Precedente capitolo:
infinito e zero (ugual pensiero di Dio)
Prosegue in:
Un Eretico risponde ad un Papa
Foto del blog:
Un Pagano risponde ad un Cristiano &
Un Eretico risponde ad un Papa
Da:
Così come altre religioni orientali, l’induismo era impregnato del
simbolismo della dualità.
Alla stregua dei principi yin-yang dell’Estremo Oriente e, in Medio
Oriente, del dualismo etico del Bene e del Male di Zoroastro, nella
religione Indù creazione e distruzione si intrecciano; il dio Shiva
è un agente a un tempo dell’una e dell’altra, tanto che viene
rappresentato con un tamburo della creazione in una mano e la
fiamma della distruzione in un’altra.
Shiva rappresentava, comunque, anche il nulla, essendo uno dei
volti della divinità, Nishkala Shiva, letteralmente Shiva ‘indivisi-
bile’ e ‘trascendente la forma’; egli era l’estremo vuoto, il supremo
niente, l’incarnazione dell’assenza di vita.
Però dal vuoto era scaturito l’Universo, e così parimenti l’Infinito.
A differenza dell’Universo come concepito in Occidente, il cosmo
Indù è sconfinato, con innumerevoli altri universi esistenti oltre
i limiti di quello noto agli umani.
Al tempo stesso, però, questo cosmo, mantenne sempre qualche
cosa dell’originale vacuità; dal niente il mondo era venuto, e il
rinnovato conseguimento del niente diveniva il fine ultimo dell’-
umanità.
Si narra come la Morte racconti dell’anima a un discepolo:
“Nel profondo del cuore di ogni creatura è l’Atman, lo Spirito,
il Sé”.
“Più piccolo del più piccolo atomo, più grande dello spazio im-
menso”.
Codesta entità, che abita in ogni cosa, è parte dell’essenza univer-
sale ed è immortale; quando una persona muore, l’atman ne ab-
bandona il corpo accedendo ben presto a un’altra creatura, cosic-
ché l’anima trasmigra e determina la reincarnazione del defunto.
Meta degli Indù è svincolare completamente l’atman dal ciclo del-
la rinascita, arrestandone il samsara da un decesso al successivo, e
la via per ottenere la definitiva emancipazione attraverso la nega-
zione dell’esistenza consiste nel distacco dall’illusoria realtà materiale.
‘Il corpo, casa dello spirito, è in balia del piacere e del dolore’,
spiega un dio ‘e se uno è governato dal proprio corpo, costui
non potrà mai essere libero’.
Ma nel momento in cui pervenga a separare se stessi dalle velleità
della carne e a volgersi al silenzio e al non-essere della propria
anima, allora il moksha, la liberazione, sarà raggiunto; librandosi
sopra le panie dei desideri umani, l’atman individuale potrà unir-
si alla coscienza collettiva o brahman, anima cosmica onnipervasi-
va e realtà presente ovunque e in nessun luogo al medesimo tem-
po.
Ecco, dunque, l’infinità ed ecco il nulla.
La cultura indiana era già dedita all’investigazione attiva del vuo-
to e dell’infinito, e….come tale accettò lo zero.
(C. Seife, Zero)