MASI…. O PISTE? (20)

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i miei libri 

 

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17 novembre 1971

 

Lo Stallwieserhof è la sede umana permanente più elevata

 del gruppo Ortles-Cevedale e una tra le più elevate del Ti-

rolo del sud.

Vi si arriva per il sentiero che risale la costa del monte in

sponda sinistra del Plima, nell’alta Val Martello, al cospet-

to di uno sterminato rosario di monti, di valli e di lavine.

E’ un itinerario faticoso, ma ossigenante e didattico perché

alla ginnastica, che costringe a fare, unisce la meraviglia

del contrastato amore dell’uomo per la vita.

 

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Infatti, le zone selvagge si alternano a isole coltivate e a

lande dove la natura ha preso il sopravvento dopo che l’-

uomo si è arreso.

L’inverno è giunto improvviso con un paio di grosse nevi-

cate alle quali ha fatto seguito un gelo polare. Unico segna-

le è il sentiero tracciato affrettatamente dalla gente dei ma-

si tanto che, a uscirvi, si affonda fino all’inguine.

Il senso della solitudine è infinito.

Si è presi dal timore di offendere il silenzio che è enorme,

ossessionante come le cime, altissime, dei monti di contro

al cielo.

 

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Eppure sembra di udire una continua, lontana nota sonora

di corno, che riecheggia in quell’anfiteatro di rocce e di bo-

schi freddi e limpidi come il diamante.

Perché?

E’ forse l’humus della storia, mai scritta, degli uomini che

hanno sfidato le desolate prode e che è rimasta incisa nel

paesaggio provocando un dialogo tra la violenza e l’amore?

Ecco là, dove i sentieri si incrociano nella breve conca ai

piedi delle rupi, l’uno proseguendo per lo Stallwies, l’altro

costeggiando il bosco di Sebel verso Greithof, il ricovero per

le pecore.

La neve lo ha aggredito da ogni parte.

 

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Suggerisce l’immagine di una sgangherata, lunga capanna

di pietre improvvisata da ignoti fuggiaschi sul cammino

dell’esodo. Bassa, molto bassa, poggiata al sasso affiorante,

ha il tetto a una falda che scende in direzione della china

del monte; ha larghe sporgenze di tronchi di legno posti uno

sopra l’altro e, infine, larghe porte di assi rozzamente taglia-

te.

D’estate, le grigie fiumane di pecore scorrono sui prati del-

l’alpe andando da uno stazzo all’altro onde naturalmente

fertilizzare i prati.

 

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I luoghi, e i nomi imposti ai luoghi, danno la misura della

discreta antropizzazione che non si arresta nelle alte radu-

re dei masi, ma coinvolge la montagna fino al deserto del

deserto nivale.

Si tratta di una storia umile perché i suoi protagonisti non

sono le date e le guerre, né i potenti, né le città, ma povera

gente disperata la cui economia era appesa alla bontà o

meno del decorso del tempo.

Ieri, come oggi. E’ sempre stato così.

E’ per questo che la storia silenziosa della colonizzazione

della montagna ha il fascino misterioso del cosmo.

A tuffarvisi dentro si vien presi da uno stimolo di esplora-

zione. Ma se si pone a fuoco il il cannocchiale, prende alla

gola e dà le vertigini.

 

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Allora i giochi intellettuali e sociali in cui navighiamo as-

sumono la dimensione dell’amaro giro di una danzatrice

di ‘tabarin’ e appaiono autentici i sogni fioriti nella solitu-

dine.

Essi sono la storia scritta nella natura.

E’ il senso dei nomi dei luoghi, dei racconti delle ‘luci’,

cioè dell’interrotto rapporto tra morti e vivi, degli esseri

benefici e malefici che popolano i boschi, dei fuochi che

accendono in certe sere…..

Vi si ritrovano la secolare vicenda dei masi, l’accanimen-

to, epico, della lotta per la sopravvivenza e l’avvicendar-

si delle generazioni ognuna delle quali ha ricevuto e tra-

smesso qualche cosa di suo.

Seguendo , a ritroso, questa specie di filo Arianna, si sco-

priranno le credenze di popolazioni remote che si sono

esaltate o ammorbidite con l’innesto del cristianesimo……

(Aldo Gorfer, Gli eredi della solitudine)

 

 

 

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MASI…. O PISTE? (20)ultima modifica: 2014-04-05T00:02:00+02:00da giuliano106
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