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Una ‘bolla’ per il paradiso (5)
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Con lui il marmo decorato
sulla piazza,
ove con lo sguardo schifato
immoliamo e puniamo il peccato già nominato.
Se gli occhi del disgraziato sacrificato
sono uguali a quelli del quadro (che adoriamo….),
non datemene colpa.
L’idea mi viene quando brucio
ogni eretico
per vedere stessa pena,
… perché il popolo allieta.
Questa è l’arte mia segreta
non andate di fretta.
Commissionata ad ogni artista
che non vuole fare ugual fine
nel quadro della storia,
perché narra il mio ardire
e sposa la vera fede
con la sacra memoria.
Così la tela per mano del pittore
dona la luce alla vista assopita
di un diverso ricordo.
Ora ammira in alto sul soffitto
dipinto l’intero paradiso,
memoria di un rogo
che l’ha appena ucciso.
E’ l’Abbazia della storia,
io ne curo arte e architettura
.. specchio della vera Parola….
(G. Lazzari, Frammenti in Rima,
Dialogo con il nobile che vende parola,
Fr. 15/7)
Nella sete del (falso) martirio di papa Pio V c’è il risvolto in-
teriore della sua assidua ed ossessiva caccia all’eretico e della
violenta intolleranza che mostrò nei confronti di ebrei e non
cristiani in genere.
Tutte le forze della Chiesa e tutte le istituzioni furono piega-
te in questa direzione. Anche le istituzioni di natura politico-
diplomatica, come le nunziature, dovettero adeguarsi al nuo-
vo corso.
Le immagini con cui i suoi rappresentanti, quindi la ‘Storia’
lo definirono, misero in primo piano proprio quella santità
che in tempi successivi doveva essere sancita definitivamen-
te con la beatificazione: era un “padre commune di mente san-
ta, di vita innecentissima… un papa sì buono et sì sancto”.
La purezza della fede era componente di quella santità che
Michele Ghislieri riconduceva finalmente sul trono di Pietro:
e la stessa politica internazionale del papato doveva essere
influenzata profondamente dalla preoccupazione della dife-
sa della fede.
Nel momento più alto e di maggior successo della iniziativa
internazionale del papato, e cioè in occasione della Lega con-
tro i Turchi, Pio V – nel concistoro convocato il 18 giugno 1571
per l’invio degli ambasciatori ai principi cristiani – ribatté a-
spramente al cardinal Cristoforo Madruzzo che proponeva di
inviare alla Lega anche i principi della Confessione Augustana:
non ci poteva essere accordo o pace con gli eretici, nemmeno
coi più moderati di loro; anzi, i più moderati erano i più peri-
colosi, perché potevano meglio sedurre i fedeli e confondere
le idee.
Dunque, nessun accordo contro la “purezza” della fede (???).
Le sorti della guerra sarebbero state risolte dal Dio degli eser-
citi. Era una concezione della guerra santa più feroce e intran-
sigente di quella che si attribuiva ai Turchi.
Tanta durezza e così feroce fanatismo suscitavano perplessità
e discussioni negli stessi ambienti della Curia romana.
Si diceva che l’eresia minasse il potere dai fondamenti: ma l’-
unico a esserne veramente minacciato era il potere del papa,
nella sua duplice natura.
Le ‘due anime’ che abitavano il corpo dell’autorità papale si
incontravano qui. I roghi accesi da papa Pio V e la sua politi-
ca della guerra santa – contro gli eretici prima che contro gli
infedeli – furono strettamente legati al suo uso dell’Inquisi-
zione come ‘santo ufficio’ da anteporsi a tutti gli altri.
Dopo di lui, nessun papa (ma bensì altri regimi e monarchi)
interpretarono più in termini così assoluti e universalistici
una tale concezione della purezza della fede.
(A. Prosperi, Tribunali della coscienza)