Precedente capitolo:
Il ‘Libretto’ da guida (18/17)
Prosegue in:
Foto del blog:
Il ‘Libretto’ da guida (13) & (14)
Da:
17 novembre 1971
Lo Stallwieserhof è la sede umana permanente più elevata
del gruppo Ortles-Cevedale e una tra le più elevate del Ti-
rolo del sud.
Vi si arriva per il sentiero che risale la costa del monte in
sponda sinistra del Plima, nell’alta Val Martello, al cospet-
to di uno sterminato rosario di monti, di valli e di lavine.
E’ un itinerario faticoso, ma ossigenante e didattico perché
alla ginnastica, che costringe a fare, unisce la meraviglia
del contrastato amore dell’uomo per la vita.
Infatti, le zone selvagge si alternano a isole coltivate e a
lande dove la natura ha preso il sopravvento dopo che l’-
uomo si è arreso.
L’inverno è giunto improvviso con un paio di grosse nevi-
cate alle quali ha fatto seguito un gelo polare. Unico segna-
le è il sentiero tracciato affrettatamente dalla gente dei ma-
si tanto che, a uscirvi, si affonda fino all’inguine.
Il senso della solitudine è infinito.
Si è presi dal timore di offendere il silenzio che è enorme,
ossessionante come le cime, altissime, dei monti di contro
al cielo.
Eppure sembra di udire una continua, lontana nota sonora
di corno, che riecheggia in quell’anfiteatro di rocce e di bo-
schi freddi e limpidi come il diamante.
Perché?
E’ forse l’humus della storia, mai scritta, degli uomini che
hanno sfidato le desolate prode e che è rimasta incisa nel
paesaggio provocando un dialogo tra la violenza e l’amore?
Ecco là, dove i sentieri si incrociano nella breve conca ai
piedi delle rupi, l’uno proseguendo per lo Stallwies, l’altro
costeggiando il bosco di Sebel verso Greithof, il ricovero per
le pecore.
La neve lo ha aggredito da ogni parte.
Suggerisce l’immagine di una sgangherata, lunga capanna
di pietre improvvisata da ignoti fuggiaschi sul cammino
dell’esodo. Bassa, molto bassa, poggiata al sasso affiorante,
ha il tetto a una falda che scende in direzione della china
del monte; ha larghe sporgenze di tronchi di legno posti uno
sopra l’altro e, infine, larghe porte di assi rozzamente taglia-
te.
D’estate, le grigie fiumane di pecore scorrono sui prati del-
l’alpe andando da uno stazzo all’altro onde naturalmente
fertilizzare i prati.
I luoghi, e i nomi imposti ai luoghi, danno la misura della
discreta antropizzazione che non si arresta nelle alte radu-
re dei masi, ma coinvolge la montagna fino al deserto del
deserto nivale.
Si tratta di una storia umile perché i suoi protagonisti non
sono le date e le guerre, né i potenti, né le città, ma povera
gente disperata la cui economia era appesa alla bontà o
meno del decorso del tempo.
Ieri, come oggi. E’ sempre stato così.
E’ per questo che la storia silenziosa della colonizzazione
della montagna ha il fascino misterioso del cosmo.
A tuffarvisi dentro si vien presi da uno stimolo di esplora-
zione. Ma se si pone a fuoco il il cannocchiale, prende alla
gola e dà le vertigini.
Allora i giochi intellettuali e sociali in cui navighiamo as-
sumono la dimensione dell’amaro giro di una danzatrice
di ‘tabarin’ e appaiono autentici i sogni fioriti nella solitu-
dine.
Essi sono la storia scritta nella natura.
E’ il senso dei nomi dei luoghi, dei racconti delle ‘luci’,
cioè dell’interrotto rapporto tra morti e vivi, degli esseri
benefici e malefici che popolano i boschi, dei fuochi che
accendono in certe sere…..
Vi si ritrovano la secolare vicenda dei masi, l’accanimen-
to, epico, della lotta per la sopravvivenza e l’avvicendar-
si delle generazioni ognuna delle quali ha ricevuto e tra-
smesso qualche cosa di suo.
Seguendo , a ritroso, questa specie di filo Arianna, si sco-
priranno le credenze di popolazioni remote che si sono
esaltate o ammorbidite con l’innesto del cristianesimo……
(Aldo Gorfer, Gli eredi della solitudine)