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Dio ride (ma non lo dite per loro infelice verbo) (4)
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– Perché? Mi batterei, la mia arguzia contro l’arguzia altrui.
Sarebbe un mondo migliore di quello in cui il fuoco e il
ferro rovente di Bernardo Gui umiliano il fuoco e il ferro
rovente di Dolcino.
– Saresti preso ormai tu stesso nella trama del demonio.
Combatteresti dall’altra parte del campo dell’Armageddon,
dove dovrà avvenire lo scontro finale.
Ma per quel giorno la chiesa deve saper imporre ancora una
volta la regola del conflitto.
Non ci fa paura la bestemmia perché anche nella maledizione di Dio
riconosciamo l’immagine stranita di Geova che maledice gli angeli
ribelli.
Non ci fa paura la violenza di chi uccide i pastori in nome di qualche
fantasia di rinnovamento, perché è la stessa violenza dei principi che
cercano di distruggere il popolo di Israele.
Non ci fa paura il rigore del donatista, la follia suicida del circoncellione,
la lussuria del bogomilio, l’orgogliosa purezza dell’albigese, il bisogno
di sangue del flagellante, la vertigine del male del fratello del libero
spirito: li conosciamo tutti e conosciamo la radice dei loro peccati che è
la radice stessa della nostra santità.
Non ci fanno paura e soprattutto sappiamo come distruggerli, meglio,
come lasciare che si distruggano da soli portando protervamente allo
zenit la volontà di morte che nasce dagli abissi stessi del loro nadir.
Anzi, vorrei dire, la loro presenza ci è preziosa, si iscrive nel disegno
di Do, perché il loro peccato incita la nostra virtù, la loro bestemmia
incoraggia il nostro canto di lode, la loro sregolata penitenza regola
il nostro gusto del sacrificio, la loro empietà fa risplendere la nostra pietà,
così come il principe delle tenebre è stato necessario, con la sua ribellione
e la sua disperazione, a far meglio rifulgere la gloria di Dio, principio
e fine di ogni speranza.
Ma se un giorno – e non più come eccezione plebea, ma come ascesi
del dotto, consegnata alla testimonianza indistruttibile della
scrittura – si facesse accertabile, e apparisse nobile, e liberale,
e non più meccanica, l’arte dell’irrisione, se un giorno qualcuno
potesse dire (ed essere ascoltato): io rido dell’incarnazione
…..Allora non avremmo armi per arrestare quella bestemmia,
perché essa chiamerebbe a raccolta le forze oscure della materia
corporale, quelle che si affermano nel peto e nel rutto, e il rutto
e il peto si arrogherebbero il diritto che è solo dello spirito, di
spirare dove vuole!
– Licurgo aveva fatto ereggere una statua al riso.
– Lo hai letto sul libello di Clorizio, che tentò di assolvere i mimi
dalla accusa di empietà, che dice come un malato fu guarito da un
medico che lo aveva aiutato a ridere.
Perché bisognava guarirlo, se Dio aveva stabilito che la sua giornata
terrena era giunta alla fine?
– Non credo lo abbia guarito dal male. Gli ha insegnato a ridere
del male.
– Il male non si esorcizza. Si distrugge.
– Col corpo malato.
– Se è necessario.
– Tu sei il diavolo, disse allora Guglielmo.
Jorge parve non capire. Se fosse stato veggente direi che avrebbe
fissato il suo interlocutore con sguardo attonito.
– Io? disse.
– Sì, ti hanno mentito. Il diavolo non è il principe della materia, il
diavolo è l’arroganza dello spirito, la fede senza sorriso, la verità
che non viene mai presa dal dubbio.
Il diavolo è cupo perché sa dove va, e andando va sempre da dove
è venuto.
Tu sei il diavolo e come il diavolo vivi nelle tenebre.
Se volevi convincermi, non ci sei riuscito.
Io ti odio, Jorge, e se potessi ti rincodurrei giù, per il pianoro,
nudo con penne di volatili infilate nel buco del culo, e la faccia
dipinta come un giocoliere e un buffone, perché tutto il monastero
ridesse di te, e non avesse più paura.
Mi piacerebbe cospargerti di miele e poi avvoltolarti nelle piume,
portarti al guinzaglio nelle fiere, per dire a tutti: costui vi annunciava
la verità e vi diceva che la verità ha il sapore della morte, e voi non
credevate alla sua parola, bensì alla sua tetraggine.
E ora io vi dico che, nella infinita vertigine dei possibili, Dio vi
consente anche di immaginarvi un mondo in cui il presunto interprete
della verità altro non sia che un merlo goffo, che ripete parole apprese
tanto tempo fa.
– Tu sei peggio del diavolo, minorita, disse allora Jorge.
– Sei un giullare, come il santo che vi ha partoriti. Sei come il tuo
Francesco che teneva sermoni dando spettacoli come i saltimbanchi,
che confondeva l’avaro mettendogli in mano monete d’oro, che umiliava
la devozione delle suore recitando il ‘Miserere’ invece della predica,
che mendicava in francese, e imitava con un pezzo di legno i movimenti
di chi suona il violino, che si travestiva da vagabondo per confondere
i frati ghiottoni, che si gettava nudo sulla neve, parlava con gli animali
e le erbe, trasformava lo stesso mistero della natività in spettacolo
da villaggio, invocava l’agnello di Berthlehem imitando il belato
della pecora….Fu una buona scuola…Non era minorita quel frate
Dio ti salvi da Firenze?
– Sì, sorrise Guglielmo.
– Quello che andò al convento dei predicatori e disse che non avrebbe
accettato cibo se prima non gli avessero dato un pezzo della tunica
di fra Giovanni, onde conservarla come reliquia, e quando l’ebbe vi
si pulì il sedere e poi la gettò nel letamaio e con una pertica la rotolava
nello sterco gridando: ahimè, aiutatemi fratelli perché ho perso nella
latrina le reliquie del santo!
– Ti diverte questa storia, mi pare. Forse vorrai raccontarmi anche
quella dell’altro minorita, frate Paolo Millemosche, che un giorno
è caduto lungo disteso sul ghiaccio e i suoi cittadini lo dileggiavano
e uno gli chiese se non avrebbe voluto aver qualcosa di meglio sotto
di sé, ed egli rispose a quello: sì, tua moglie…. Così voi cercate la verità.
– Così Francesco insegnava alla gente a guardare le cose da un’altra
parte.
– Ma vi abbiamo disciplinati. Li hai visti ieri, i tuoi confratelli.
Sono rientrati nelle nostre file, non parlano più come i semplici.
I semplici non debbono parlare. Questo libro avrebbe giustificato
che la lingua dei semplici sia portatrice di qualche saggezza.
Questo occorreva impedire, questo io ho fatto.
Tu dici che io sono il diavolo: non è vero. Io sono stato la mano
di Dio.
– La mano di Dio crea, non nasconde.
– Ci sono dei confini al di là dei quali non è permesso andare.
Dio ha voluto che su certe carte fosse scritto: ‘hic sunt leones’.
– Dio ha creato anche i mostri. Anche te. E di tutto vuole che si parli.
Jorge allungò le mani tremule e trasse a sé il libro. Lo teneva aperto,
ma capovolto, in modo che Guglielmo continuasse a vederlo per
il verso giusto.
– Allora perché, disse, ha lasciato che questo testo andasse perduto
lungo il corso dei secoli, e se ne salvasse solo una copia, che la copia
di quella copia, finita chissà dove, rimanesse seppellita per anni nelle
mani di un infedele che non conosceva il greco, e poi giacesse
abbandonata nel chiuso di una vecchia biblioteca dove io, non tu, io fui
chiamato dalla provvidenza a trovarla, e a portarla con me, e a nascon-
derla per altri anni ancora?
Io so, so come se lo vedessi scritto a lettere di diamante, coi miei occhi
che vedono cose che tu non vedi, io so che questa era la volontà del
Signore, interpretando la quale io ho agito.
NEL NOME DEL PADRE, DEL FIGLIO, E DELLO SPIRITO SANTO.
(U. Eco, Il nome della rosa)