DA RUOLO A RUOLO: uno svizzero (10)

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gj1

 

 

 

 

 

 

L’angoscia mi stringe per te, fratello mio…

 

 

Il mio scritto necessita, a causa del suo contenuto un po’ inconsueto,

di una breve prefazione che vorrei che il lettore non trascurasse.

Verranno toccati, infatti, temi relativi a credenze religiose profondamen-

te sentite e sappiamo bene che chiunque affronti un discorso di questo

genere corre il rischio di venir fatto a brani dai due partiti che contendo-

no proprio intorno a questi argomenti.

La controversia nasce dal singolare presupposto che qualcosa sia ‘ve-

ro’ soltanto quando si presenti o si sia presentato in passato come un

fatto fisico. Così ad esempio, il fatto che Cristo sia stato partorito da

una vergine, ritenuto dagli uni fisicamente vero, è dagli altri negato co-

me fisicamente impossibile.

Chiunque può vedere che questo contrasto non è risolvibile logicamen-

te e che perciò si farebbe molto meglio ad astenersi da sterili dispute.

Ambedue, infatti, hanno ragione e torto nello stesso tempo e potrebbe-

ro mettersi facilmente d’accordo sol che volessero rinunciare al termi-

ne ‘fisico’.

La ‘fisicità’ non rappresenta il solo criterio di una verità. Esistono, infatti,

anche verità spirituali, che non si prestano a venire spiegate o dimostra-

te o discusse sul piano del fatto fisico.

Se, ad esempio, fosse credenza comune che in un determinato periodo

la corrente del Reno sia risalita dalla foce alla sorgente, già questa cre-

denza in sé rappresenterebbe una  realtà per quanto assurdo possa ap-

parire, da un punto di vista fisico, l’affermarlo.

Una credenza siffatta costituisce una realtà psichica che non può veni-

re contestata e che non ha bisogno di alcuna conferma. A questo gene-

re appartengono le affermazioni di carattere religioso.

Queste si riferiscono senza eccezione a oggetti la cui esistenza o pre-

senza non può venire costatata fisicamente. Se così non fosse, cadreb-

bero inevitabilmente nell’ambito delle scienze naturali dalle quali verreb-

bero irrevocabilmente eliminate in quanto escludono ogni possibilità di

conferma sperimentale.

Messe in rapporto col mondo fisico sono assolutamente prive di signif-

icato. Diverrebbero in questo caso semplicemente dei miracoli già di

per sé esposti al dubbio e che, per di più, non riuscirebbero a provare

la realtà di uno spirito, vale a dire di un significato, poiché il significato

prova sempre da sé la propria esistenza.

Il significato e lo spirito di Cristo ci sono presenti e percepibili anche

senza miracoli. Questi fanno appello soltanto all’intelligenza di coloro

che non sono capaci di afferrare il significato. Sono semplicemente un

surrogato dell’incompresa realtà dello spirito.

Con ciò non si vuole negare che la presenza viva di questo non possa

essere eventualmente accompagnata da avvenimenti miracolosi di ca-

rattere fisico, ma si vuole semplicemente mettere in rilievo che questi

ultimi non possono né sostituire né ‘attualizzare’ la conoscenza dello

spirito, la sola essenziale.

Il fatto che le affermazioni religiose stiano spesso anche in diretta an-

titesi con le manifestazioni fisicamente più evidenti e incontestabili

prova l’indipendenza dello spirito rispetto alla percezione fisica e una

certa indipendenza dell’esperienza spirituale dai dati di fatto fisici.

L’anima è un fattore autonomo e le affermazioni religiose sono dei

riconoscimenti spirituali che, in fondo si basano su processi incon-

sci e perciò trascendenti.

Questi sono inaccessibili alla percezione fisica ma provano la loro

presenza a mezzo di corrispondenti riconoscimenti dell’anima.

Tali espressioni vengono trasmesse attraverso la conoscenza u-

mana e cioè rivestite di forme chiare, le quali a loro volta sono e-

sposte a svariate influenze di natura interiore ed esteriore.

Da ciò segue che, quando parliamo di argomenti religiosi, ci muo-

viamo in un mondo di immagini che alludono all’ineffabile.

Noi non sappiamo quanto chiare o confuse siano queste immagi-

ni, simboli o concetti, rispetto al soggetto trascendentale a cui si

riferiscono.

Quando diciamo ad esempio, ‘Dio’, esprimiamo un’immagine o un

concetto verbale il quale, nel corso dei tempi, ha subito molti cam-

biamenti. Così non siamo in grado d’indicare con sufficiente preci-

sione – salvo che mediante la fede – se queste trasformazioni ri-

guardano soltanto le immagini e i concetti oppure l’ineffabile stes-

so.

Ci si può infatti immaginare Dio altrettanto bene sia come un’atti-

vità vitale in eterno fluire, che assume un numero infinito di forme

diverse, sia come un essere eternamente immoto e immutabile.

La nostra coscienza è certa di una cosa sola, cioè che manipo-

liamo figure, idee che, dipendono dalla fantasia umana e dal suo

essere condizionata temporalmente e spazialmente, hanno subi-

to infiniti mutamenti nella loro storia millenaria.

Indubbiamente, alla base di queste immagini giace qualcosa di

trascendente alla coscienza, che fa sì che le affermazioni non

varino semplicemente senza alcun limite e in maniera caotica,

ma permettano di percepire il loro riferirsi a un numero limitato di

principi o archetipi.

Questi, come la psiche stessa, o come la materia, sono incono-

scibili in sé e di essi si possono soltanto abbozzare modelli di cui

conosciamo l’insufficienza; cosa che viene riconfermata dai prin-

cipi religiosi.

Perciò quando, più avanti, mi occupo di questi soggetti ‘metafisici’,

lo faccio con piena coscienza di muovermi nel mondo di queste

immagini e che nemmeno una delle mie considerazioni raggiunge

l’inconoscibile.

Io so anche troppo bene quanto sia limitata la capacità della nostra

immaginazione – per non parlare poi della limitazione e della povertà

del nostro linguaggio – per presumere che le mie espressioni signifi-

chino, in linea di principio, qualcosa di più dell’affermazione di un pri-

mitivo che sostiene che il suo Dio-Salvatore è una lepre o un serpen-

te.

Per quanto tutto il mondo della nostra immaginazione religiosa con-

sista di figure antropomorfe che, in quanto tali, non potrebbero mai

reggere a una critica razionale, non ci si deve dimenticare che es-

so è basato su archetipi numinosi, vale a dire su di un fondamento

emotivo che si dimostra inattaccabile alla ragione critica.

Si tratta qui di fatti spirituali che si possono soltanto abbracciare con

lo sguardo, ma non dimostrare. Perciò già Tertulliano ha giustamen-

te invocato la testimonianza dell’anima.

Nel suo scritto ‘De testimonio animae’, egli dice:

 

Queste testimonianze dell’anima, quanto sono vere altrettanto sono

semplici, quanto semplici altrettanto popolari, quanto popolari tanto

generali, quanto generali tanto naturali, quanto naturali tanto divine;

non voglio credere che ad alcuno possano sembrare futili e senza

senso sol che pensi alla dignità della natura dalla quale deriva l’au-

torità dell’anima. Quanto tu concederai alla maestra, tanto aggiudi-

cherai all’allieva, e la natura è la maestra e l’allieva è l’anima.

E quanto o quella ha insegnato o questa ha appreso, tutto è stato

insegnato da Dio, cioè dal maestro della maestra stessa. Che co-

sa l’anima possa conoscere dal suo più alto maestro, sta a te giu-

dicarlo ricavandolo dalla tua stessa anima che sta con te.

Conosci l’anima che fa sì che tu conosca: pensa che essa è vin-

citore nei presentimenti, profetica nei presagi, preveggente nei

pronostici. Che meraviglia che lei, data da Dio, sappia divinare

all’uomo. E ancor maggiore meraviglia se riconosce colui dal

quale è stata data.

 

Io vado oltre ancora di un passo e considero anche le affermazio-

ni della Sacra Scrittura come espressioni dell’anima, a rischio di

rendermi sospetto di psicologismo.

Quand’anche le affermazioni della coscienza possano costituire

inganni, menzogne o altri atti arbitrari, questo non può assoluta-

mente valere per le affermazioni dell’anima; esse passano sem-

pre, sin dall’inizio, al di sopra del nostro livello in quanto indirizza-

no a realtà trascendenti alla coscienza.

Questi entia sono gli archetipi dell’inconscio collettivo, che dan-

no origine a complessi rappresentativi sotto forma di motivi mito-

logici. Rappresentazioni di questo genere non vengono inventate

bensì si presentano alla percezione interiore come immagini bell’e

pronte, ad esempio nei sogni.

Si tratta di fenomeni spontanei che sfuggono alla nostra volontà e

si è perciò giustificati ad attribuir loro una certa autonomia. Non de-

vono perciò venire considerati soltanto come oggetti ma anche co-

me soggetti provvisti di leggi proprie.

Naturalmente, dal punto di vista della coscienza, si può descriverli

come oggetti e sino a un certo grado anche descriverli, nella stes-

sa misura in cui si può descrivere e spiegare un essere umano vi-

vente.

In questo caso, comunque, bisogna non tenere conto della loro

autonomia. Ma se si vuole prendere in considerazione pure que-

sta, essi devono venire necessariamente trattati come soggetti,

vale a dire deve venir loro riconosciuta spontaneità e intenziona-

lità, oppure una specie di coscienza e di ‘liberum arbitrium’, di li-

bera volontà e si è perciò giustificati ad attribuir loro una certa

autonomia…..

 

(G. Jung, Estratto di una lettera al pastore….)

 

 

 

 

 

 

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DA RUOLO A RUOLO: uno svizzero (10)ultima modifica: 2014-01-22T00:02:24+01:00da giuliano106
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