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il catarismo, che nel Duecento è l’haeresis per antonomasia: infatti, negli
atti inquisitoriali, i catari son detti correntemente haeretici senza altra
specificazione.
Ma qui c’è da tener presente che, se sono relativamente numerosi i perfetti
catari, ossia coloro che erano stati ereticati mediante il consalamentum, il
cui nome ricorre negli atti dell’inquisizione, è invece estremamente esiguo
il numero delle sentenze e, più ancora, degli atti processuali istruiti contro
di essi e giunti sino a noi.
E’ nondimeno provato che il giudice della fede – seguendo la procedura
fissata nei manuali dell’ufficio – cercava anzitutto di conoscere il contenu-
to della loro fede (come avviene ancora, con atti preventivi, di censura e
controllo: siamo profondamente debitori di questa linea di pensiero, ‘inve-
stitura regale’ ereditata dal nostro passato non remoto, ed infatti ancor og-
gi i suoi echi mal si tollerano in ogni ambito della cultura, sia essa di de-
stra laica o cattolica; ne tratto nel mio libro Dialoghi con Pietro Autier.
La cultura non è esente da questa odiosa pratica, anche quando convinta
di essere nella ragione, o di godere dei principi della democrazia, nelle sue
cantine e soffitte, in realtà, si celano e celebrano ben altri processi), affin di
stabilire, se si trattava o no, di eresia.
Cito il caso di due catari fiorentini, Andrea e Pietro, catturati nel 1229 dall’-
abate Quirico di S. Miniato al Monte e condotti a Perugia, dove nella chiesa
di Monteluce, alla presenza di Gregorio IX, fecero una dettagliata abiura dei
loro errori, dai quali risulta, chiarissima, la loro appartenenza al catarismo
dualistico…..
(per i pochi e volenterosi lettori e cultori di storia e non solo, una
precisazione in disaccordo con l’autore del presente e raro volume,
la prassi dell’abiura è un procedimento con cui si raggiunge e si
prefigge il fine, con ciò si prende atto, e lo farò in seguito riportan-
do e citando altri documenti, che l’allora società medievale, su cui
si poggia per altro, oltre il nostro ordinamento giuridico anche l’-
intera eredità culturale, evitava sì il rogo, ma con la chiara premes-
sa della confisca dei beni. Ciò, tradotto in parole povere, significa-
va un’efficacissima arma in favore del potere del Vaticano, o meglio
della Chiesa, che con l’esercizio delle proprie leggi, di fatto, priva-
va il malcapitato del diritto di appartenere alla medesima società
al pari degli altri cittadini detti ‘cristiani’, consegnandolo ad un e-
silio forzato dallo stato, regione o provincia di cittadinanaza, ‘pri-
vando’ lui quanto altri, più o meno facoltosi eretici, di poter oltre
che godere dei propri diritti ‘confiscati’ per legge, anche delle pro-
prietà, siano esse un semplice orto, siano esse più consistenti posse-
dimenti – bastava troppo poco per scendere nei sotterranei culturali
della santa Inquisizione – con essi, quindi, il lavoro, la famiglia, ed
i già citati pochi o tanti averi.
La verità più consona va cercata oltre che sui libri di storia anche
negli archivi catastali dell’epoca, ancor oggi consultabili, dove è
possibile riscontrare il patrimonio acquisito da taluni prelati e con
loro i feudatari protettori.
Pratica ancor oggi in uso, la politica ed il suo regime ha ereditato,
dalla ‘sinistra’ alla ‘destra’ là dove estende le sue pretese, questa
facoltà di creare ricchezza o al contrario… povertà! e con essa si
sottintende anche la propria dignità simmetrica al proprio dirit-
to…alla vita.).
La presenza del dualismo assoluto in Orvieto è denunziata dalla confes-
sione del pellicciaio Stradigotto da Siena, che nel corso della inquisitio ge-
neralis degli anni 1268/69 riferì il contenuto delle prediche ascoltate dal-
la bocca degli eretici.
Da esso non differisce la dottrina di cui, in una pubblica contio, con la im-
mediatezza di un comiziante, si fa banditore di un contraddittorio con l’-
inquisitore, un anonimo eretico della Campagna, il cui ricordo ci è giunto
attraverso un exemplum.
Gli errori invece che, verso il 1250, un eretico fiorentino confessa dinanzi
all’inquisitore domenicale Ruggero Calcagni, riflettono alcuni aspetti dot-
trinali più concreti del catarismo e non v’è in essi alcun accenno al duali-
smo assoluto.
A volte attraverso l’inchiesta, l’inquisitore accerta persino l’appartenenza
dell’imputato a una data chiesa catara, come nel caso di quell’Albertino con-
vocato dall’inquisitore a Ferrara nel 1273, il quale era stato haereticus sectae
de Bagnolo, mentre dallo stesso processo risulta anche il famoso Armanno
Pungilupo, prima di approdare al catarismo.
Contrariamente a quanto a prima vista può sembrare, l’attenzione dell’in-
quisitore, in questi interrogatori, non era rivolta ad accertare e, meno anco-
ra, ad approfondire la natura dell’eresia o il grado di colpevolezza sogget-
tiva dell’imputato.
A lui interessava soprattutto la natura dei suoi beni, e di conseguenza ve-
rificare, in base a dati esteriori, quali l’ascolto di prediche, la pubblica pro-
fessione di dottrine, atti cultuali e ‘culturali’ e contatti ritenuti ‘sospetti’, se
v’era stata una manifesta adesione all’eresia, e di entrare in possesso del
maggior numero possibile di elementi atti a metterlo sulle tracce di altri e-
ventuali eretici o di loro aderenti.
Insomma, l’inquisitore è un giudice (di chiesa), non un confessore e nep-
pure un teologo. Oggetto del suo intervento è il foro esterno.
Qualche volta, prima ancora che l’inquisitore si mettesse sulle tracce de-
gli infamati di eresia, questi venivano colpiti da gravi pene. Capita così
con i 67 imputati, probabilmente credenti , che nel 1269 si erano rifugiati
nel regno di ………. e contro i quali, insieme al mandato di cattura, viene
ordinato l’immediato sequestro dei beni (come già detto..).
(……..)