TEMPESTE DI NEVE (eretici di montagna)

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ci vediamo

a natale


 

tempeste di neve (eretici di montagna)







 

Il mattino successivo Hazard e Odell puntano il cannocchiale

verso le tende del campo avanazato.

Non si muove nulla.

Verso mezzogiorno Odell decide di iniziare le ricerche.

Stabilisce, con Hazard, un semplice segnale di riconosci-

mento: di giorno avrebbe messo i sacchi a pelo sulla neve

in modo di formare delle figure ben distinte, di notte avreb-

be mandato dei segnali luminosi.


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A mezzogiorno Odell si mette in cammino con due porta-

tori.

Sul pendio soffia un vento proveniente da ovest.

Ciò nonostante Odell va avanti, continua a cercare.

Nel campo V i due scalatori non ci sono.

Nessuno viene a salvarmi?

Il beniamino del cielo, delle donne, degli scalatori è un uo-

mo distrutto, povero e inetto, un mucchio di ossa e carne,

con un unica supplica: salvatemi!

Nessuno riesce a sentirmi oppure è la mia voce è diventa-

ta afona?

Sono già nell’aldilà?


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Di sicuro, dal basso, non possono vedermi, neppure con

il binocolo: sono sdraiato su questa cengia e non riesco a

muovermi.

Se solo potessero sentire la mia voce, le mie grida!

Forse potrei tentare di raggiungere una sporgenza, aiu-

tandomi con le mani e le ginocchia.

Potessi fare un cenno!

Arrivare un po’ più vicino alla tenda e gridare in modo

che qualcuno riesca a sentirmi.

Ma adesso è tutto così lontano, troppo lontano per me.

Anche la vita.

Al campo V le raffiche di vento minacciano di strappa-

re le tende.

Attraverso i frammenti di nuvole che scorrono via velo-

ci Odell getta uno sguardo verso la cima dell’Everest:

solo notte, vento e gelo.

Malgrado l’abbigliamento pesante e due sacchi a pelo

Odell non ha affatto caldo in questa lunga notte.


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I portatori, sofferenti per il mal di montagna, al mattino

salgano verso il colle nord.

Odell continua da solo verso il campo VI.

Con l’aiuto dell’ossigeno riesce a proseguire.

Di tanto in tanto cerca un riparo dietro una roccia per

scaldarsi.

Prima del campo VI si rende conto che l’ossigeno serve

poco:

Avevo un’unica bombola, da cui avevo assunto solo una

piccola quantità di ossigeno. Per non lasciare nulla di in-

tentato, aumentai l’afflusso e feci dei respiri più profon-

di.

Tranne una diminuzione, appena percettibile, della fati-

ca alle gambe, non provai nient’altro.

Tenendo conto delle esperienze di altri, ero molto mera-

vigliato.

Forse mi ero adattato particolarmente bene all’aria di

montagna povera d’ossigeno.

Chiusi la valvola del gas senza provare quelle conse-

guenze negative descritte dalla teoria. Tenendo prov-

visoriamente le bombole sulla schiena lasciai pendere

il fastidioso boccaglio e andai avanti.

Quassù il respiro è affannoso, sarebbe così anche per

un corridore veloce e ben allenato.


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Per quanto tempo riuscirò ancora a respirare?

Non sono più in grado di mettere insieme i pensieri, né

di dire nulla.

Il freddo, il dolore e la perdita della speranza mi sfini-

scono, cerco di restare sveglio.

Se non mi trovano adesso, sarà troppo tardi, quindi me-

glio una fine senza testimoni e testimonianze.

La tenda del campo VI è ancora così come l’aveva lascia-

ta Odell.

Sono trascorsi due giorni dalla bufera sulla cima.

Devono pur essere accovacciati da qualche parte!

Ma come hanno fatto a resistere all’aperto queste due

notti?

Quassù chiunque muore senza un riparo.

Odell continua a salire, cerca, grida; la tormenta sulla

montagna non concede tregua, soffoca tutti i suoni.

Non ha mai avuto così freddo, non si è mai sentito così

solo, e non ha mai provato un senso di abbandono così

amaro.

E’ troppo tardi.

Da solo non può far nulla, non può trovare niente e

nessuno.

Avrebbe bisogno di una squadra di soccorso.

Odell scende verso il campo VI.

Ecco il suo resoconto:

Dopo essermi affaticato per due ore, mi resi conto dell’-

impossibilità di trovare qualche traccia dei dispersi in

questo immenso deserto di roccia.

Soltanto una squadra di soccorso con molti uomini avr-

ebbe potuto organizzare le ricerche.

Nel luogo in cui i due sono stati visti per l’ultima volta

mi sarei dovuto imbattere nelle loro tracce ma, da solo,

non potevo avanzare fin lassù, sulla cresta nordest:

e poi, in ogni caso, sarebbe stato troppo tardi.


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Ieri sono morto, la mia prima morte, e ora, finalmente, posso

riposare tranquillo.

A quest’altitudine il corpo non si decompone neppure.

Per tre giorni gli altri hanno cercato e sperato, cercato e

aspettato.

Adesso possono essere certi che resto dove sono.

Sotto un cielo che conosce solo il nero e il bianco, il mio

corpo inizia a irrigidirsi il mio spirito a risorgere.

La mia prima vita è passata.

E’ successo. Ma non tutto è finito.

Il mito è vivo! Adesso tutti pensano che io sia sparito

senza lasciare tracce e finalmente nelle valli e nelle cit-

tà possono speculare e idealizzare la vicenda.

Perché che cos’è un eroe morto senza ideali elevati?

Ma da qualche parte deve pur esserci rimasto qualco-

sa di un uomo che sembra essersi volatilizzato tra le

nuvole.

(R. Messner, La seconda morte di Mallory)





 

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TEMPESTE DI NEVE (eretici di montagna)ultima modifica: 2012-10-25T00:00:00+02:00da giuliano106
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