Precedenti capitoli:
pionieri e nativi: la terra trasformata (24) &
quando la ‘lingua’ contribuisce alla vittoria (23) &
Prosegue in:
pionieri e nativi: la terra trasformata (26)
Da:
Visto in questo modo, un mutamento nel paesaggio
significava la perdita di uno stato selvaggio e di una
virilità fondamentalmente spirituali nel loro signifi-
cato più profondo, un segno di decadenza sia della
natura sia dell’umanità.
‘Non è questa allora’, chiese Thoreau, ‘una natura
mutilata e imperfetta quella che mi circonda?’.
E’ importante rispondere in modo preciso a questa
domanda di Thoreau: in che modo cambiò la ‘natu-
ra’ del New England all’arrivo degli europei?
Inoltre, è adeguato parlare dei suoi cambiamenti in
termini di mutilazione e di imperfezione?
Non c’è nulla di nuovo nell’affermare che la colonizza-
zione europea ha trasformato il paesaggio americano.
Molto prima di Thoreau, naturalisti e storici avevano
commentato il processo mediante il quale la ‘wilderness’
era stata convertita in una terra di insediamenti agrico-
li europei.
Sia che scrivessero di indiani, di commercio di pellicce,
di foreste o di fattorie, gli autori del periodo coloniale
erano decisamente consapevoli che profonde alterazio-
ni della struttura ecologica si stavano verificando attor-
no a loro.
In un brano di un suo scritto, Benjamin Rush, anticipando
parzialmente la tesi sulla frontiera di F. J. Turner, per e-
sempio, descrisse una precisa sequenza di passaggi per
deforestare e civilizzare la ‘wilderness’.
‘Dalla riconsiderazione delle tre diverse tipologie di colo-
no’, scrisse della Pennsylvania ‘risulta che vi sono alcune
fasi regolari che segnano il progresso dalla vita selvaggia
a quella civilizzata.
Il primo tipo di colono è quasi vicino a un indiano per il
modo di comportarsi. Nel secondo, i modi di comporta-
mento da indiano sono più diluiti: è solo nel terzo tipo di
colono che vediamo la completa civilizzazione’.
Sebbene il paesaggio risultasse modificato da questa sup-
posta evoluzione sociale, il processo ‘umano’ di sviluppo –
dall’indiano, a colui che disbosca, al prospero agricoltore –
era il momento centrale su cui Rush focalizzava la sua
attenzione.
Il cambiamento ambientale era di interesse secondario.
Per i pensatori illuministi come Rush, a ogni fase, la con-
figurazione del paesaggio era una conferma visibile del-
lo stato della società umana.
Ambedue subivano uno sviluppo evolutivo dallo stato
selvaggio alla civilizzazione. Sia che venisse interpreta-
to come decadenza, sia che venisse interpretato come
progresso, il mutamento – dalla foresta – ‘degli animali
più nobili’ di Thoreau ai campi e ai pascoli del prospero
agricoltore di Rush – indicava una campagna veramen-
te trasformata, una campagna i cui cambiamenti erano
strettamente legati alla storia umana che si era svilup-
pata al suo interno.
Nel New England, la sostituzione degli indiani con la
popolazione prevalentemente europea fu una rivolu-
zione tanto ecologica quanto culturale, e l’aspetto u-
mano di questa rivoluzione non può essere pienamen-
te compreso finché rimane vincolato a quello ecologi-
co.
Per arrivare a ciò è necessaria una storia non solo di at-
tori umani, di conflitti e di questioni economiche, ma
anche di ecosistemi.
(……) Questo ci porta direttamente al cuore delle diffi-
coltà teoriche implicite nel fare storia ecologica. Quan-
do ci si chiede quanto un ecosistema sia stato modifica-
to dall’influenza umana, l’inevitabile domanda succes-
siva deve essere: ‘Cambiato rispetto a cosa?’.
Non esiste una risposta semplice.
Prima di poter analizzare i modi mediante i quali le per-
sone alterano il proprio ambiente, dobbiamo innanzitut-
to considerare come questi ambienti mutino in assenza
di attività umane; questo a sua volta richiede di riflette-
re su cosa intendiamo per ‘comunità’ ecologica.
L’ecologia in quanto scienza biologica ha dovuto accu-
parsi di questo problema fin dall’inizio.
La prima generazione di ecologi accademici, guidati da
Frederic Clements, definirono in senso letterale le comu-
nità che studiavano superorganismi, sottoposti a nascita,
crescita, maturità e a volte anche morte, come le piante
e gli animali.
Secondo questo modello, la dinamica del cambiamento
di una comunità poteva essere espressa nel concetto di
‘successione’.
Dipendendo dalla propria regione, una comunità biotica
poteva iniziare come uno stagno che veniva poi trasfor-
mato gradualmente dalle proprie dinamiche interne in
una palude, in un prato, in una foresta di alberi precur-
sori e infine in una foresta di alberi dominanti.
Quest’ultimo stadio veniva assunto come stabile ed era
conosciuto come il ‘climax’, vale a dire una comunità,
più o meno permanente, che si sarebbe riprodotta inde-
finitivamente se lasciata indisturbata.
Il suo stato di equilibrio definiva l”organismo’ maturo
della foresta, in modo tale che tutti i membri della co-
munità potessero essere intesi in funzione del mante-
nimento della stabilità dell’insieme.
Vi era un punto di riferimento apparentemente ogget-
tivo: qualunque comunità effettiva poteva essere con-
frontata con il ‘climax’ teorico, e allora le differenze
tra essi potevano venire normalmente attribuite a ‘fat-
tori di disturbo’.
Spesso la fonte dei fattori di disturbo era umana, e ciò
implicava che l’umanità era in qualche modo esterna
alla comunità ideale del ‘climax’.
Quest’enfasi funzionalista dell’equilibrio e del ‘climax’
ebbe importanti conseguenze, poiché tese a rimuovere
le comunità ecologiche dalla storia.
Se qualunque cambiamento ecologico fosse autoequili-
brante oppure inesistente, allora la storia sarebbe più o
meno assente, a eccezione delle scansioni che si prolun-
gano nel tempo, come le variazioni climatiche o l’evolu-
zione darwiniana.
Il risultato fu un paradosso.
Gli ecologi, cercando di definire il ‘climax’ e le successio-
ni per una regione come il New England, dovettero affron-
tare una massiccia alterazione ambientale causata dagli
esseri umani, sebbene i loro programmi di ricerca richie-
dessero la determinazione dell’ambiente senza la presen-
za umana.
Togliendo le influenze corruttrici dell’uomo e della don-
na, potevano scoprire l’originaria comunità ideale del
‘climax’. Si scorge qui una certa rassomiglianza con
l’interpretazione data da Thoreau su Wood:
il cambiamento storico veniva definito più come un’aberra-
zione che come la norma.
(W. Cronon, La terra trasformata)