LA SELEZIONE

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la selezione

 

 

 

Il progetto della ‘belva himmleriana’ di Lublino che era Globocnik

si reggeva interamente su un sistema di selezione che, si voleva

scientifico.

Suo obiettivo di lungo termine era, secondo la pubblicazione clandes-

tina ‘Narod’ che riproduce fedelmente alcuni discorsi nazisti, ‘isolare

la popolazione polacca, relegarla su una sorta di isola etnografica

in un mare tedesco e condannarla così allo sterminio nazionale’.

Lungo il cammino verso questo destino collettivo, il ‘campo di

raccolta’ di Zamosc, metastasi del sistema concentrazionario, era

il luogo di transito di tutti gli ‘evacuati’ del paese, di cui non si

sapeva se, selezionati sarebbero stati elevati al ‘Deutschtum’,

tollerati, sarebbero stati ridotti a iloti o, privati della loro uma-

nità, sarebbero stati mandati ad Auschwitz o a Majdanek.

Mieczyslaw Czerniak, nato nel 1907 e internato dal 13 gennaio

1943 al 18 gennaio 1944, percepì chiaramente ciò che era in gioco:

 

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In primo tempo, al momento della registrazione, gli sfollati soggiornavano

nella baracca n. 5, la baracca di accettazione, se così si può dire.

Ci rimanevano generalmente due giorni. Durante quel lasso di tempo, gli

sfollati non ricevavano viveri.

Si procedeva alla registrazione nella baracca n. 2; lì i meccanografi registra-

vano i dati personali di ognuno e opponevano su tutti i (nostri) documenti

di identità il timbro di ‘sfollato’. Poi si passava alla baracca n. 3 con i nostri

documenti di registrazione e lì il medico specializzato procedeva all’esame

razziale.

Qui aveva inizio la segregazione.

Questo medico trascriveva sulla scheda un (numero) gruppo da I a V.

Il primo gruppo era costituito dai tedeschi, il secondo da quanti erano rico-

nosciuti di razza tedesca, il terzo da quanti erano idonei a partire per la

Germania per il lavoro coatto, il quarto da vecchi, gli infermi e i bambini,

il quinto da quanti si vedevano attribuire la sigla ‘KL’: campo di concentra-

mento. Poi le persone passavano davanti al medico, che valutava il loro

stato di salute.

Da lì si passava alla baracca n. 4, dove gli uomini della Gestapo distribui-

vano la gente per baracche dividendo le famiglie. I bambini più educati

erano perlopiù affidati a vecchie contadine, tra i sessanta e gli ottanta anni.

I figli dei contadini venivano assegnati a donne anziane dell’intellighenzia.

Spesso, dopo di ciò, avevano luogo scene atroci al momento della separa-

zione.

Le madri non volevano cedere i loro bambini, e allora gli uomini della 

Gestapo le picchiavano fino a che non perdevano conoscenza. Poi i 

polacchi in servizio conducevano queste persone alle baracche a cui

erano state rispettivamente assegnate.

Dopo la loro separazione, i membri di una famiglia non potevano più

incontrarsi, dal momento che le baracche erano divise dal filo spinato.

Nelle baracche più calde, cioè quelle destinate ai cavalli, erano sistemati

a un tempo i vecchi, i bambini e gli infermi.

C’erano dei letti a piattaforma, dei giacigli a dire il vero, dove non pote-

vano trovar posto tutti. Alcuni si stendevano sul suolo. In una siffatta

baracca c’erano circa 1700 persone. Ma la mortalità colpiva fino a trenta

persone al giorno.

Le madri non potevano vedere i propri figli. Quando, tuttavia, una di

lro andava fino al filo spinato e il boia del campo, Artur Schutz, coman-

dante del campo, la vedeva, sguinzagliava dapprima i cani contro le

donne e, quando questi avevano fatto a pezzi tutti i suoi abiti si avvici-

nava lui e picchiava la disgraziata, il più delle volte volte fino a farle

perdere conoscenza.

….E non passava giorno senza che i tedeschi uccidessero qualcuno.

(Conte/Essner, Culti di sangue)

 

 

 

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