Precedente capitolo:
…..Io e pochi miei discepoli, che erano venuti con me, rischiammo
di venir lapidati il giorno del nostro arrivo; essi infatti sostenevano
che io predicavo ed avevo sostenuto per iscritto l’esistenza di tre …
dei, come essi stessi erano persuasi.
Ma, appena arrivato in città, mi recai dal legato e gli consegnai la
mia opera perché la esaminasse e la giudicassero; mi dichiarai pronto
a correggermi e a espiare se avevo sostenuto qualcosa di contrario
alla fede cattolica.
Egli subito mi ordinò di consegnare la mia opera all’arcivescovo e
ai miei rivali perché mi giudicassero proprio i miei accusatori, sic-
ché si avverava contro di me il detto:
‘E i nostri nemici sono i nostri giudici’.
Quelli girarono e rigirarono tra le mani la mia opera ma non trova-
rono nulla che potessero portare durante l’udienza come prova con-
tro di me e dovettero rimandare alla fine del concilio la tanto ago-
gnata condanna del mio libro.
Ma io, ogni giorno, prima che il concilio si riunisse, discutevo pub-
blicamente tutto ciò che avevo scritto e tutti coloro che mi ascoltava-
no lodavano con grande ammirazione sia la chiarezza sia l’acume
del mio discorso.
Quando il popolo e il clero se ne accorsero, cominciarono a dire
tra loro.
‘Ecco, ora si mette a parlare in pubblico e nessuno trova niente da
dire contro di lui. Ormai siamo alla fine del concilio che è stato
convocato, come abbiamo sentito dire, soprattutto contro di lui.
Forse che i giudici si sono accorti che sono essi a sbagliare piut-
tosto che lui?’.
Perciò i miei rivali erano ogni giorno più arrabbiati.
(Abelardo, Epistola I)