PIONIERI e NATIVI: la terra trasformata (25)

Precedenti capitoli:

pionieri e nativi: la terra trasformata (24) &

quando la ‘lingua’ contribuisce alla vittoria (23) &

li ho creati io (22)

Prosegue in:

pionieri e nativi: la terra trasformata (26)

Da:

pionieri e nativi 25

 

Frammenti in rima

 

 

 

 

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Visto in questo modo, un mutamento nel paesaggio

significava la perdita di uno stato selvaggio e di una

virilità fondamentalmente spirituali nel loro signifi-

cato più profondo, un segno di decadenza sia della

natura sia dell’umanità.

‘Non è questa allora’, chiese Thoreau, ‘una natura

mutilata e imperfetta quella che mi circonda?’.

E’ importante rispondere in modo preciso a questa

domanda di Thoreau: in che modo cambiò la ‘natu-

ra’ del New England all’arrivo degli europei?

Inoltre, è adeguato parlare dei suoi cambiamenti in

termini di mutilazione e di imperfezione?

 

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Non c’è nulla di nuovo nell’affermare che la colonizza-

zione europea ha trasformato il paesaggio americano.

Molto prima di Thoreau, naturalisti e storici avevano

commentato il processo mediante il quale la ‘wilderness’

era stata convertita in una terra di insediamenti agrico-

li europei.

Sia che scrivessero di indiani, di commercio di pellicce,

di foreste o di fattorie, gli autori del periodo coloniale

erano decisamente consapevoli che profonde alterazio-

ni della struttura ecologica si stavano verificando attor-

no a loro.

 

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In un brano di un suo scritto, Benjamin Rush, anticipando

parzialmente la tesi sulla frontiera di F. J. Turner, per e-

sempio, descrisse una precisa sequenza di passaggi per

deforestare e civilizzare la ‘wilderness’.

‘Dalla riconsiderazione delle tre diverse tipologie di colo-

no’, scrisse della Pennsylvania ‘risulta che vi sono alcune

fasi regolari che segnano il progresso dalla vita selvaggia

a quella civilizzata.

Il primo tipo di colono è quasi vicino a un indiano per il

modo di comportarsi. Nel secondo, i modi di comporta-

mento da indiano sono più diluiti: è solo nel terzo tipo di

colono che vediamo la completa civilizzazione’.

Sebbene il paesaggio risultasse modificato da questa sup-

posta evoluzione sociale, il processo ‘umano’ di sviluppo –

dall’indiano, a colui che disbosca, al prospero agricoltore –

era il momento centrale su cui Rush focalizzava la sua

attenzione.

Il cambiamento ambientale era di interesse secondario.

Per i pensatori illuministi come Rush, a ogni fase, la con-

figurazione del paesaggio era una conferma visibile del-

lo stato della società umana.

Ambedue subivano uno sviluppo evolutivo dallo stato

selvaggio alla civilizzazione. Sia che venisse interpreta-

to come decadenza, sia che venisse interpretato come

progresso, il mutamento – dalla foresta – ‘degli animali

più nobili’ di Thoreau ai campi e ai pascoli del prospero

agricoltore di Rush – indicava una campagna veramen-

te trasformata, una campagna i cui cambiamenti erano

strettamente legati alla storia umana che si era svilup-

pata al suo interno.

Nel New England, la sostituzione degli indiani con la

popolazione prevalentemente europea fu una rivolu-

zione tanto ecologica quanto culturale, e l’aspetto u-

mano di questa rivoluzione non può essere pienamen-

te compreso finché rimane vincolato a quello ecologi-

co.

Per arrivare a ciò è necessaria una storia non solo di at-

tori umani, di conflitti e di questioni economiche, ma

anche di ecosistemi.

(……) Questo ci porta direttamente al cuore delle diffi-

coltà teoriche implicite nel fare storia ecologica. Quan-

do ci si chiede quanto un ecosistema sia stato modifica-

to dall’influenza umana, l’inevitabile domanda succes-

siva deve essere: ‘Cambiato rispetto a cosa?’.

Non esiste una risposta semplice.

 

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Prima di poter analizzare i modi mediante i quali le per-

sone alterano il proprio ambiente, dobbiamo innanzitut-

to considerare come questi ambienti mutino in assenza

di attività umane; questo a sua volta richiede di riflette-

re su cosa intendiamo per ‘comunità’ ecologica.

L’ecologia in quanto scienza biologica ha dovuto accu-

parsi di questo problema fin dall’inizio.

La prima generazione di ecologi accademici, guidati da

Frederic Clements, definirono in senso letterale le comu-

nità che studiavano superorganismi, sottoposti a nascita,

crescita, maturità e a volte anche morte, come le piante

e gli animali.

Secondo questo modello, la dinamica del cambiamento

di una comunità poteva essere espressa nel concetto di

‘successione’.

 

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Dipendendo dalla propria regione, una comunità biotica

poteva iniziare come uno stagno che veniva poi trasfor-

mato gradualmente dalle proprie dinamiche interne in

una palude, in un prato, in una foresta di alberi precur-

sori e infine in una foresta di alberi dominanti.

Quest’ultimo stadio veniva assunto come stabile ed era

conosciuto come il ‘climax’, vale a dire una comunità,

più o meno permanente, che si sarebbe riprodotta inde-

finitivamente se lasciata indisturbata.

Il suo stato di equilibrio definiva l”organismo’ maturo

della foresta, in modo tale che tutti i membri della co-

munità potessero essere intesi in funzione del mante-

nimento della stabilità dell’insieme.

Vi era un punto di riferimento apparentemente ogget-

tivo: qualunque comunità effettiva poteva essere con-

frontata con il ‘climax’ teorico, e allora le differenze

tra essi potevano venire normalmente attribuite a ‘fat-

tori di disturbo’.

Spesso la fonte dei fattori di disturbo era umana, e ciò

implicava che l’umanità era in qualche modo esterna

alla comunità ideale del ‘climax’.

Quest’enfasi funzionalista dell’equilibrio e del ‘climax’

ebbe importanti conseguenze, poiché tese a rimuovere

le comunità ecologiche dalla storia.

Se qualunque cambiamento ecologico fosse autoequili-

brante oppure inesistente, allora la storia sarebbe più o

meno assente, a eccezione delle scansioni che si prolun-

gano nel tempo, come le variazioni climatiche o l’evolu-

zione darwiniana.

Il risultato fu un paradosso.

Gli ecologi, cercando di definire il ‘climax’ e le successio-

ni per una regione come il New England, dovettero affron-

tare una massiccia alterazione ambientale causata dagli

esseri umani, sebbene i loro programmi di ricerca richie-

dessero la determinazione dell’ambiente senza la presen-

za umana.

Togliendo le influenze corruttrici dell’uomo e della don-

na, potevano scoprire l’originaria comunità ideale del

‘climax’.  Si scorge qui una certa rassomiglianza con

l’interpretazione data da Thoreau su Wood:

il cambiamento storico veniva definito più come un’aberra-

zione che come la norma.

(W. Cronon, La terra trasformata)

 

 

 

 

 

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PIONIERI e NATIVI: la terra trasformata (25)ultima modifica: 2013-03-15T00:00:00+01:00da giuliano106
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