Precedente capitolo:
Prosegue in:
Quarto Sogno: e la Natura con Dio ammirare &
Foto del blog:
Da:
Mancano particolari sul come Sebastiano Procolo venne a
scoprire la faccenda dei geni e del vento Matteo.
Secondo quello che raccontò Vettore, una sera Procolo sa-
rebbe stato attirato da un lume che attraversava il bosco e
l’avrebbe raggiunto senza farsi vedere.
Era il Bernardi che, alla luce di una lanterna, riconduceva a
casa tre bambini smarriti nella foresta; tre collegiali compa-
gni di Benvenuto. Il Bernardi avrebbe loro raccontato la sto-
ria, senza immaginare che il colonnello lo seguiva e ascolta-
va tutto.
Altri sostengono che il colonnello conosceva fin dai primi
tempi il linguaggio degli uccelli e da loro avesse avuto la
rivelazione. Tutte e due queste ipotesi non sono persuasive.
Ma è indiscutibile che il Procolo non ci mise molto a conosce-
re la verità, senò non sarebbe successo quello che poi avven-
ne. Era una verità vecchia, ch’era stata detta più volte, ma a
cui nessuno credeva.
Per quanto sembri inverosimile, ancor oggi nella Valle di Fon-
do non c’è forse nessuno che se ne sia reso seriamente conto;
e anche se verranno lette queste pagine, probabilmente sarà
lo stesso, tanto sono grandi tra quella gente i pregiudizi e la
superstizione.
Fin dai secoli scorsi, tutti si erano accorti che il Bosco Vecchio
era diverso dagli altri. Magari non lo si confessava, ma questo
era un convincimento comune.
Che cosa ci fosse di diverso nessuno però lo sapeva dire.
Fu solo all’inizio del secolo scorso che la realtà venne chiara-
mente scoperta.
Cosa ci fosse di speciale nel Bosco Vecchio lo capì benissimo
l’abate don Marco Marioni durante un viaggio in quella valla-
ta. Il fatto non gli parve gran che strano e breve è il cenno da
lui fatto nelle ‘Note geologiche e naturalistiche di un sacerdo-
te pellegrino’ pubblicate nel 1836 a Verona.
Sono notizie succinte ma molto chiare:
‘Piacquemi, in quel di Fondo, pascere la mia vista di una mira-
bile visione; visitai una ricca foresta, che quegli alpigiani deno-
minavano Bosco Vecchio, singolare per l’altezza dei fusti, su-
peranti di gran lunga il campanile di San Calimero.
Come io ebbi a notare, quelle piante sono la dimora dei geni,
quali trovansi anche in boschi di altre regioni. Gli abitanti, a cui
chiesi notizia, pareano ignari.
Credo che ogni tronco sia un genio, che di raro ne sorte in forma
di animale o di uomo. Sono esseri semplici e benigni, incapaci
di insidiare l’uomo….’
Il Marioni (assieme ad un eretico…dicono…) fu il primo e
ultimo naturalista che scrisse dei geni del Bosco Vecchio.
La notizia non era assolutamente nuova perché a diverse
riprese, anche anticamente, si era sentita ripetere nelle vie
di Fondo.
Era stato forse qualche boscaiolo, convinto dell’evidenza
dei fatti, a mettere in giro la voce; tutti però l’avevano pre-
sa per una diceria senza costrutto.
Praticamente i successivi proprietari del bosco e gli abitan-
ti della vallata si erano resi conto che quegli alberi avevano
qualcosa di non comune; e ciò contribuisce a spiegare il fat-
to che nessuno aveva eseguito dei tagli.
Ma quando si parlava di geni, erano risate di scherno.
(D. Buzzati, Il segreto del Bosco Vecchio)