STORIA UNIVERSALE DELL’INFAMIA (2)

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storia universale (dell’infamia)

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storie d’oltre confine

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Frammenti in rima

 

 

storia universale dell'infamia 2

 

 

 

 

 

 

 

I cavalli rubati in uno Stato e venduti in un altro furono solo

una disgressione nella carriera criminale di Morell, ma pre-

figurarono il metodo che ora gli assicura un degno posto in

una Storia Universale dell’Infamia.

Metodo unico non solo per le circostanze sui generis che lo

determinarono, ma anche per l’abiezione che richiede, per il

funesto sfruttamento della speranza e per l’evolversi gradua-

le, simile all’atroce dipanarsi di un incubo.

Al Capone e Bugs Moran agiscono con illustri capitali e con

un mitra in una grande città, ma il loro operato è volgare.

Si contendono un monopolio, tutto qui….

 

storia universale dell'infamia 2

 

Quanto a uomini, Morrel arrivò a comandarne un migliaio,

tutti vincolati da giuramento. 

Duecento di loro componevano il Gran Consiglio, e gli altri

800 eseguivano gli ordini che questo promulgava.

Il rischio toccava ai subalterni.

In caso di ribellione venivano consegnati alla giustizia o get-

tati nel fiume impetuoso di grevi acque, con una pietra assi-

curata ai piedi.

Spesso erano mulatti.

La loro scellerata missione era la seguente:

Percorrevano – con qualche effimero lusso di anelli, per incu-

tere rispetto – le vaste piantagioni del Sud. Individuavano un

negro disperato e gli offrivano la libertà. 

Gli dicevano di fuggire dal suo padrone, così che loro potessero

venderlo una seconda volta in qualche tenuta lontana. Allora gli

avrebbero dato una percentuale sul prezzo della vendita e l’avreb-

bero aiutato a evadere di nuovo.

Poi lo avrebbero portato in uno Stato libero.

 

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Denaro e libertà, sonanti dollari d’argento e insieme la libertà:

quale più forte tentazione?

Lo schiavo azzardava la prima fuga.

La via naturale era il fiume.

Una canoa, la stiva di un battello a vapore, una scialuppa, una

zattera vasta come un cielo con un capanno a un’estremità o al-

te tende di iuta; non aveva importanza il luogo, ma sapersi in 

movimento, al sicuro sull’infaticabile fiume….

Lo vendevano in un’altra piantagione.

Di nuovo fuggiva nei canneti e nelle forre.

Allora i terribili benefattori adducevano vaghe spese e sostene-

vano di doverlo vendere un’ultima volta. A quel punto gli avreb-

bero dato la percentuale sulle due vendite e la libertà.

 

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L’uomo si lasciava vendere, lavorava per qualche tempo e nell’-

ultima fuga sfidava il pericolo dei cani da caccia e altri occasio-

nali aguzzini.

Ritornava pieno di sangue, sudore, disperazione e sonno.

Resta da considerare l’aspetto giuridico di questi fatti.

Il negro non veniva messo in vendita dai sicari di Morell sino

a quando il padrone originario non aveva denunciato la fuga

e offerto una ricompensa a chi l’avesse trovato. Allora chiun-

que poteva tenerselo, e la sua ulteriore vendita era un abuso

di fiducia, non un furto.

Ricorrere alla giustizia civile era una spesa inutile, perché i

danni non venivano mai pagati.

Tutto ciò era quanto mai rassicurante, ma non all’infinito.

Il negro poteva parlare; il negro, semplicemente per ricono-

scenza o sventatezza, era capace di parlare. Qualche pinta di

whisky di segala nel postribolo di El Cairo, Illinois, dove quel

figlio di cagna nato schiavo non sarebbe andato a scialacquare

quei soldi che non avevano alcuna ragione di dargli, e avrebbe

rivelato il segreto.

In quegli anni, un Partito abolizionista agitava il Nord, una

schiera di pazzi pericolosi che negavano la proprietà e predi-

cavano la libertà dei negri incitandoli a fuggire.

Morell non si sarebbe lasciato confondere con quegli anarchici.

Non era uno yankee, era un uomo bianco del Sud figlio e nipo-

te di bianchi, e sperava di potersi ritirare dagli affari e vivere 

come un gentiluomo e avere i suoi sacri campi di cotone e le

sue curve file di schiavi.

Con tutta la sua esperienza, non era disposto a correre rischi

inutili.

Il fuggiasco aspettava la libertà.

Allora i foschi mulatti di Morell, si trasmettevano un ordine

che talvolta era solo un cenno e lo liberavano della vista, del-

l’udito, del tatto, del giorno, dell’infamia, del tempo, dei bene-

fattori, della misericordia, dell’aria, dei cani, dell’universo, del-

la speranza, del sudore e….di se stesso. 

(J. L. Borges, Storia Universale dell’Infamia)

 

 

 

 

 

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STORIA UNIVERSALE DELL’INFAMIA (2)ultima modifica: 2013-04-19T00:00:00+02:00da giuliano106
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