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L’ottava, l’ultima, dal manicomio.
Un errore, un grave errore da parte mia. Aver permes-
so che quel lurido italiano scegliesse il punto dove met-
tere in acqua la zattera.
Duecento metri più in giù, verso la macelleria, avrem-
mo certamente avuto più facilità a varare quelle botti.
La panchina dove Dreyfus, condannato innocente, ha
trovato il coraggio di vivere ugualmente, deve pur ser-
virmi a qualcosa.
Non mi devo dichiarare vinto.
Tentare un’altra evasione.
Sì, questa pietra, liscia, che sovrasta un abisso di sco-
gli, dove le onde battono con rabbia e senza sosta, per
me dev’essere un conforto e un esempio.
Dreyfus non si è mai lasciato abbattere e sempre, fino
alla fine, ha lottato per la propria riabilitazione.
E’ vero che c’è stato Emile Zola con il suo famoso J’-
accuse, che l’ha difeso.
Tuttavia, se non fosse stato un uomo in gamba, di
fronte a tanta ingiustizia si sarebbe buttato nell’abis-
so, e proprio da questa panchina.
Ha tenuto duro.
Io non posso essere da meno, e devo abbandonare l’-
idea di fare una nuova fuga sotto l’insegna:
vincere o morire.
E’ la parola morire che devo abbandonare, per pensa-
re soltanto che devo vincere ed essere libero.
Durante le lunghe ore che passo seduto sulla panchi-
na di Dreyfus, il mio cervello vagabonda, sogna il pas-
sato e si costruisce un avvenire tutto rosa….
A forza di guardare il mare senza vederlo veramente,
conosco tutti i capricci possibili e immaginabili delle
onde che seguono il vento.
Inesorabilmente il mare, senza staccarsi mai, assalta
gli scogli più sporgenti dell’isola. Li spoglia, li scorti-
ca, ha l’aria di dire all’Isola del Diavolo:
‘Vattene devi sparire, mi sei d’ostacolo quando mi
butto sulla Grande Terre, mi sbarri la strada. E’ per
questo che tutti i giorni instancabilmente, ti derubo
di una parte di quello che sei!’.
Se c’è una tempesta il mare è tutto contento e non so-
lo abbatte, e ritirandosi rastrella, quanto è riuscito a
distruggere, ma cerca anche e fa in modo di buttare
acqua in tutti gli angoli, persino in quelli più remoti,
per minare da sotto un po’ alla volta, quelle rocce gi-
gantesche che hanno l’aria di dirgli:
‘Guarda che qui non si passa’.
E’ stato a questo punto che ho scoperto una cosa
importante.
Proprio sotto la panchina di Dreyfus, arrivando ad-
dosso a scogli immensi a schiena di mulo, le onde
assaltano, s’infrangono e si ritirano con violenza…..
(H. Charrière)