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Da:
… Immondi, succhiata da serpenti, accoppiata a un satiro dal ventre
rigonfio e dalle gambe di grifo coperte di ispidi peli, la gola oscena,
che urlava la propria dannazione, e vidi un avaro della rigidità della
morte sul letto sontuosamente colonnato, ormai preda imbelle di
una coorte di demoni di cui uno gli strappava dalla bocca ranto-
lante l’anima in forma di infante, e vidi un orgoglioso cui un demo-
ne s’installava sulle spalle ficcandogli gli artigli negli occhi, men-
tre altri due golosi si straziavano in un corpo a corpo ripugnante,
e altre creature ancora…
… E intorno a loro, frammisti a loro, sopra di loro e sotto ai loro
piedi, altri volti e altre membra, un uomo e una donna che si affer-
ravano per i capelli, due aspidi che risucchiavano gli occhi di un
dannato, un uomo ghignante che dilatava con le mani adunche le
fauci di un’idra, e tutti gli animali del bestiario di Satana, riuniti in
concistoro e posti a guardia e corona del trono che li fronteggiava,
a cantarne la gloria con la loro sconfitta, fauni, esseri dal doppio
sesso, bruti con le mani con sei dita, sirene, ippocentauri, gorgo-
ni, arpie, incubi, dracontopodi, minotauri, linci, pardi, chimere, ce-
noperi dal muso di cane che lanciavano fuoco dalle narici….
Insomma l’intera popolazione degli inferi pareva essersi data con-
vegno per far da vestibolo, selva oscura, landa disperata dell’esclu-
sione, all’apparizione dell’Assiso del timpano…, e compresi in ulti-
mo che ivi eravamo saliti per essere testimoni di una grande e ce-
leste carneficina.
… E udii un’altra voce ancora, ma questa volta essa veniva dalle
mie spalle ed era una voce diversa, perché partiva dalla terra e non
dal centro sfolgorante della mia visione; e anzi spezzava la visione
perché anche Guglielmo, sino ad allora perduto anch’egli nella con-
templazione, si volgeva con me…. L’uomo sorrise e levando il dito
come per ammonire, disse:
‘Penitenziagite’! Vide quando draco venturus est a rodegarla l’anima
tua! La mortz est super nos! Prega che vene lo papa santo a liberar
nos a malo de todas le peccata! Ah ah, ve piase ista negromanzia de
Domini Nostri Iesi Christi!….
…. Dovrò, nel prosiego di questa storia, parlare ancora, e molto, di
questa creatura e riferirne i discorsi. Confesso che mi riesce molto
difficile farlo perché non saprei dire ora, come non compresi mai al-
lora, che genere di lingua egli parlasse. Non era il latino, in cui ci e-
sprimevamo tra uomini più o meno dotti e tra uomini di lettere all’ab-
bazia, non era il volgare di quelle terre, né altro volgare che mai aves-
si udito, Credo di aver dato una pallida idea del suo modo di parlare
riferendo poco sopra le prime parole che udii da lui.
Quando più tardi appresi della sua vita avventurosa e dei vari luoghi in
cui era vissuto, senza trovar radici in alcuno, mi resi conto che Salvato-
re parlava tutte le lingue e nessuna. Ovvero si era inventata una lingua
propria che usava i lacerti delle lingue con cui era entrato in contatto –
e una volta pensai che se la sua fosse, non la lingua adamitica che l’u-
manità felice aveva parlato, tutti uniti da una sola favella, dalle origini
del mondo sino alla Torre di Babele, e nemmeno una delle lingue sor-
te dopo il funesto evento della loro divisione, ma proprio la lingua ba-
belica del primo giorno dopo il castigo divino, la lingua della confu-
sione primeva.
Né d’altra parte potrei chiamare lingua la favella di Salvatore, perché
in ogni lingua umana vi sono delle regole e ogni termine significa ad
placitum una cosa, secondo una legge che non muta, perché l’uomo
non può chiamare il cane una volta cane e una volta gatto, né pro-
nunciare suoni a cui il consenso delle genti non abbia assegnato un
senso definito, come accadrebbe a chi dicesse la parola ‘blitiri’.
E tuttavia, bene o male, io capivo cosa Salvatore volesse intendere,
e così gli altri. Segno che egli parlava non una, ma tutte le lingue, nes-
suna nel modo giusto e completo (di cui un singolo termine, aggettivo
sostantivo avverbio, parola, possa attribuire un senso compiuto di fron-
te a terzi, ma singoli suoni di vocali e consonanti a formare parole o ciò
che potremmo pensare parole contrarie al principio di ogni retta disqui-
sizione con un senso logico e compiuto, di chi, chiamato a pronunciar-
le possa ribadirne senso e valore nel contesto più ampio dell’argomen-
tazione che vogliono sollecitare e motivare…), prendendo le sue paro-
le ora dall’una ora dall’altra.
Mi avvidi pure in seguito che egli poteva nominare una cosa ora in lati-
no ora in provenzale, e mi resi conto che, più che inventare le proprie
frasi, egli usava disiecta membra di altre frasi, udite un giorno, a se-
conda della situazione e delle cose che voleva dire, come se riuscis-
se a parlare di un cibo, intendo, solo con le parole delle genti presso
cui aveva mangiato quel cibo, ed esprimere la sua gioia solo con le
sentenze che aveva udito emettere da gente gioiosa, il giorno che
egli aveva parimenti gioia. Era come se la sua favella fosse quale
la sua faccia, messa insieme con pezzi di facce ed esperienze
altrui…
(U. Eco, Il nome della rosa)