GLI OCCHI DELL’ANIMA

Consolatio a se stesso per la partenza

del suo amico…..

 

gli occhi dell'anima

 

 

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gli occhi dell’anima

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Frammenti in rima


 

gli occhi dell'anima

 

 

 





Da magnanimo uomo, cresciuto libero in libera città, con

siffatte alte parole Pericle sollevava la sua anima; io invece,

da questi uomini nato,

 

                                           quali sono oggidì i mortali,

 

con parole più umilmente umane mi consolo e tento di evadere,

cercando di toglier via la troppa amaritudine del mio dolore e

per ciascuno dei molesti e strani fantasmi dell’immaginazione,

che dal presente stato delle cose insorgono e di continuo m’

inseguono, provando a inventarmi un qualche rimedio, quale

un incantesimo che possa alleviare un morso di fiera nel pro-

fondo del mio cuore.

Ecco la prima di quelle visioni moleste: subito sarò lasciato

solo e privo degli schietti incontri in uso fra noi, e dei liberi

conversari.

Né vedo più alcuno cui mi possa aprire con uguale confiden-

za.

Ma forse mi è facile parlare con me stesso?

O forse qualcuno mi vorrà togliere anche il bene del pensiero e mi

costringerà a volgere la mente e indirizzare l’ammirazione verso

cose altre e diverse da quelle che sieno nel mio intendimento?

O non sarebbe questo davvero un bel portento, come lo scrivere sull’-

acqua o il cuocere una pietra o l’inseguir le tracce d’uccelli in volo?

Poiché mai nessuno ci potrà privare del nostro pensiero, non v’è

dubbio che ciascuno di noi potrà in qualche modo intrattenersi con

se stesso. 

Forse anche il dio ci darà qualche buon suggerimento: non è verisimi-

le che dall’essere superiore venga trascurato del tutto e abbandonato

in totale solitudine  chi a lui s’affidi; al contrario, su di lui il dio gli

da coraggio, infonde in lui forza d’animo e indica alla sua mente

quali cose egli debba fare e da quelle altre lo dissuade, dalle quali

si debba astenere.

Appunto una voce divina accompagnava Socrate e lo tratteneva da

ciò ch’egli fosse in dovere di non fare.

E Omero dice di Achille:

 

                                                lo ispirò la dea

 

Come per insegnare che dagli dei sono risvegliati in noi i pensieri,

quando l’anima, ripiegando in sé, dapprima con se stessa indugia,

poi, nel segreto della propria interiorità, incontra il dio, da sola a

solo, non impedita da nessuno.

Non ha bisogno dell’udito l’anima per intendere né il dio della voce

per insegnarci il nostro dovere: del tutto al di fuori dell’umana

sensibilità, dall’iniziativa dell’essere superiore discende la sua

partecipazione alla nostra mente; per qual via e come, non si dà

l’occasione di esaminare, ma così avviene e di tale evento abbiamo

chiare testimonianze, non di gente inattendibile e da mettere 

da parte, insieme con i Megaresi, bensì di persone che primeggiano

per la loro sapienza. 

Poi che dunque è da far conto in ogni caso sull’assistenza del dio e

sulle risorse della nostra vita interiore, si deve toglier dal nostro

dolore la soverchia amarezza.

Di Odisseo, in compassionevole solitudine si impari.

Di Odisseo in prigionia sull’isola per sette anni, rendo lode ai

meriti della perseveranza.

Lui e solo lui ci ha insegnato il non arrendersi, il non tirarsi indietro

di fronte alla fortuna, e alla sfortuna, al male degli uomini, alle

loro meschine condizioni terrene.

Bensì mostrare il proprio valore sino all’estremo della terribilità dell’

intelligenza, questo è il comportamento di chi sappia trascendere

l’umana e bassa condizione terrena.

Ne sarebbe giusto celebrare gli eroi d’una volta, senza imitarli, né

credere che il dio, sollecito a soccorrerli, non si dia pensiero degli

uomini d’oggi, quando li veda alla ricerca di quella stessa virtù,

per la quale appunto di quelli si compiaceva.

(Giuliano Imperatore, IV, (VIII) Consolatoria a se stesso, VI)



 

 

gli occhi dell'anima

      

PERCHE’ RIDE

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Dio ride

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perché ride


 

perché ride

 

 

 






Il progresso filosofico e teologico del XIII secolo ha fatto seguito

all’invasione dell’Occidente latino da parte delle filosofie arabe

ed abraiche e, quasi contemporaneamente, delle opere scientifiche,

metafisiche e morali di Aristotele.

L’opera dei traduttori ha dunque preceduto e condizionato quella

dei filosofi e dei teologi.

 

perché ride


Fin dalla metà del XII secolo, il francese Raimondo di Sauvetat,

arcivescovo di Toledo verso il 1126-1151, fa tradurre o incoraggia

la traduzione in latino di opere di Aristotele, di al-Farabi, di Avicenna,

di al-Ghazali e di Avicebron.

Tra i primi traduttori dominano due nomi, Domenico Gundissalino

traduttore e autore di trattati originali, chiamato spesso Gundisalvi,

e Ibn-Dahut. S’incontra anche il nome di un certo Giovanni Ispano

che non si sa se sia o no lo stesso Giovanni di Toledo e Giovanni di

Siviglia, e nemmeno se questi diversi nomi non indichino semplicemente

Avendeath (Ibn-Dahut).

 

perché ride


Il loro lavoro si svolgeva in condizioni difficili.

Quando si trattava di scritti di Aristotele, le traduzioni arabe di cui

disponevano erano state a loro volta tradotte da una traduzione

siriaca del testo greco; per  tradurle in latino bisognava spesso

trovare un ebreo o un arabo, che le traducesse parola per parola

in lingua volgare e ritradurle un’ultima volta, parola per parola,

in latino.

Per quanto esse talvolta siano oscure, le traduzioni di Aristotele

incominciate in Italia un po’ più tardi non potevano non risultare

più utilizzabili.

 

perché ride


Queste prime traduzioni hanno avuto nondimeno un ruolo importante.

Gerardo da Cremona (morto nel 1187) traduce così dall’arabo i

‘Secondi analitici’, con il commento di Temistio, il ‘De naturali

auditu’ (fisica), il ‘De coelo et mundo’, ‘De generatione et corruptione’,

e le ‘Meteore’.

Gli si deve inoltre, la traduzione latina del ‘Liber causis’, composizione

neoplatonica dell’ ‘Elementatio theologica’ di Proclo, ma che è stata

considerata a lungo opera di Aristotele. 

 

perché ride

 

 ….Ma le traduzioni toledane, di cui più profonda fu l’influenza

immediata, furono quelle delle opere originali degli stessi filosofi

arabi ed ebrei. 

La ‘Logica’ di Avicenna, tradotta da Giovanni Ispano, poi la fisica

(Sufficentia), il ‘De coelo et mundo’, il trattato dell’anima e la

‘Metafisica’ tradotte da Domenico Gundissalino, aiutato da Giovanni

Ispano e dall’ebreo Salomone; agli stessi traduttori si deve la 

‘Logica’, la ‘Fisica’ e la ‘Metafisica’ di al-Ghazzali e il ‘Fons vitae’

d’Ibn Gabirol; Giovanni Ispano traduce il ‘De differentia spiritus

et animae’, attribuito dai suoi lettori medievali al medico siriano

Costa ben Luca, ma la cui autenticità non è affatto del tutto

sicura: Gerardo da Cremona traduce diversi trattati di al-Kindi

e forse il ‘De intellectu’ di al-Farabi.

Questo insieme di traduzioni ha esercitato sul pensiero del secolo

successivo un’influenza profonda, durevole e relativamente

omogenea……

(Gilson, La filofia nel Medioevo)


 

 

 
 

 

perché ride

 

LA RIVOLTA CONTINUA

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all’inferno rovente

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il ricco e il povero

Dialoghi con Pietro Autier 2

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Frammenti in rima


 

la rivolta continua

 

 






Finalmente le trova, io carico quattro pistole e sparo dai portelli del

quadrato.

Queste armi fanno meraviglie.

Dopo averle caricate esco dal quadrato per un portello e salgo sul

cassero impugnandone una per mano. I nostri signori ufficiali e

marinai hanno già sparato quattro colpi di pistola facendo saltare

i negri che trovano rifugio chi nella stiva centrale e chi fuori bordo,

gettandosi a mare.

Due disgraziati sono ancora alle prese con i poveri signori Devomu-

lon, Couran e Hardy. Sul cassero abbiamo il nostro da fare per evi-

tare che ci sfuggano i due sobillatori della rivolta, ma ve ne sono

altri che intendono salire. Se non fossimo riusciti a impadronirci

del quadrato non so come avremmo potuto ridurre alla resa i negri. 

 

la rivolta continua

 

 I colpi di arma da fuoco hanno avuto molto effetto, specialmente

quelli sparati sulla dritta della coperta. Ad un tratto il signor

Devomulon è passato al contrattacco ed ha portato sul cassero,

facendola passare per un portello, una caldaia piena di orzo

bollente che era destinato al rancio dell’equipaggio e dei negri.

Aiutandosi con un capace mestolo ha versato il liquido bollente

in testa ai negri che, vedendosi minacciati sulla sinistra e bersa-

gliati dai colpi di pistola sulla dritta, si gettano in mare o si preci-

pitano lungo il corridoio. Subito provvediamo a bloccare le serret-

te delle stive con bagagli ed altro oggetti pesanti che troviamo in

coperta.

I negri che si sono gettati in mare ci danno ancora da fare perché

tentano di risalire a bordo dal timone o dalle biscagline per

penetrare in quadrato e sorprenderci. 

 

la rivolta continua


Uno è già arrivato all’altezza dei portelli, ma noi ora siamo molto

meglio armati di prima, disponiamo di sciabole, fucili, pistole,

polvere e palle, e, non appena scorgiamo la testa dell’uomo che si

affaccia nel quadrato del portello, gli spariamo un colpo di pistola.

La stessa cosa facciamo contro gli altri tre che lo seguono.

Uno rimane ucciso.

Degli altri due che sono sul coronamento, uno riesce a sfuggire e

a guadagnare il parasartie. Lo uccidiamo con un colpo di fucile.

Nello stesso momento si ode qualcuno che tenta di smuovere

la serretta della stiva prodiera. Subito barricchiamo anche que-

sto boccaporto.

Alcuni negri hanno sfondato la porta della combusa ed hanno

bevuto un po’. Avendo liberata la coperta a prua, piazziamo del-

le sentinelle armate alle stive. 

 

la rivolta continua


Il signor Devomulon con altri sei – lui armato di uno spiedo, un

altro con un forcone e gli altri di sciabole e pistole – si dirigono

verso il casseretto per vedere di ridurre alla ragione le due belve

che vi si sono rifugiate.

Uno viene ucciso a colpi di spiedo vicino all’ingresso del quadra-

to. Il negro inglese, vedendo il suo camerata massacrato, entra

nella cabina del signor Devomulon, che dà sul quadrato a sini-

stra, e scaglia quattro o cinque bottiglie di vino rosso che ha

trovato a portata di mano sulla testa del signor Devomulon e

degli altri. Poiché la porta della cabina è una porta scorrevole,

la spingiamo e riusciamo a rinchiudere il negro.

La fine di questi due segna anche la fine della rivolta.

L’inglese implora grazia.

Lo tiriamo fuori dal quadrato mentre gli altri, a uno a uno, si

arrendono.

Gli mettiamo i ferri.

 

la rivolta continua


Ce ne è ancora uno in mare che preferisce affogare piuttosto che

arrendersi. Ristabilito l’ordine vediamo che mancano nove negri.

Tre sono stati uccisi a colpi di pistola a poppa e sul coronamento,

uno si è strangolato, altri due sono stati accoppati a colpi di aspa

e di mazza di ferro, un altro con uno spiedo contro la porta del

quadrato nel corridoio ed infine due sono annegati.

Per oggi tutti i negri sono lasciati tranquilli.

Domani i colpevoli saranno puniti.

(Dam Joulin. I negri si sono rivoltati)




 

 

la rivolta continua

 

I NEGRI SI SONO RIVOLTATI

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Dialoghi con PietroAutier 2

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all’inferno rovente

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i negri si sono rivoltati

 

 

 




Novembre 1738.

Da ieri a mezzogiorno fino alle cinque di stamattina abbiamo avuto

una brezza fresca da est-nord-est e da nord-nord-est.

La nave fa molta fatica a governare per sud-sud-est una quarta est.

Non ho provveduto a registrare le altre rotte sul giornale di bordo

perché ci è capitato un incidente molto noioso.

I negri si sono rivoltati.

La sera, prima dell’ora della preghiera, li abbiamo sentiti parlottare:

sembrava che stessero bisticciando fra di loro. Li abbiamo costretti

a tacere frustandoli.

Per tutto il resto della notte non abbiamo più sentito alcun rumore,

ma, alle cinque di questa mattina, due negri sono comparsi dalla

serretta del boccaporto; sembravano essere in ferri. Si sono diretti

verso la sentinella come per domandare il permesso di accendere

le pipe e quella, armata di un coltello da caccia, per un po’ di tempo

si è rifiutata di lasciarli passare.

I due individui allora le saltano addosso, si impadroniscono dell’

arma e colpiscono più volte la guardia lasciandola lì, moribonda.

Nello stesso istante tutti gli altri schiavi sciamano come impazziti

dal boccaporto; sono infuriati e armati di sbarre di ferro che sono

riusciti a divellare senza farsi sentire. Si sono inoltre liberati dai

ferri. 

 

i negri si sono rivoltati


Due di loro hanno la sfrontatezza e l’ardimento di saltare sul cassero;

mentre uno sembra esitare, l’altro si precipita verso la branda del

signor Devomulon sita sulla sinistra, passando in mezzo a molti

del nostro equipaggio che sono disarmati. Fortunatamente lo scorge

in tempo e si butta giù dalla branda altrimenti il negro lo avrebbe

ucciso. Saltiamo addosso allo schiavo, ma egli tenta di strangolare

il signor Hermieux. Dopo una breve lotta riusciamo finalmente a

immobilizzare l’energumeno che poi si strangola da se stesso. 

 

i negri si sono rivoltati


Altri due negri, di cui uno aveva viaggiato con gli inglesi, saltano

sul cassero e vi menano strage. Uno si è impadronito di un coltello

da caccia e l’altro impugna una grossa clava e un coltellaccio.

Riesce anche ad afferrare una pistola che, fortunatamente, è scarica.

Passando per il ponte sotto il cassero si gettano quindi sul contra-

mastro Martin Hardy che dorme nella sua branda e lo massacrano.

Hardy stava godendo del suo turno di riposo e non aveva sentito

il gran fracasso prodotto da questi animali.

 

i negri si sono rivoltati


Si precipitano quindi nella cabina del signor Pierre Couran, il secondo

ufficiale, e gli fanno subire la stessa fine. In quell’istante il signor

Foures, il capitano, esce gridando dalla sua cabina. Ma si trova la

via sbarrata da uno di quei miserabili che lo colpisce con una legnata

in testa facendolo stramazzare ai suoi piedi.

Il negro, credendo di avere ucciso la sua vittima, la abbandona, ma

a poco a poco il signor Foures riprende i sensi, tenta di risollevarsi

per porsi in salvo, ma altri due schiavi lo colpiscono ancora

ripetutamente sulla testa. Mentre uno infierisce sul ferito con una

mazza e il calcio di una pistola, l’altro lo accoltella. Così hanno

trattato anche Pierre Couran e Martin Hardy.

Io ho già ricevuto due colpi.

Il primo alla testa, mentre tentavo di salire sul cassero, mi ha stordito

e fatto cadere. Recuperati i sensi, ho di nuovo tentato di salire la

scala, ma vi avevo appena posato il piede che qualcuno mi ha sferrato

una tremenda botta al ginocchio sinistro che si è subito gonfiato oltre

misura.

Non so con cosa mi abbiano colpito. 

 

i negri si sono rivoltati


Agguanto un attizzatore da cannone e lo lancio sulla testa del mio

aggressore riuscendo a stordirlo, ma non molto perché ce la fa ad

allontanarsi. Poiché sul cassero non ci sono armi da fuoco, sono

obbligato a scendere. Non sapendo in quale posto rifugiarmi, mi

dirigo in quadrato e incontro Bouguer che anche lui tenta di porsi

in salvo.

Minier, che era stato ferito a Santiago da un colpo di cannone, si

è barricato dentro e non vuole aprirci perché crede di aver a che 

fare con i negri.

Finalmente ci apre, ma non appena varchiamo la soglia ci si butta

contro e per fortuna facciamo appena in tempo ad evitarlo.

I negri non pensano più a noi; vedendo la porta si precipitano come

dannati nell’armeria, ma riusciamo a barricare l’ingresso con casse,

bauli e valigie.

Finalmente troviamo le armi, ma non sono cariche.

Il ferito trova sei cartucce in un paniere di cipolle.

Le munizioni ci debbono essere, ma non si sa dove sono…..

(Dam Joulin, I negri si sono rivoltati)




 

 

i negri si sono rivoltati

 

PREGHIERA PER UN BAMBINO (la volante) (2)

 preghiera per un bambino 2

 

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di là del fiume e tra gli alberi

(Dialoghi con Pietro Autier 2)

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preghiera per un bambino 2

 

 

 

 

 

 


Quelli della squadra stavano aspettando nell’officina: c’erano lo

Smilzo e gli altri giovani….

– Ci sono sei motociclette in paese: io vado da Breschi a prendere

la ‘Guzzi’ da corsa, voi andate a prendere le altre. Se non ve le dan-

no, sparate!!

Scattarono.

Don Camillo corse da Breschi.

– Se non mi dai la moto, questo bambino muore. E se muore io ti

rompo il collo!!

Disse don Camillo.

Non aprirono neanche la bocca e gli piangeva il cuore pensando

a quelle macchine veloci, volano più rapide del vento…, nuove

di zecca, buttate allo sbaraglio in mezzo al fango e alla notte….

…per quei bambini….

 

preghiera per un bambino 2

 

Dieci minuti dopo la squadra era al completo, sulle motociclet-

te rombanti. C’era qualche testa rotta in qualche casa, ma don

Camillo disse che questo non aveva importanza.

– Siamo in sei: uno deve arrivare per forza in città,

spiegò don Camillo.

Egli era a cavalcioni della ‘Guzzi’ da corsa, rossa e scintillante, e

aveva il bambino in grembo. Se lo fece assicurare bene col mantel-

lo e una corda, poi partì.

Due davanti, due dietro affiancati, in mezzo don Camillo e, davanti

a tutti, Peppone sulla enorme ‘DKW’ di Bolla, lungo le strade buie

e deserte e squallide della Bassa, la ‘Volante’, saetta sotto la piog-

gia e la neve.

 

preghiera per un bambino 2

 

La strada è viscida, le curve improvvise e insidiose.

Le ruote rasentano i fossi, i muri: ma la ‘Volante’ non si ferma.

Via, via, via dentro il fango, in mezzo al ghiaietto.

Ed ecco la grande strada asfaltata.

Le macchine rombano, ed è una corsa folle (contro il tempo).

Ma, ad un tratto, don Camillo sente un gemito doloroso usci-

re dal fagotto che ha in grembo. Bisogna far più presto.

– Gesù,

implora don Camillo a denti stretti.

– Gesù, dammi ancora del gas!!

– Gesù li posso salvare!!!

Ed ecco che la ‘Guzzi’ ha come un balzo. Pare più veloce di un

aereo ultima generazione. Pare che dentro i cilindri abbia tutta

la fabbrica di Mandello, o quella grande che ha visto nel nuovo

continente, con tutta la commissione al completo…

VIA, VIA!!!!

 

preghiera per un bambino 2

 

Li passa tutti e Peppone se la vede sgusciare di fianco e non può

seguirla perché non ha più niente da girare: lui non ha un Gesù

come quello di don Camillo cui chiedere ancora del gas….!!

Corre la ‘Volante’ nella notte, ed è una corsa infernale…

MA DON CAMILLO ASSIEME AL SUO PEPPONE…..VOLANO…

Don Camillo non seppe mai come arrivò.

Gli dissero che egli arrivò con un bambino (forse cento, forse…

migliaia…) in braccio, assieme a Peppone, prese per il collo il

portiere d’ospedale, poi spaccò con una spallata una porta, poi

minacciò di stritolare la testa a un dottore.

Il fatto è che la ‘Volante’ ritornò senza il bambino, senza soldi,

senza troppa credibilità…

….Il fatto che ormai il bambino aveva solo bisogno di un po’ di

riposo nella bella camerina all’ospedale.

Ritornò la ‘Volante’ la notte stessa, ed entrò in tanti paesi romban-

do più veloci e rumorosi di un aeroplano, quelli ultima generazio-

ne…..PIENI DI GLORIOSO FANGO!!!

(Guareschi, Don Camillo e il suo gregge)

….Due volanti…

www.emergency.it & 

www.actionaid.it


 

 

 

 

 

preghiera per un bambino 2