DAL DIARIO DI GIACOMO BOVE

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passaggio a nord-est

Prosegue in:

Dialoghi con Pietro Autier &

Dialoghi con Pietro Autier 2 &

gli occhi di Atget

Foto del blog:

passaggio

a nord-est

Da:

Frammenti in rima


 

dal diario







Intanto Menka non è partito; alle 9 viene nuovamente a

bordo e, nel mentre stava nel nostro quadrato, gli fu an-

nunziato l’arrivo di tre distinti personaggi.

Si slanciò sulla prua per riceverli e senza avvedersene

pose il suo trono presso un luogo poco decente. I tre si-

gnori montarono a bordo e levatisi il berretto baciarono

per tre volte Menka, che li abbracciò affettuosamente e

restituì loro il bacio.

 

dal diario


Dopo aver salutato anche noi, questi uomini cominciaro-

no con Menka una lunga chiacchierata. Questi tre Ciukci

vengono dal Colima e sono diretti allo stretto di Bering

per fare acquisto di pellicce.

Vestono finissime pellicce di renna come veste Menka, il

quale oggi però ha pensato bene di indossare una lunga

zimatra, che, a giudicare a lume di naso, doveva essere

una volta bianca, ma che oggidì darebbe dieci punti alla

 

dal diario


famosa camicia della non meno famosa Regina Isabella.

Menka è appassionatissimo della musica e della danza:

gli basta di sentire strimpillare uno strumento qualun-

que che si anima di una gioia quasi selvaggia, e comin-

cia a dimenare le gambe, piedi, testa, sì da farlo credere

invaso dal…demonio….

Ed invero, per lui deve essere ben qualche cosa più di

un demonio quella piccola scatola la quale senza dar

segno alcuno di vita manda suoni che gli scendono fin

nel profondo del cuore….

(C. Bumma/M.T. Scarrone, Passaggio a Nord-Est)



 

dal diario


IL SUICIDIO DI UN GRANDE (Giacomo Bove 1852 – 1887)

Precedente capitolo:

Giacomo Bove (23 aprile 1852  9 agosto 1887)

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Dialoghi con Pietro Autier &

Dialoghi con Pietro Autier 2 &

gli occhi di Atget

Foto del blog:

un

incontro

Da:

Frammenti in rima


 

il suicidio di un grande







Quando una domenica dell’agosto 1887 il suo corpo fu rin-

venuto ai piedi di un gelso che cresceva gagliardo sulle

sponde dell’Adige, poco fuori di Verona, Giacomo Bove era

un uomo celebre.

Il suo suicidio fece rumore.

 

il suicidio di un grande


Giusta l’epoca, vi fu chi sondò la vita dell’estinto per capire

le ragioni del gesto.

La dominante cultura positivistica decretò che la causa del-

la scelta fatale, frutto di un grave malessere psicologico, do-

veva ricercarsi in un morbo che Bove aveva contratto duran-

te l’esplorazione del Congo.

 

il suicidio di un grande


La sorte degli esploratori è bruciata dalla curiosità, una fre-

nesia di cui non si conosce radice, ma che trova la propria

felice realizzazione nella sventatezza sorprendente delle

imprese.

La passione per il viaggio di scoperta, di indagine, non ha

ragioni strettamante geografiche, né atmosferiche.

 

il suicidio di un grande


E’ un rapimento dell’essere con sommovimenti verso tutto

quanto si reputa sconosciuto. Si tratta, forse, soltanto di

una sfida. Donde venga tuttavia questa frenesia resta un

mistero connesso con un istinto ancestrale anche se la spin-

ta può venire dal luogo ove futuri esploratori si sono tro-

vati a nascere: specie per alcuni che vengono al mondo in

luoghi marinari.

 

il suicidio di un grande


Nel 1881 si annunciava la spedizione artica di Nils Adolf

Erik Nordenskjold, professore di mineralogia all’università

di Stoccolma, che voleva svelare uno dei grandi segreti geo-

grafici: il passaggio del nord-est.

Bove, affascinato dall’impresa si attivò affinché il Ministe-

ro della Marina lo facesse partecipare all’esplorazione.

 

il suicidio di un grande


Il viaggio si presentava eccezionale: si trattava di salpare

da Goteborg costeggiare tutte le regioni settentrionali dell’-

Europa, superare il capo Celjuskin, navigare lungo la Sibe-

ria, raggiungere la penisola di Ciukci, attraversare lo stretto

di Bering e poi discendere nei mari del Giappone, guadagna-

re l’Oceano Indiano, indi arrivare nel Mediterraneo.

 

il suicidio di un grande


L’impresa, cui Bove era stato assegnato si risolse brillante-

mente, ma del successo non si sentì appagato.

L’occasione arrivò nel 1884, quando vennero in Italia da

Buenos Aires, il Ministro Plenipotenziario e il capitano

Moyano, appositamente incaricati dalla marina argenti-

na per chiedere al governo italiano un congedo per Giaco-

mo Bove, affinché potesse organizzare e dirigere una spe-

dizione, per conto dell’Argentina, alla Terra del Fuoco,

in Patagonia e nelle regioni del polo antartico……

(Giacomo Bove, Viaggio alla Terra del Fuoco)





 

il suicidio di un grande


ESPLORATORI PERDUTI: HILLYER GIGLIOLI (1)

 

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Prosegue in:

Dialoghi con Pietro Autier &

Dialoghi con Pietro Autier 2: esploratori perduti 2

gli occhi di Atget

Foto del blog:

esploratori

perduti

 

 




Enrico Hillyer Giglioli (1845 – 1909) nacque a Londra da una

famiglia esule dall’Italia per motivi politici.

Determinanti per la sua formazione furono gli studi condot-

ti in quella città presso la Royal School of Mines, dove conob-

be Darwin e studiò scienze naturali con Lyell, Owen, Huxley.

 

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Tornato in Italia e laureatosi a Pisa in Scienze Naturali, fu pre-

scelto da Filippo De Filippi, primo sostenitore delle teorie dar-

winiane in Italia, per seguirlo in un viaggio di circumnaviga-

zione del mondo a scopi scientifici.

 

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Dal 1865 al 1868 Giglioli fu dunque a bordo della pirocorvet-

ta ‘Magenta’, inviata dal governo italiano in missione diploma-

tica in Estremo Oriente, ed ebbe modo di compiere osservazio-

ni naturalistiche e raccogliere una ingente quantità di campio-

ni e di prodotti delle varie popolazioni incontrate.

 

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Una volta tornato in Italia, Giglioli pubblicò il resoconto del

suo viaggio (E.H. Giglioli, Viaggio intorno al Globo della R.

Pirocorvetta italiana ‘Magenta’ negli anni 1865-66-67-68).

 

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Oltre ai molti interessi scientifici e alle cariche universitarie,

Giglioli coltivò per tutta la vita quell’interesse per gli studi

antropologici che aveva trovato nel viaggio della ‘Magenta’

alimento e stimolo fondamentali.

 

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Giglioli si legò di amicizia con i maggiori antropologi italia-

ni, da De Filippi fino a Paolo Mantegazza, e creò una colle-

zione di oggetti etnografici, corredati da una raccolta fotogra-

fica e da una biblioteca specializzata, che già nel 1888 si im-

poneva come una delle maggiori mai realizzate.

 

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L’intera collezione (di soggetti vari e importanti dal punto

di vista scientifico-antropologico), per desiderio del Giglioli,

è stata ceduta dopo la sua morte al Museo Nazionale Preisto-

rico Etnografico di Roma.

(prosegue…)




 

1.1 (1).jpg


UNA PULIZIA ETNICA RAGIONATA (2)

Precedente capitolo:

una pulizia etnica ragionata (1)

Prosegue in:

Dialoghi con Pietro Autier &

Dialoghi con Pietro Autier 2 &

gli occhi di Atget

Da:

i miei libri


 

etnica






Per slavizzare al massimo la regione si procedette anche all’-

emigrazione forzata di masse di contadini che furono trasfe-

riti nel Banato per essere sostituiti con altri, bosniaci e mace-

doni, ‘non inquinati dalla lunga contiguità con gli italiani’.

Angherie e persecuzioni subirono molto esponenti del clero

cattolico e laico.

Il vescovo di Trieste, monsignor Antonio Santin, fu più volte

aggredito e oltraggiato quando, noncurante delle minacce, si

recò in visita nelle parrocchie della sua diocesi situate nella

zona B.

 

etnica


Le pressioni di ogni tipo, di cui parlava Milovan Gilas, ave-

vano, come si è detto, lo scopo di terrorizzare gli italiani e di

indurli a lasciare l’Istria.

Da tempo, infatti, colonne di disperati del tutto simili a quel-

le che in tempi più recenti la televisione ci ha abituato a vede-

re nelle corrispondenze dalla Bosnia e dal Kosovo, si presen-

tavano al confine con la zona A per cercare asilo a Trieste e

in altre città italiane.

 

etnica


Alla vigilia della firma del Trattato di pace, quando l’esodo

degli italiani si trasformerà in una fiumana irresistibile, già

oltre 30.000 profughi avevano trovato asilo in centri di rac-

colta, peraltro niente affatto accoglienti.

Questa povera gente, che in realtà stava pagando per conto

di tutti gli italiani la cambiale della guerra fascista, non era

infatti accolta in madrepatria da slanci di solidarietà.

Dalla ‘sinistra’ per esempio, i profughi erano osservati con

sospetto e accolti come ospiti indesiderati.

D’altra parte la loro fuga dalla Jugoslavia ‘democratica’ suo-

nava come una chiara denuncia del regime comunista che

vi era stato instaurato.

 

etnica


Di conseguenza, i loro drammatici racconti venivano definiti

volgari menzogne, tanto è vero che, come era accaduto con

gli italiani della Venezia Giulia che gli slavi definivano gene-

ricamente ‘fascisti’, anche i profughi istriani in Italia furono

sbrigativamente definiti …tali.

(A. Petacco)

(Noi …della storia ne conserviamo memoria…..)

…Da

etnica

Pietro Autier: Storia di un Eretico






 

etnica

UNA PULIZIA ETNICA RAGIONATA (qualcuno dice anche…’intelligente’…)

Prosegue in:

(una pulizia etnica….ragionata 2) &

Dialoghi con Pietro Autier &

Dialoghi con Pietro Autier 2 &

gli occhi di Atget


 

una pulizia







Durante tutto il 1946 e gran parte del 47, il fenomeno della

‘pulizia etnica’ nell’Istria occupata dagli slavi, oltre a inten-

sificarsi, assunse anche un aspetto, per così dire, più ‘ragio-

nato’ (qualcuno pensa anche ..intelligente…).

Nel senso cioè che ora le stragi erano chiaramante mirate

contro gli italiani di qualunque estrazione sociale e di qua-

lunque fede politica.

Se, infatti, i sanguinosi episodi verificatisi dopo l’8 settembre

del 1943 offrivano in qualche modo la possibilità di masche-

rare la ‘pulizia etnica’ con la rabbia popolare e la rappresa-

glia politica, adesso non c’erano scuse e l’intento appariva

chiaro agli occhi degli osservatori meno accorti.

 

una pulizia


Si voleva eliminare o allontanare dall’Istria più italiani pos-

sibile per sconvolgere il tessuto etnico della regione nell’even-

tualità che la Conferenza della pace richiedesse un censimen-

to o un plebiscito popolare.

Dall’altra parte, che la ‘pulizia etnica’ sia una tragica consue-

tudine delle lotte razziali che periodicamente hanno insangui-

nato i Balcani, lo confermano i fatti recenti accaduti in Bosnia

 

una pulizia


e nel Kosovo. Dove si è ripetuto esattamente ciò che è stato fat-

to in Istria cinquant’anni prima, con la sola differenza che, non

offrendo il terreno la ‘comodità’ delle foibe per nascondere i ca-

daveri, gli aguzzini sono stati costretti a ricorrere alle fosse co-

muni facilmente individuabili dall’osservazione aerea.

La favola delle foibe come ‘tombe di fascisti’, alla quale per an-

ni hanno finto di credere anche molti storici italiani, è stata per-

altro smentita da auterevoli fonti jugoslave.

 

una pulizia


Per esempio, da Milovan Gilas, l’intellettuale serbo che durante

la guerra partigiana fu il braccio destro di Tito e che in seguito

diventò il più acerrimo avversario del Maresciallo.

In una intervista rilasciata a ‘Panorama’ nel 1991, Gilas raccon-

tò che nel 1946 egli si recò personalmente in Istria con Edward

Kardelj, allora ministro degli Esteri jugoslavo, per organizzare

la propaganda anti-italiana allo scopo di dimostrare l’apparte-

nenza alla Jugoslavia di quella regione.

 

una pulizia


‘era nostro compito’ spiegò Gilas al giornalista ‘indurre tutti

gli italiani ad andar via con pressioni di ogni tipo.

E così fu fatto.

Cosa fecero lo sappiamo….

 

una pulizia


Nel marzo del 1946, quando una Commissione quadripartita vi-

sitò la zona B, le autorità titine impedirono con la forza agli itali-

ani di farsi vivi mentre, nel contempo, facevano affluire nei centri

visitati dalla Commissione torme di contadini sloveni e croati tra-

sferiti dalle campagne con torpedoni e autocarri.

A nulla servirono le proteste del governo italiano e del CLN dell’-

Istria per garantire agli italiani la libertà d’espressione. A Pirano,

per sfuggire al controllo della polizia, le donne che si accalcavano

attorno alle auto della Commissione aprivano furtivamente davan-

ti ai delegati il palmo della mano sul quale avevano dipinto il tri-

colore.

 

una pulizia


A Pisino, durante una riunione, i delegati trovarono sul tavolo un

misterioso biglietto. C’era scritto:

‘Non potendo interrogare i vivi, interrogate i morti’.

Qualcuno afferrò il senso dell’oscuro messaggio e la Commissione

chiese di poter visitare il cimitero. Risultato: il 90% delle lapidi por-

tava scolpiti nomi italiani…..

(Noi ne conserviamo memoria….)

(prosegue)




 

una pulizia


(lo sterco del Diavolo)…. E L’ORO DEL POETA

Precedente capitolo:

lo sterco del diavolo

Prosegue in:

Dialoghi con Pietro Autier: un condannato a morte (1/4) &

Dialoghi con Pietro Autier 2: un condannato a morte (5) &

Gli occhi di Atget: pausa dalla camera oscura, la nausea.

Affresco del blog…

lo sterco

del diavolo

Da:

i miei libri


 

e l'oro del poeta








…..Questa fu la versione del furto al collegio di Navarra

offerta Maestro Guy de Tabarie all’inchiesta dei magi-

strati vescovili che si svolse il 5 luglio 1458, un mese do-

po il suo arresto e circa 18 mesi dopo che gli eventi de-

scritti avevano avuto luogo.

Ovviamente Tabarie temeva più le torture, cui venne

poi ugualmente sottoposto in seguito, delle rappresa-

glie di quelli che aveva incriminato.

Di costoro, i cattivi della ‘pìece’ di Tabarie, Villon la-

sciò Parigi in tempo per passare il Natale del 1457 alla

corte del poeta-duca Charles d’Orleans, a Blois a circa

quattr’anni dopo il furto, il 26 settembre del 1460, Colin

de Cayeulx, dichiarato lestofante incorregibile e persi i

benefici ecclesiastici, fu impiccato per banditismo e

stupro.

Di ‘Petit Jehan’ e del monaco rinnegato Dom Nicholas

non resta ulteriore traccia.

Da quanto egli stesso dice nei suoi versi e specialmente

nel suo capolavoro, ‘Le Grand Testament’, pare che Vil-

lon passasse i quattro anni successivi alla sua seconda

fuga da Parigi tra una città e l’altra vivendo del suo

ingegno……

(A. McCall, I Reietti del Medioevo)




 

e l'oro del poeta


LO STERCO DEL DIAVOLO (..e l’oro del poeta..)

Prosegue in:

e l’oro del poeta 

…Gli altri…blog:

Dialoghi con Pietro Autier: un condannato a morte (1/4) &

Dialoghi con Pietro Autier 2: Un condannato a morte (5) &

Gli occhi di Atget: ….la nausea….


 

lo sterco del diavolo








…Tra gli studenti dell’università di Parigi, in quell’estate in cui

il Pet-au-Diable fu il punto focale della furfanteria studentesca

a Mont-Saint-Hilaire, era il poeta Francois Villon.

Nato Francois des Loges o de Montcorbier, dal paese natale del

padre nel borbonese, nel 1431, Villon prese più tardi il suo nome

dallo zio e tutore Guillaume de Villon, un rispettato e, come tu-

tore, indulgente canonico, il cui alloggio nel convento di St-Be-

noit-le-Bientourné a Parigi ospitò il futuro poeta già all’età di

sette, otto anni.

Il ragazzo, cui nel frattempo era morto il padre, era d’ingegno

vivace e padre Guillaume intraprese, come la povera madre

sperava, a sovrintendere e, quando necessario, a finanziare

la sua educazione.

Probabilmente nel 1443 il giovane de Montcorbier cominciò i

suoi studi universitari e nel 1449 divenne baccelliere e tre an-

ni dopo prese il dottorato in lettere.

Quali che fossero le compagnie di de Montecorbier alias Villon

fino ai suoi 24 anni, che a giudicare dal ritratto dell’uomo che

si ricava dalle sue poesie non dovevano essere le migliori, non

vi sono relazioni di infrazioni alla legge prima del 1455 quan-

do, verso le 9 di sera del 5 giugno, ferì a morte un prete chiama-

to Chermoye con il quale si era trovato coinvolto in una rissa.

Non appena le sue ferite furono curate da un barbiere a nome

Foucquet, Villon prudentemente fuggì da Parigi e rimase fuo-

ri città fino a che, nel gennaio dell’anno seguente, i suoi amici

riuscirono ad ottenergli una lettera di remissione, anzi, ebbe-

ro un tale successo da procurargliene due, una diretta a ‘Mae-

stro de Loges, altrimenti noto come Villon’ e la seconda a

‘Maestro Francois de Montcorbier’.

In ambedue le lettere si diceva che Villon aveva agito per au-

todifesa e nella seconda si comunicava che l’agonizzante….

Chermoye aveva detto ad un funzionario dello chatelet che

perdonava a Francois ogni offesa.

Perdonato così tre volte Villon tornò a Parigi dove il susse-

guente delitto di cui fu accusato fu quello di aver preso parte

ad un furto con scasso avvenuto alla vigilia di Natale del 1456

tra le 10 di sera e la mezzanotte.

Cenato ‘All’insegna del Mulo’ il poeta, un altro laureato in let-

tere, Guy de Tabarie, due rinomati scassinatori chiamati Colin

de Cayeulx, che era anche un Maestro, e ‘Petit Jehan’, nonché

un mancato monaco piccardo noto come Dom Nicholas, entra-

rono in una casa disabitata che aveva un muro in comune con

gli uffici della facoltà di teologia del collegio di Navarra.

Qui de Tabarie fu messo a far da palo, una scala fu appoggiata

al muro e gli altri sparirono nel collegio.

Due ore più tardi, i quattro tornarono.

Dissero a Tabarie d’aver scassinato uno scrigno nella sacrestia

da cui avevano ricavato un bottino di circa 100 corone di cui

gli dettero dieci corone e altre due ‘per far colazione’ la matti-

na dopo, una volta essersi divisi il resto fra loro.

Solo dopo qualche giorno Maestro Guy venne a sapere che la

cifra era tra le 5 e le 600 corone d’oro e che gli altri avevano in-

cassato più di 100 corone ognuno.

(prosegue…)




 

lo sterco del diavolo


PIETRO DA MONTE OMBRARO

 

Prosegue in:

dialoghi con Pietro Autier &

dialoghi con Pietro Autier 2 &

pagine di storia &

gli occhi di Atget

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Pietro da Monte Ombraro

Da:

i miei libri


 

pietro da monte ombraro

 

 





(1 novembre 1299)

 

Pietro da Monte Ombraro in diocesi di Modena, prigioniero,

fu condotto e comparve in giudizio alla presenza di fra Gui-

do di Vicenza, nominato dalla sede apostolica inquisitore

dell’eretica pravità nella provincia di Lombardia e della Mar-

ca Genovese, e abiurò ogni eresia, fede e credenza negli ereti-

ci; giurò i precetti della santa Chiesa di Roma e dell’inquisito-

re e di dire la pura e semplice verità sia di sé sia degli altri, vi-

vi e defunti, che peccano o hanno peccato nel crimine di ere-

sia o in relazione a tale crimine.

Richiesto se mai sia stato interrogato da alcun inquisitore o

suo vicario, rispose di sì, cioè da fra Leone da Parma, vicario

del suddetto inquisitore, e giurò dinnanzi a lui i precetti del-

la Chiesa e di dire la verità.

Interrogato, rispose che sono passati cinque anni da quando 

lasciò suo padre ed i suoi parenti a un certo Bonavita di Firen-

ze, che si definiva povero di Cristo e minimo, gli parlò dicendo

che doveva vendere tutto ciò che possedeva e darlo ai poveri.

Dice poi che Bonavita ed i suoi compagni additavano come

esempio e lodavano Gerardo Segarelli di Parma, affermando

che era un uomo buono e santo. 

 

pietro da monte ombraro


Richiesto se abbia udito da costoro, che si dicono e si fanno

chiamare poveri di Cristo o minimi o apostoli, che toccare

un uomo o una donna e palparli nudi, in assenza di matri-

monio, si può fare senza commettere peccato, anche se ciò

avviene per le parti intime, a meno che non vi sia il rischio

di infermità o se ne sia costretti, rispose che affettivamen-

te sentì dire da costoro che palpeggiamenti di tal genere

possono avvenire e farsi senza ombra di peccato.

Richiesto dei loro nomi, rispose di non conoscerli.

Richiesto se creda a ciò, rispose di no; anzi afferma di ri-

tenere che tali palpeggiamenti impudichi siano peccami-

nosi. 

Richiesto quale vita conduca, in che condizione si trovi

e come si sostenti, rispose che si fa chiamare povero di

Cristo. 

 

pietro da monte ombraro


Richiesto se ritenga che costoro, che si dicono poveri, si

trovino nella via della salvezza, pur non lavorando e

andando a mendicare, non rispose direttamente; affer-

mava tuttavia che, a suo parere, erano uomini buoni.

Richiesto su dove dimori e dove sia ospitato, rispose nel-

la casa di Tealdo, nell’ospedale e in luoghi diversi, senza

avere una fissa dimora, e dichiara che talvolta ha canta-

to : ‘il regno dei cieli è vicino’.

(Redatto in Modena nella sede dell’Ufficio dell’Inquisizione

Romana, alla presenza di fra Tomasino lettore e fra Oddolino

de Pelegrinis, entrambi di Modena, e fra Francesco di Bologna,

dell’ordine dei frati Predicatori, convocati perché fungessero

da testimoni.

Io Alberto figlio di Carbone, notaio imperiale e dell’inquisito-

re, ho scritto e redatto in forma pubblica quanto sopra ripor-

tato per ordine del suddetto inquisitore.)



 

 

pietro da monte ombraro

   

UN INTERROGATORIO INQUISITORIALE

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Dialoghi con Pietro Autier &

Dialoghi con Pietro Autier 2 &

Gli occhi di Atget

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la camera

oscura

Appunti, dialoghi, …eresie…

i miei libri




 

 

 

 

 

I sostenitori degli eretici si possono individuare facilmente

attraverso questi cinque indizi sufficientemente probanti.

 

Primo: coloro che li visitano di nascosto mentre sono tenuti

in prigionia, bisbigliano con loro e portano loro dei viveri

sono sospetti come discepoli.

Secondo: coloro che piangono la loro cattura o la loro morte

sembrano esser stati loro amici intimi in vita; difficilmente

si può credere che non sappia nulla dell’attività dell’eretico

chi l’abbia frequentato a lungo.

Terzo: coloro che sostengono che gli eretici sono stati condan-

nati ingiustamente, anche quando sia stata dimostrata la lo-

ro colpa o addirittura quando essi stessi abbiano confessato,

evidentemente approvano la loro setta e ritengono che la

Chiesa che li condanna sia in errore.

Quarto: coloro che guardano male quelli che perseguitano gli

eretici e che predicano con successo contro gli eretici, come si

può desumere dagli occhi, dal naso e dall’espressione che cer-

cano di nascondere, evitando di guardare in faccia il loro in-

terlocutore, sono sospettati di odiare coloro verso i quali di-

mostrano amarezza, come si vede anche dalla loro espressio-

ne, e di amare coloro della cui disgrazia tanto si dolgono.

Quinto: coloro che vengono sorpresi a raccogliere di nascosto

la notte le ossa degli eretici bruciati, come se si trattasse di re-

liquie, indubbiamente li venerano come santi, conservano le

loro ossa per farne un santuario e quindi sono eretici come

loro.

Nessuno infatti considera un eretico santo a meno che non

ritenga santa la sua setta e perciò egli è eretico come quello.

Si deve interrogare uno che ha fama o è sospettato di essere

eretico, sebbene sia spiacevole aver a che fare con tale gente,

tuttavia indichiamo alcuni modi per interrogarli, quasi una

sorta di sentieri da volpi, per cui si possano in qualche mo-

do scoprire.

Se uno disserta contro la fede a livello dottrinale, la sua ere-

sia può essere dimostrata facilmente da fedeli della Chiesa

che siano addotrinati, dal momento che egli può essere rite-

nuto eretico proprio per il fatto che si impegna a difendere il

suo errore.

Ma poiché oggi gli eretici preferiscono nascondere il loro erro-

re piuttosto che confessarlo apertamente, gli esperti di lettere

e di Scritture non possono scoprirli perché non si muovono su

quella strada; e sono piuttosto i dotti a farsi confondere da loro,

mentre in questo modo gli eretici si rafforzano, vedendo che ri-

escono a prendersi così bene gioco dei nostri dotti che quasi

sfuggono dalle loro mani ricorrendo astutamente ad espedien-

ti volpini e a risposte tortuose.

Infatti una spregevole eretica, come io stesso ho visto e sentito,

per molti giorni continuò ad ingannare uomini dotti ed eletti,

sia laici che ecclesiastici di diversi ordini religiosi, a tal punto

che ormai l’avrebbero lasciata andare come innocente se per

volontà di Dio, lo stesso giorno in cui avrebbe dovuto essere

scarcerata, non si fossero trovate in un suo scrigno delle ossa

di un eretico bruciato recentemente che ella aveva raccolto con

le sue mani la notte come si trattasse di una reliquia, come poi

testimoniarono altre sue compagne che avevano raccolto assi-

eme a lei quelle ossa e che poi si pentirono.

Gli chiedo perché è stato condotto davanti a me.

Mi risponde mansueto e sorridente: ‘Signore, volentieri cono-

scerei da voi la ragione’.

Gli dico: ‘Sei accusato di essere eretico e di credere e insegna-

re cose diverse da quelle in cui la santa Chiesa’.

Risponde con grande convinzione alzando gli occhi al cielo:

‘Signore, tu sai che io sono innocente e che io mai ho creduto

in altro che nella vera fede cristiana’.

Ed io: ‘Tu chiami la tua fede cristiana perché ritieni la nostra

falsa e eretica.

Ma io ti chiedo sotto giuramento se tu mai hai imparato o ri-

tenuto che sia vera una fede diversa da quella che il popolo e

la Chiesa di Roma crede essere la vera fede’.

Risponde: ‘Io considero vera fede quella che la Chiesa segue’.

Gli dico: ‘Credi che i tuoi complici siano la vera chiesa e credi

nella loro fede?’.

Risponde: ‘Credo nella vera fede in cui la Chiesa romana crede

e che voi stessi ci predicate apertamente’.

Gli dico: ‘Forse hai a Roma qualcuno della tua setta e quelli

chiami Chiesa romana e segui la loro fede. Credi che sull’al-

tare c’è il corpo del Signor Nostro Gesù Cristo?’.

Risponde prontamente: ‘Credo’.

Ed io: ‘Sai che lì c’è il corpo e che tutti i corpi sono di nostro

Signore. Ma io ti chiedo se lì ci sia quel corpo del Signore che

è nato dalla Vergine, che è stato crocefisso, che è risorto, che

è salito al cielo, ecc’.

Risponde: ‘E voi forse credete?’

Io dico che, certo, lo credo.

Risponde: ‘Io anche lo credo’.

Gli dico: ‘Tu credi che io credo così, ma non è questo che io

ti chiedo; io chiedo se anche tu lo credi’.

Risponde: ‘Se non volete interpretare ciò che dico in senso

buono e semplice, allora non so che cosa dovrei rispondere.

Sono un uomo semplice e incolto, non dovete formalizzarvi

sulle mie parole’.

Allora gli dico: ‘Se sei un semplice rispondi e parla semplice-

mente senza giochi di parole’.

Risponde: ‘Volentieri’.

Gli dico: ‘Vuoi quindi giurare che non hai mai imparato nien-

te di contrario alla fede che noi crediamo vera?’.

Risponde impaurito: ‘Se devo giurare, giurerò volentieri’.

Gli dico: ‘Non ti dico che devi ma ti chiedo se vuoi giurare’.

Risponde: ‘Se mi comandate di giurare giurerò’.

Gli dico: ‘Io non ti costringo a giurare poiché, se credi che il

giuramento non è lecito, potresti far ricadere la colpa su di

me che ti ho costretto; ma se giurerai io ti ascolterò’.

Risponde: ‘Perché dovrei giurare su qualcosa se non me lo

comandate?’.

Gli dico: ‘Per togliermi il sospetto che tu sei eretico’.

Risponde: ‘Signore, non so su che cosa giurare se voi non me

lo dite’.

Gli dico: ‘Se io dovessi giurare allora direi, come si è soliti fa-

re, con la mano alzata e le dita tese: ‘Dio mi aiuti che non ho

mai imparato eresie né ho creduto cose contrarie alla vera….

fede’……

(Tractatus de haeresi Pauperum de Lugduno)


 

 

 

 

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