PIETRO AUTIER

QUARTO POTERE (un altro dialogo…) (26)

Precedenti capitoli:

not now John (24) &

uccidere cantando (25)

Prosegue in:

la testa dell’Uomo Elefante (2)

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la testa

dell’ Uomo Elefante

Da:

i miei libri

 


 







Gli occhi chiari e vicini di Hearst ora guardavano fissi

Roosevelt; l’effetto era ciclopico, intimidatorio.

“Innanzitutto, direi che non fa alcuna differenza su chi

siede sulla sua poltrona. Il paese è guidato dai trust, co-

me a lei piace ricordarci.

I trust hanno comprato tutto e tutti, incluso lei. Ma non

possono comprare me. Sono ricco. Perciò sono libero di

agire come voglio, e lei no. In generale, li appoggiò sol-

tanto per tenere calma la gente, per ora. Riesco a farlo

attraverso la stampa.

 


Adesso lei è solo il titolare di una carica. Ben presto dovrà

lasciare questo posto e ciò significherà la sua fine. Ma io

andrò avanti e continuerò a descrivere il mondo in cui vi-

viamo, che diventerà quello che dirò io.

Quando nessuno saprà più qual è la differenza tra lei e

Chester A. Arthur, io sarò ancora qui”.

Il sorriso di Hearst era glaciale.

“Ma se si ricorderanno di lei, sarà perché io ho deciso di

rammentarglielo, dicendo loro, come io l’ho inventata, in

origine, a Cuba”.

“Lei, Mr Hearst, ha elevato il Quarto Potere a un livello

mai visto prima….”.

 


“Lo so. E per una volta lei ha ragione. Ho messo la stampa

sopra ogni altra cosa, ad eccezione forse del denaro, e per-

fino quando si tratta di denaro, di solito sono in grado di

far salire o scendere il mercato.

Quando ho fatto – dovrei dire inventato – la guerra contro

la Spagna, tutta una finzione tanto per cominciare, ho

provveduto che la guerra finisse per diventare vera, come

poi è successo. Nel bene e nel male, abbiamo acquistato un

vero e proprio Impero dai Caraibi alle coste della Cina.

Ora, nel corso di questo processo, molti pesci piccoli come

lei o Dewey ne hanno tratto vantaggio.

 


Temo di non essere riuscito a controllare la situazione,

una volta messa in moto.

Nessuno poteva.

E poi ero anche disorientato dal fatto che, una volta che

inizi una guerra, devi avere degli eroi.

Così lei, tra tutte le persone, è venuto fuori, pieno di vitalità,

e io ho detto ai redattori: “Va bene. Inventatelo”.

Ed è così che un politico di second’ordine di New York, che

si aggirava intorno a Kettle Hill, cieco come un pipistrello

e più o meno altrettanto efficace, si è trasformato in un eroe

di guerra.

Ma lei sicuramente ha saputo come approfittare. Glielo ri-

conosco. Di tutte le mie invenzioni, è stato lei a balzare fuo-

ri dalle pagine del ‘Journal’ e a raggiungere la Casa Bianca”.

Hearst si appoggiò allo schienale della poltrona, le mani

strette dietro la testa. Gli occhi rivolti al ventilatore sul sof-

fitto.

 


“Quando ho visto che cosa le mie invenzioni erano in gra-

do di fare ho deciso di farmi eleggere anch’io. Volevo dimo-

strare come riuscissi a sfidare le persone che possiedono

il paese che io….sì, ho contribuito a inventare, e vincere.

Be’, sono stato obbligato a pagare lo scotto dell’inventore.

Ero, e lo sono tuttora, evitato e temuto dai ricchi, che inve-

ce amano lei.

Non sarei mai riuscito a estorcere del denaro alla Stan-

dard Oil, come ha fatto lei. Perciò nella lunga, anzi, nel-

la breve corsa a queste stupide elezioni, chi paga di più

vince.

 


Ma lei e quelli come lei non reggerete per sempre.

Il futuro è dell’uomo comune, e di uomini comuni ce ne

sono molti di più rispetto a quelli come lei….”.

“O come lei”. Roosevelt fissava il ritratto di Lincoln ap-

peso alla parete di fronte a lui, il volto malinconico rivol-

to verso qualcosa di indefinito oltre la cornice.

“Be’, Mr Hearst, sapevo che lei era un editore presuntuo-

so, ma non mi ero mai reso conto che era l’unico invento-

re di tutti noi…..”.

“Non affronterei la questione in termini così pomposi”.

Hearst era bonario.

“Io mostro questo paese semplicemente per quello che

è al momento. Non è certo la parte più significativa del

lavoro, anche se lei dovrebbe ringraziarmi dal momen-

to che è il maggiore beneficiario di quello che ho fatto”.

Roosevelt sistemò le raccolte di leggi che erano sul tavo-

lo.



“Che cosa sa di me e di Mr Archbold?”.

“La Standard Oil ha aiutato ha finanziare la sua ultima

campagna. Lo sanno tutti”.

“Ha in mano qualche prova del fatto che io abbia mai

chiesto del denaro?”.

“Le richieste esplicite sono state fatte da Hanna, Quay

e Penrose. Lei vi ha solo fatto cenno”.

“Mr Archbold è il mio vecchio amico”. Roosevelt sembrò

proseguire ma si interruppe.

La voce di Hearst era trasognata.

“Sto per fare allontanare molti uomini dalla vita pubbli-

ca. Sto anche per smascherarla per quell’ipocrita che è…”.

Il sorriso di Roosevelt era scomparso; il colore del volto

era tornato normale; la voce era veriteria.

“Non le sarà difficile riuscirci con i Sibley e con gli Ha-

skell. Io le renderò la vita impossibile”.

“Lei combatte i trust?”.

“Meglio che posso”.

“Ha mai denunciato i numerosi crimini che Standard

Oil ha commesso contro i singoli individui, per non par-

lare di quelli commessi contro il popolo?”.

“Li ho condannati molte volte definendoli delinquenti

molto ricchi”.

“Ma che cosa ha fatto per mettere in ginocchio la Stan-

dard Oil?”.

La voce di Hearst era pacata.

“Sono sei anni che lei è qui. Che cosa ha fatto oltre a stre-

pitare in pubblico e a intascare di nascosto i loro soldi?”….

(Gore Vidal, Impero)




 

QUARTO POTERE (un altro dialogo…) (26)ultima modifica: 2013-06-17T00:00:00+02:00da
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