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Univoci suoni della Natura (10)
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OGNI OBIEZIONE CONTA! (Convenzione delle Alpi)
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Univoci suoni della Natura (10)
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OGNI OBIEZIONE CONTA! (Convenzione delle Alpi)
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Circa i Diritti d’Autore (Prima parte)
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Circa i Diritti d’Autore (Terza & Quarta parte)
CIRCA I DIRITTI D’ AUTORE (Seconda parte)
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IL NOSTRO ED ALTRUI TEMPO PERSO DISMESSO CROCE-FISSO (e senza prefisso)
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Il ruolo dell’intellettuale (5/1)
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Il ruolo dell’Intellettuale: ‘Solo’ nella ricerca della verità (7)
Il ruolo dell’Intellettuale (1) (2) (3) (4)
Da:
… Immondi, succhiata da serpenti, accoppiata a un satiro dal ventre
rigonfio e dalle gambe di grifo coperte di ispidi peli, la gola oscena,
che urlava la propria dannazione, e vidi un avaro della rigidità della
morte sul letto sontuosamente colonnato, ormai preda imbelle di
una coorte di demoni di cui uno gli strappava dalla bocca ranto-
lante l’anima in forma di infante, e vidi un orgoglioso cui un demo-
ne s’installava sulle spalle ficcandogli gli artigli negli occhi, men-
tre altri due golosi si straziavano in un corpo a corpo ripugnante,
e altre creature ancora…
… E intorno a loro, frammisti a loro, sopra di loro e sotto ai loro
piedi, altri volti e altre membra, un uomo e una donna che si affer-
ravano per i capelli, due aspidi che risucchiavano gli occhi di un
dannato, un uomo ghignante che dilatava con le mani adunche le
fauci di un’idra, e tutti gli animali del bestiario di Satana, riuniti in
concistoro e posti a guardia e corona del trono che li fronteggiava,
a cantarne la gloria con la loro sconfitta, fauni, esseri dal doppio
sesso, bruti con le mani con sei dita, sirene, ippocentauri, gorgo-
ni, arpie, incubi, dracontopodi, minotauri, linci, pardi, chimere, ce-
noperi dal muso di cane che lanciavano fuoco dalle narici….
Insomma l’intera popolazione degli inferi pareva essersi data con-
vegno per far da vestibolo, selva oscura, landa disperata dell’esclu-
sione, all’apparizione dell’Assiso del timpano…, e compresi in ulti-
mo che ivi eravamo saliti per essere testimoni di una grande e ce-
leste carneficina.
… E udii un’altra voce ancora, ma questa volta essa veniva dalle
mie spalle ed era una voce diversa, perché partiva dalla terra e non
dal centro sfolgorante della mia visione; e anzi spezzava la visione
perché anche Guglielmo, sino ad allora perduto anch’egli nella con-
templazione, si volgeva con me…. L’uomo sorrise e levando il dito
come per ammonire, disse:
‘Penitenziagite’! Vide quando draco venturus est a rodegarla l’anima
tua! La mortz est super nos! Prega che vene lo papa santo a liberar
nos a malo de todas le peccata! Ah ah, ve piase ista negromanzia de
Domini Nostri Iesi Christi!….
…. Dovrò, nel prosiego di questa storia, parlare ancora, e molto, di
questa creatura e riferirne i discorsi. Confesso che mi riesce molto
difficile farlo perché non saprei dire ora, come non compresi mai al-
lora, che genere di lingua egli parlasse. Non era il latino, in cui ci e-
sprimevamo tra uomini più o meno dotti e tra uomini di lettere all’ab-
bazia, non era il volgare di quelle terre, né altro volgare che mai aves-
si udito, Credo di aver dato una pallida idea del suo modo di parlare
riferendo poco sopra le prime parole che udii da lui.
Quando più tardi appresi della sua vita avventurosa e dei vari luoghi in
cui era vissuto, senza trovar radici in alcuno, mi resi conto che Salvato-
re parlava tutte le lingue e nessuna. Ovvero si era inventata una lingua
propria che usava i lacerti delle lingue con cui era entrato in contatto –
e una volta pensai che se la sua fosse, non la lingua adamitica che l’u-
manità felice aveva parlato, tutti uniti da una sola favella, dalle origini
del mondo sino alla Torre di Babele, e nemmeno una delle lingue sor-
te dopo il funesto evento della loro divisione, ma proprio la lingua ba-
belica del primo giorno dopo il castigo divino, la lingua della confu-
sione primeva.
Né d’altra parte potrei chiamare lingua la favella di Salvatore, perché
in ogni lingua umana vi sono delle regole e ogni termine significa ad
placitum una cosa, secondo una legge che non muta, perché l’uomo
non può chiamare il cane una volta cane e una volta gatto, né pro-
nunciare suoni a cui il consenso delle genti non abbia assegnato un
senso definito, come accadrebbe a chi dicesse la parola ‘blitiri’.
E tuttavia, bene o male, io capivo cosa Salvatore volesse intendere,
e così gli altri. Segno che egli parlava non una, ma tutte le lingue, nes-
suna nel modo giusto e completo (di cui un singolo termine, aggettivo
sostantivo avverbio, parola, possa attribuire un senso compiuto di fron-
te a terzi, ma singoli suoni di vocali e consonanti a formare parole o ciò
che potremmo pensare parole contrarie al principio di ogni retta disqui-
sizione con un senso logico e compiuto, di chi, chiamato a pronunciar-
le possa ribadirne senso e valore nel contesto più ampio dell’argomen-
tazione che vogliono sollecitare e motivare…), prendendo le sue paro-
le ora dall’una ora dall’altra.
Mi avvidi pure in seguito che egli poteva nominare una cosa ora in lati-
no ora in provenzale, e mi resi conto che, più che inventare le proprie
frasi, egli usava disiecta membra di altre frasi, udite un giorno, a se-
conda della situazione e delle cose che voleva dire, come se riuscis-
se a parlare di un cibo, intendo, solo con le parole delle genti presso
cui aveva mangiato quel cibo, ed esprimere la sua gioia solo con le
sentenze che aveva udito emettere da gente gioiosa, il giorno che
egli aveva parimenti gioia. Era come se la sua favella fosse quale
la sua faccia, messa insieme con pezzi di facce ed esperienze
altrui…
(U. Eco, Il nome della rosa)
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Da:
Era mezzogiorno nel cuore del deserto di Mojave….
Perry, seduto su una valigia di vimini, stava suonando un’armonica.
Dick era in piedi sul ciglio di un’autostrada nera, la Route 66, gli occhi
fissi su quel vuoto immacolato, come se il fervore del suo sguardo po-
tesse far sì che si materializzassero degli automobilisti.
Pochi lo esaudivano e nessuno si fermava per i due autostoppisti. Un
camionista, diretto a Needles, California, aveva offerto loro un passag-
gio, ma Dick aveva rifiutato. Non era la ‘sistemazione’ che lui e Perry
volevano.
Aspettavano un viaggiatore solitario con un auto decente e dei quattrini
nel portafogli: uno sconosciuto da derubare, strangolare e abbandonare
nel deserto. Nel deserto il suono spesso precede la visuale. Dick sentì
le deboli vibrazioni di un’auto che si avvicinava, non ancora visibile.
Anche Perry le aveva sentite, si infilò l’armonica in tasca, prese la vali-
gia di paglia (questa, il loro unico bagaglio, straripava e cedeva sotto il
peso dei souvenirs di Perry cui si erano aggiunti tre camicie, cinque
paia di calzini bianchi, un flacone di aspirina, una bottiglia di tequila, un
paio di forbici, un rasoio di sicurezza e una lima per unghie; il resto dei
loro effetti era stato impegnato o affidato al barista messicano o spedi-
to a Las Vegas; per il resto il nulla delle loro vite si univa in un abbrac-
cio mortale con la loro ispirazione e volontà di vita. Il Male ha con sé
sempre una valigia con cui dividere le speranze di una vita migliore
cui riempire il vuoto ed il Nulla di quella misera esistenza sui bordi di
una strada, sui bordi di una terrazza, sui bordi del Nulla….).
Rimasero a guardare…. (con una radiolina portatile e delle voci…).
Ora l’auto apparve e si ingrandì fino a divenire una Dodge berlina, az-
zurra, con un solo passeggero, un tipo normale, scarnito Perfetto.
Per loro era come l’anima di un futuro pasto… solo Perfetto, ignaro….
Dick alzò la mano facendo segno, disse qualcosa…
La Dodge rallentò e Dick rivolse all’uomo un sorriso smagliante…
demoniaco… L’auto quasi si fermò, ma non del tutto, e il guidatore si
sporse dal finestrino per inquadrarli da capo a piedi. L’impressione che
davano era chiaramente poco rassicurante.
L’auto balzò in avanti e partì veloce. Dick si portò le mani attorno alla
bocca e gridò con voce da ragazzino: ‘Sei un bastardo fortunato!’.
Poi scoppiò a ridere e si issò la valigia sulla spalla (e la radiolina ac-
cessa).
Nulla poteva irritarlo veramente perché, come disse in seguito, era ‘trop-
po felice di essere nuovamente nei cari vecchi USA’.
Ad ogni modo sarebbe arrivato qualche altro automobilista. Perry tirò
fuori la sua armonica e suonò le prime note di quella che era diventata la
loro ‘marcia funebre’; la canzone era una delle preferite di Perry e ne ave-
va insegnato a Dick tutti i cinque versi. Al passo, l’uno di fianco all’altro, si
avviarono lungo l’autostrada cantando: ‘I miei occhi hanno visto la gloria
dell’avvento del Signore; Egli distrugge l’uva dei vigneti della collera, ed il
nettare che da essa proviene’.
Nel silenzio del deserto echeggiavano le loro voci angeliche e giovani:
‘Gloria! Gloria! Alleluia! Gloria! Gloria! Alleluia!’.
(T. Capote, A sangue freddo)
(Dedicato a tutti i Perry ed i Dick che la Storia partorisce nella triste sua
memoria, che la loro violenza ci torni utile per esorcizzare il male dalla
nostra umile dimora, dall’umile via.)
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Alla ricerca del ‘Monte Analogo’ (30)
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Alla ricerca del ‘Monte Analogo’ (32)
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Alla ricerca del ‘Monte Analogo’ (1) & (2)
Da:
…. Gli invitati arrivarono più o meno in orario (come previsto).
Voglio dire che, essendo stato fissato l’appuntamento per le
quattro, Mr Beaver era lì per primo alle tre e 59 mentre Julie
Bonasse, l’ultima arrivata, benché fosse stata trattenuta da
una prova, era comparsa poco dopo che erano suonate le
quattro e mezza….
Dopo il brusio delle presentazioni, ci sistemammo intorno a
un grande tavolo a cavalletti e il nostro ospite prese la parola.
Ricordò a grandi linee la conversazione che aveva avuto con
me, affermò l sua convinzione dell’esistenza del Monte Analo-
go, affermò e dichiarò che stava per organizzare una spedi-
zione per esplorarlo (e prese in merito anche dei brevi appunti).
– La maggior parte di noi,
proseguì,
– conosce già il modo con cui ho potuto, in una prima appros-
simazazione, limitare il ‘campo’ delle ricerche. Ma due o tre
persone non sono ancora al corrente e per loro, e anche allo
scopo di rinfrescare la memoria agli altri, riprenderò l’esposi-
zione delle mie deduzioni….
Mi lanciò a questo punto uno sguardo malizioso e insieme au-
toritario, che esigeva la mia complicità in quell’abile menzogna.
Perché nessuno beninteso, era al corrente di niente. Ma, con
questa semplice astuzia, ognuno aveva l’impressione di far
parte di una minoranza ignorante, di essere uno dei ‘due o tre
che non erano al corrente’, credeva di sentire intorno a sé la
forza di una maggioranza convinta, e aveva fretta di venir con-
vinto a sua volta.
Questo metodo di Sogol per ‘mettersi in tasca l’uditorio’, co-
me più tardi disse, era una semplice applicazione, diceva,
del metodo matematico che consiste nel ‘considerare il pro-
blema come risolto’; o anche, saltando alla chimica, ‘un e-
sempio di una reazione a catena’.
Ma se questa astuzia era al servizio della verità, si poteva
ancora chiamarla menzogna? In ogni modo, ognuno tese il
suo più intimo orecchio…..
– Riassumo,
disse,
– i dati del problema…..
In primo luogo, il Monte Analogo deve essere molto più alto
delle più alte montagne finora conosciute. La sua vetta deve
essere inaccessibile con i mezzi finora conosciuti. Ma, in se-
condo luogo, la sua base deve essere accessibile per noi
(che lo dobbiamo conquistare..), e le sue pendici più basse
devono essere già abitate da esseri umani simili a noi, giac-
ché esso è la via che unisce effettivamente il nostro regno u-
mano attuale a regioni superiori…..
Abitate, dunque abitabili…
Che presentano dunque un insieme di condizioni di clima,
di flora, di fauna, di influenze cosmiche di ogni genere, non
troppo diverse da quelle dei nostri continenti. Poiché il mon-
te stesso è estremamente alto, la sua base deve essere ab-
bastanza larga per sostenerlo: deve trattarsi di una superficie
grande almeno come quella delle isole più vaste del pianeta
– della Nuova Guinea, del Borneo, del Madagascar – forse an-
che dell’Australia.
Ammesso questo, sorgono tre questioni: come mai questo
territorio è sfuggito finora alle investigazioni dei viaggiatori?
Come penetrarvi?
E dove si trova?
Risponderò subito alla prima domanda, che può sembrare
la più difficile da risolvere. Ma come? Sulla nostra Terra esi-
sterebbe una montagna più alta delle più alte vette dell’Hima-
laya e non ce ne saremmo ancora accorti?
Sappiamo tuttavia a priori, in virtù delle leggi dell’analogia, che
deve esistere. Per spiegare il fatto che non sia stata ancora
notata, si presentano varie ipotesi…. Prima di tutto, potrebbe
trovarsi sul continente australe, ancora poco conosciuto. Ma
prendendo la carta dei punti già raggiunti di questo continente
e determinandone, con una semplice costruzione geometrica,
lo spazio che lo sguardo umano ha potuto abbracciare a parti-
re da questi punti, si vede che un’altezza superiore agli 8000
metri non sarebbe potuta passare inosservata – né in quella né
in alcun’altra regione del pianeta….
Questo argomento mi parve geograficamente molto discutibi-
le. Ma per fortuna nessuno vi fece attenzione.
Proseguì:
– Si tratterebbe dunque di una montagna sotterranea? Certe leg-
gende, che si sentono raccontare soprattutto in Mongolia e nel
Tibet, fanno allusione a un mondo sotterraneo, dimora del ‘Re
del Mondo’, dove si conserva, come un seme imperituro, la co-
noscenza tradizionale. Ma questa dimora non corrisponde alla
seconda condizione di esistenza del Monte Analogo; non po-
trebbe offrire un ambiente biologico sufficientemente vicino al
nostro solito ambiente biologico; e anche se il mondo sotterra-
neo esiste, è probabile che si trovi proprio nei fianchi del Mon-
te Analogo.
Poiché tutte le ipotesi di questo genere sono inammissibili,
siamo portati a porre il problema diversamente. Il territorio cer-
cato deve poter esistere ‘in una regione qualsiasi’ della super-
ficie del Pianeta; bisogna dunque studiare per quali condizioni
risulta inaccessibile non solo alle navi, agli aerei o ad altri mez-
zi di trasporto, ma anche anche quando pensiamo vederla,
sfugge agli occhi della conoscenza ed allo sguardo…..
(René Daumal, Il Monte Analogo; e grazie alle bellissime
foto e a tutta l’arte della brava Tatiana Plakhova…)