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Sbucarono insieme, precisi, quasi avessero un appuntamento
preciso.
Sbucarono subito, mentre giravi in via Diakou.
Una BMW rossa e una Peugeot grigio argento.
E certo non te ne meravigliasti: che sarebbe successo lo avevi
capito in via Poseidonos quando volevi tornare indietro e fer-
marti con la scusa del buzuki, poi te n’eri convinto in via Sigru
quando t’eri liberato della Sugiulzoglu.
Del resto i testimoni che la polizia del Potere avrebbe ignorato o
zittito l’indomani mattina dissero che dietro alla Fiat verde mela
non c’era la Peugeot e basta: c’era anche una macchina rosso rug-
gine o rosso granata, forse una Jaguar e forse una BMW.
Ti trovasti fra le due come un topo preso in trappola, ed è pos-
sibile che lì per lì tu volessi scappare.
Ma subito sbocciò l’irresistibile impulso di affrontarli, vederli,
nella loro vigliaccheria, sulla faccia, scoprire chi fossero, batterti
insomma nel medesimo modo in cui t’eri battuto a Creta e a
Roma e ad Atene e tutte le volte che avevano tentato di intimo-
rirti o provocarti o ucciderti, e l’hanno fatto mille e mille volte,
e tutte le volte con lo stesso piacere, con lo stesso sadismo vi-
gliacco.
Poi rifiorì la stanchezza di vivere che deriva dalla stanchezza
di perdere, quindi il bisogno di vincere almeno da morto.
Fu all’altezza di San Demetrio che l’automobile rossa ti tampo-
nò sulla targa.
E fu dopo la gobba che ti sorpassò un’ultima volta per allonta-
narsi, perdersi nel buio (e tu li vedesti, forse non li dimentiche-
rai, ridevano…felici…).
Ma mentre ti sorpassavano per allontanarsi e perdersi nel buio,
i due a bordo dell’automobile rossa usarono o no la rivoltella
a gas?
Una rivoltella identica a quella che il giudice istruttore archiviò
con tanta disinvoltura in agosto. Numero matricola 159789, made
in West Germany; canna corta, impugnatura tozza. Il caricatore
contiene cinque proiettili a cilindro, cinque cartucce metalliche
con un piccolo foro da cui esce un gas che evapora quasi senza
lasciare tracce.
(…….) E tu schizzasti via come un proiettile mentre, con una
manovra di gran kamikaze, da killer addestrato sui circuiti
aperti del Canadà, lui virava quasi ad angolo retto per inserirsi
nel raccordo dello spartitraffico che divide via Vouliagmeni.
Schizzasti via in trasversale, montasti sull’ampio marciapiede,
sullo spiazzato al garage con la scritta Texaco, evitasti di
qualche metro il palo di un lampione e, attraverso il sudario
di stupore, di sonno, tentasti invano di rallentare la corsa
frenando.
La tua Primavera era ormai decollata.
Alta e decisa volava inesorabile verso lo scivolo che scende nel-
l’autorimessa, la botola col cartello Buon Viaggio, Kalon Taxidi,
e niente avrebbe potuto fermarla.
Forse, se il volo fosse durato due metri di più, avrebbe potuto
saltare il vuoto dello scivolo e atterrare di nuovo nel mondo dei
vivi: avresti potuto salvarti.
Ma ciò non rientrava nei piani degli dèi, del tuo destino già scrit-
to, e presto lei perse quota, abbassò il muso puntando sul muro
che un attimo avanti non si vedeva e all’improvviso si vedeva, ti
cadeva addosso con rapidità folle, cessava d’essere un muro per
diventare uno schianto, il boato di una bomba che esplode, la
fine….
(Oriana Fallaci, Un Uomo)