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Silvio Pellico, ‘Le mie prigioni’:
….Il processo si concluse con la condanna a morte del Pellico.
Poi intervenne la grazia e la pena capitale fu commutata nel
carcere a vita nella fortezza dello Spielberg.
Lo Spielberg era una vecchia e tetra fortezza appollaiata in
vetta a un’altura che domina Brno. A popolarla per primi
erano stati i condannati del processo Villa: Foresti, Solera,
Oroboni, Fortini, Munari, Bacchiega.
Poco dopo vi erano giunti Maroncelli e Pellico, cui dobbia-
mo la minuta descrizione di quel plumbeo carcere.
Le celle erano antri sotterranei, stillanti umidità e senz’altro
mobilio che un tavolaccio e una brocca d’acqua. Regola e
dieta erano così dure che, se i guardiani avessero dovuto
applicarle alla lettera, nessun prigioniero vi avrebbe soprav-
vissuto. Per fortuna erano gente del posto, buoni diavoli che
in fondo simpatizzavano con le loro vittime e il poco che po-
tevano per alleviargli la pena e arrotondargli il rancio, lo fa-
cevano.
I detenuti li secondavano arrangiandosi, da buoni italiani,
in mille modi. Alcuni si specializzarono in maglieria per ri-
pararsi alla meglio dal freddo. Maroncelli riuscì a ricavare
materiale per scrivere ingommando con mollica di pane
sciolta nell’acqua i fogli di carta igienica, fabbricando pen-
nini con lische di pesce e inchiostro con residui di medici-
nali. Dapprincipio i prigionieri vennero tenuti in stretto i-
solamento, senza contatti fra loro.
Ma poi furono messi due a due per mancanza di spazio.
Confalonieri ebbe un trattamento speciale: gli furono conces-
se due celle, le migliori, e il diritto di scegliersi il compagno.
Moretti, che invece si era condotto con magnifico coraggio,
ora dava segni di squilibrio, in tutti vedeva traditori e dela-
tori, e ogni poco piombava in cupe crisi di disperazione.
Col mondo esterno, nessuno aveva rapporti.
Le giornate scorrevano vuote e uguali: a riempirle c’era so-
lo la disperata lotta per sopravvivere alla fame e al freddo.
Ma non tutti ci riuscirono, molti morirono in mezzo agli
stenti.
Pellico e Maroncelli furono liberati solo dopo nove anni,
quando ormai erano ridotti a rottami.
(Indro Montanelli, Storia d’Italia)