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…Ebbene, quando si parla di Inquisizione (spagnola) del XV secolo,
il nome che su tutti gli altri emerge nella memoria è quello di Tomas
de Torquemada, giunto ad incarnare, dell’Inquisizione, l’aspetto più
orrendo e devastante.
Ed in effetti, Torquemada incarnò per vari anni l’essenza stessa del-
l’Inquisizione: almeno da quando il papa gli conferì, nel 1483, la qua-
lifica di Inquisitore generale per tutto il regno di Castiglia.
Fray Tomas, aveva allora 62 anni.
Discendente del cardinale Juan, famoso per aver difeso strenuamen-
te la tesi dell’infallibilità del papa, Tomas è un personaggio la cui
memoria galleggia tra storia e mito; in realtà, pochissima la storia.
Probabilmente nato ad Avila, attorno al 1420, giovanissimo, si era
fatto frate predicatore nel convento domenicano di San Paolo in
Valladolid, col nome di Tommaso, in onore del santo domenicano
e filosofo, d’Aquino; da subito aveva abbracciato la riforma rigida
dell’Ordine, sulle orme del padre generale Alfonso de San Cebrian:
questa scelta testimonia a favore dell’immagine ascetica dell’uomo.
La sua carriera era stata folgorante: priore del convento di Santa
Cruz, a Segovia; confessore e confidente del tesoriere di Ferdinan-
do d’Aragona e Isabella di Castiglia; infine consigliere della stessa
Isabella.
La nomina ad inquisitore del regno era stata la degna conclusione
di un percorso di onori e di amicizie che, se non aveva pari, era cer-
tamente invidiabile.
Chi ne tesseva gli elogi, non mancava di sottolineare come non
mangiasse mai carne, non facesse mai uso di lino nel proprio letto,
non favorisse neppure i parenti più prossimi con benefici e regalie.
Uomo di eloquenza potente, capace di suggestionare chiunque con
la predicazione, Tomas era la perfetta incarnazione dell’uomo di
fede desideroso di difendere la fede.
Fin qui la storia.
Dove risieda la verità posta fra storia e mito resta un mistero: come
sempre è l’anima dell’uomo a custodirla; in questo caso, l’anima del
giudice.
(Ma per sottolineare lo spirito dell’uomo di fede riflesso nello
specchio del suo tempo, mi è parso importante riportare per
intero quelle che furono talune disposizioni da lui emanate,
che forse ci fanno meglio capire l’animo dell’uomo nei con-
fronti della fede stessa da lui promossa e dibattuta, ‘conse-
gnata’ ai suoi fedeli e difesa dal pericolo di ogni diversa
ortodossia o eresia. Vedremo come in contraddizione con le
enununciazioni del ‘principio’ cristiano la solidarietà, l’a-
more fraterno, la tolleranza, e molti altri comandamenti,
svilissero la loro natura originaria per reprimere qualsia-
si dissenso dinnanzi ad un solo infallibile ‘principio’.
Il concetto di ‘infallibilità’, cui vedremo in seguito, è un
dogma che nella sua breve enunciazione, lascia ampio spa-
zio al fenomeno ereticale. In onor di quella ‘infallibilità’,
della parola interpretata, sorge il ‘problema’ dell’eresia.
Ampie disquisizioni di natura eretica, che oggi interessa-
no forse soli pochi addetti ai lavori, nascono da ‘frammenti’
(per l’appunto), non scordiamoci poi che l’intero ‘edificio
teologico’ è una costante interpretazione di ‘frammenti’
lasciati alla memoria dei posteri, per quanto la memoria di
ogni tradizione, compresa quella che investe il mito era fin
dall’inizio orale, cioè non conosceva la consuetudine della
scrittura, il progresso e futura ‘comodità’ della scrittura.
Un po’quello che succede oggigiorno, nella differenza fra
la carta ‘uso stampa’ e il vasto mondo di Internet.
Fra il torchio ed i primi copisti, ed ancor prima del torchio
da stampa, i custodi della memoria storica…ad uso della
cultura.
All’inizio dei tempi, il bagaglio culturale di un popolo era
affidato alla memoria e tramandato oralmente.
Ragione per cui una monolitica parola come ‘infallibilità’
cela molto più di quanto in realtà un profano può intendere.
Cela le fondamenta (storiche) di una costruzione ed i suoi
muratori nei secoli, di conseguenza il condizionamento di
intere civiltà. Per concludere, vediamo le ‘disposizioni’, da
quelle ci facciamo un’idea precisa del personaggio, come di-
re, e tradotto nell’odierna democrazia riflessa nei suoi mez-
zi: ascoltiamo le sue chiacchiere, voci, grida, sussurri, paro-
le, invettive, e perché no, pettegolezzi sermoni, e lettere; fuo-
ri e dentro la Chiesa.
Sì perché la Chiesa era il principale centro di potere e culto
che ha caratterizzato e modellato per secoli le civiltà. Cosa
che sto analizzando nei capitoli dedicati ai ‘muratori’ su
questo stesso blog. Il motivo risiede nella storicità dell’am-
biente, cioè dove la storia e la vita avveni(va) e si caratteriz-
zava nei molteplici suoi aspetti.
– L’Autore del blog –
Grazie e buona lettura…)
Divenuto Inquisitore generale, Torquemada si prefigge uno scopo
ben preciso, che non è quello di aumentare la rigorosità delle per-
secuzioni, bensì quello di regolamentare l’attività inquisitoriale.
Lo scopo è ‘nobile’ e perfettamente consuguente alle motivazioni
che hanno prodotto la sua nomina.
(Sulle parole dell’autore cui faccio riferimento in questa parentesi,
trovo del chiaro umorismo storico, cioè non si vuol affermare che To-
mas è meglio di altri, suoi consimili, ma solo che nei quasi 400 anni
dopo (e prima) analoghe persecuzioni, il tono è stato regolamentato;
di fatto rimane pur sempre un documento raccapricciante per qualsi-
voglia libertà di pensiero e culto…
Una chiara ‘fotografia storica’ dell’evoluzione, pur sempre una evo-
luzione – intesa come miglioramento – all’interno, si faccia attenzio-
ne, dell'”intolleranza”. Autore del blog.)
Il ‘Codice’ dell’Inquisizione viene promulgato il 29 ottobre 1484.
L’inquisitore generale convinto di consegnare ai posteri un’opera che
può determinare la fine dell’eresia e l’inizio della giurisdizione della
fede.
Il Codice Torquemada è Composto di 28 articoli, il Codice ha questo
sviluppo:
Art 1. Gli inquisitori devono pretendere giuramento di fedeltà e di aiuto
da tutti coloro cui si rivolgono: il popolo, innanzitutto, ma particolarmen-
te i notabili, i governatori e gli ufficiali di giustizia.
Art. 2. Gli inquisitori devono leggere un monito contro i ribelli.
Art. 3. Deve sempre essere concesso un periodo di grazia (30 o 40 giorni)
per permettere ai peccatori di ravvedersi e agli altri di fare delazione. In
questo modo si eviteranno: morte, prigione, confisca dei beni.
Art. 4. Vengono determinati il modo e le domande dell’interrogatorio.
Art. 5. Si determina la richiesta di abiura e di penitenza pubblica per i rei
confessi.
Art. 6. Si determina l’interdizione dai pubblici impieghi e dai benefici eccle-
siasatici per eretici e apostati (anche se confessi); inoltre viene loro impedi-
to di vestire con eleganza, di indossare le armi e di montare a cavallo.
Art. 7. Agli eretici, preservati dal rogo, si dovranno affidare delle peniten-
ze, come le elemosine a favore del sovrano per la difesa della fede e l’assedio
ai mori di Granada.
Art. 8. Coloro che si presentano a confessare dopo il periodo di grazia avran-
no pene miti, ma più dure di coloro che sono venuti prima.
Art. 9. I figli di eretici, eretici a loro volta, ma minori di vent’anni, che confes-
sano il peccato, saranno trattati con mitezza, a causa della loro età.
Art. 10. Gli eretici che ricadono nel peccato vedranno i loro beni confiscati.
Art. 11. L’eretico o apostata arrestato per ‘delazione di altri’, che poi confes-
sa e svela i nomi dei complici, verrà punito solo con il carcere, commutabile in
una pena minore, per beneplacido degli inquisitori.
Art. 12 L’eretico di cui si sospetta che sia menzognero nel chiedere perdono,
sarà consegnato al braccio secolare (ossia al rogo).
Art. 13. Se qualcuno è stato assolto, ma si scopre che ha mentito su qualche
punto, verrà processato nuovamente come eretico impenitente.
Art. 14. Se qualcuno non confessa, i testimoni devono essere analizzati con
cura, prima di procedere contro il presunto reo.
Art. 15. Se sussiste una convergenza tra il detto dell’inquisito e quello dei
testimoni, si potrà torturare l’inquisito. Se uno confessa sotto tortura, oc-
correrà che ribadisca la confessione tre giorni dopo. Se non la ribadisce si
potrà ricominciare con la tortura.
Art. 16. Per la tutela dei testimoni, l’accusato non potrà conoscerne i nomi:
le deposizioni saranno pubblicate anonime.
Art. 17. L’interrogatorio deve essere condotto personalmente dall’inquisi-
tore.
Art. 18. L’inquisitore deve essere presente nel caso di tortura.
Art. 19. Si tratta del caso di contumacia.
Art. 20. Nel caso di una denuncia postuma si esumi il corpo dell’eretico.
Art. 21. Nel caso di richiesta dei sovrani, l’inquisitore avrà diritto anche
nei territori dipendenti dalla corona.
Art. 22. I figli di eretici consegnati al braccio secolare, devono essere tu-
telati ed educati secondo le direttive degli inquisitori.
Art 23. Si tratta di questioni di eredità tra eretici.
Art. 24. Gli schiavi cristiani degli eretici devono essere liberati.
Art. 25. Gli inquisitori non possono accettare regali da coloro che posso-
no avere a che fare con i processi.
Art. 26. Gli inquisitori dovranno agire d’accordo, in pace e per il bene
comune.
Art. 27. Gli inquisitori veglino sul buon comportamento dei loro dipen-
denti.
Art. 28. Le questioni non previste in questo codice devono essere decise
in buona fede dagli inquisitori stessi.
(Benazzi/D’Amico, Il Libro Nero dell’inquisizione)