare non è il solito.
Ecco, Runar vede e capisce.
Non c’è schiuma nel mare capace di nascondergli dov’è Aivlis.
Oggi ha voluto volare col vento, verso quella porta scolpita nel
mare, quella porta attraverso la quale raggiungerà l’orizzonte.
Lentamente, come quelle pagine, quei foglietti, quei frammenti
di libri che ancora galleggiano e si confondono con le schiume
del mare, anche loro liberati da Aivlis e dal suo amico vento.
In silenzio Runar chiude la porta del faro.
Aivlis Aleunam non abita più qui.
(Ma io e Aivlis esistiamo…. e degli altri poco sappiamo…)
(Manuela Silvia Campanini)