Prosegue in:
Giuliano ci lascia capire che l’utilizzo dei miti da parte di un
filosofo non può essere giustificato se non nell’Etica.
Ed egli ha appena chiarito che non si tratta dell’Etica presa nel
suo insieme, ma solo della parte di essa che si rivolge agli ‘in-
dividui’.
In altre parole, quando un filosofo parla da ‘teorico’ dello Stato
o della Società, cioè dell’Uomo o della Società, cioè dell’Uomo
‘in generale’ o in quanto tale, egli deve parlare ‘sul serio’ e cer-
care di dire la ‘verità’, evitando perciò ogni sorta di ‘miti’.
Un filosofo può raccontare lui stesso, o far raccontare da altri
delle ‘storie false in forma credibile’, allo scopo di farle sembra-
re vere, unicamente nel caso in cui egli voglia comportarsi da
pedagogo o da dema-gogo, cioè quando ha per fine di educare
gli individui in maniera tale che la loro vita collettiva possa as-
sumere la forma di uno Stato vivibile e davvero degno di questo
nome, quale fu ad esempio lo Stato romano prima della sua de-
cadenza.
Avendolo lasciato intendere, l’imperatore-filosofo ritiene neces-
sario e possibile precisare ancora il suo pensiero e dire, questa
volta a chiare lettere, che in ogni caso non si debbono racconta-
re ‘miti’, anche edificanti, se non a quanti non sono capaci di
comprendere o di accettare la verità.
In effetti, Giuliano ci dice questo:
“Ma colui che inventa le sue storie poetiche allo scopo di mi-
gliorare i costumi e nel far questo utilizza dei miti (teologici),
deve rivolgersi non a degli uomini (adulti), ma solo a quanti
sono ancora bambini, sia per età, sia per intelligenza, e che in
genere hanno ancora bisogno di simili storie”.
E poco oltre aggiunge:
“Poiché è stabilito che si debbono raccontare dei miti solo a dei
bambini, che si trovano ancora in questo stadio per via della lo-
ro età o della loro intelligenza, dobbiamo stare molto attenti
(quando raccontiamo dei miti teologici, e non, perché vengano
creduti) di non commettere errori né verso gli dèi, né verso gli
uomini”.
Ma da buon filosofo quale era, Giuliano si considerava lui stes-
so come perfettamente ‘adulto’.
E se ci lascia capire, alla stregua di tutti i suoi predecessori in
filosofia, che la maggior parte dei ‘profani’ sono solo dei ‘bam-
bini’, egli è pronto ad ammettere accanto a sé nel piccolo e ri-
stretto gruppo di ‘adulti’, nel senso autentico del termine, tutti
i veri filosofi, al pari degli uomini di Stato davvero degni di
questo nome.
E’ quanto del resto dice in modo esplicito nel passo che se-
gue:
“Ora, se tu (Eraclio, cioè il simbolo del vescovo o del teologo
cristiano) ci hai preso per dei bambini: me, o questo Anatolios
(ministro di corte); ma puoi aggiungere anche Memmorius
(prefetto di Tarsia) o Salustio (amico di Giuliano e prefetto dei
Galli); infatti perché uno di loro dovrebbe sottrarsi? – allora do-
vrebbero prescriverti l’antikyra (rimedio contro la follia)”.
(Alexandre Kojève, L’imperatore Giuliano e l’arte della scrittura)