NON POSSIAMO PIU’ LEGGERE I NOSTRI LIBRI (Tibetani)

 

noon possiamo più leggere i nostri libri tibetani

 

 

L’evento (della realtà)

Prosegue in:

Dialoghi con Pietro Autier &

Dialoghi con Pietro Autier 2 &

Gli occhi di Atget

Foto del blog:

dal diario (del ‘nulla’)

dell’ Italia (di quelle creature)

Da:

i miei libri





Mi misi a riflettere: Convinto del nulla delle

creature….

Riunii le ossa di mia madre e i libri e, dopo

averli ripuliti dal sudiciume della terra e da-

gli escrementi d’uccello, resi loro omaggio.

Siccome le gocce di pioggia non avevano dan-

neggiato i libri rimasti puliti, mi caricai i vo-

lumi più importanti sulla schiena.

E portando via le ossa di mia madre nel lem-

bo della veste, prostrato da un dolore senza

limiti, penetrato dal nulla delle creature, can-

tai singhiozzando questo canto (per questo…

giovane immolato in nome della sua …e

nostra cultura…) sull’essenza delle cose:


 

noon possiamo più leggere i nostri libri tibetani



O Signore misericordioso Che-non-Muta.

Secondo gli ordini del traduttore Marpa,

Nella mia patria, prigione dei demoni,

Ho trovato il maestro che insegna le illusioni

                                                                 effimere.

Che questo stesso maestro eccellente

Mi benedica affinché io m’imbeva di queste

                                                                    verità.

Tutte le leggi del mondo visibile

Sono effimere e fragili.

A parte questo, tutto ciò che appare nel mondo della

                                                        trasmigrazione è nulla.

Poiché ho compiuto opera illusoria

Ora compirò opera religiosa e reale.


Dapprima, quando io avevo un padre, lui non mi

                                                       voleva come figlio.

Quando lui ebbe un figlio, io non ebbi più padre.

Il nostro incontro fu illusione.

Io, figlio, praticherò la legge della realtà.

Andrò a meditare nella Roccia-Bianca…


Quando io avevo una madre, lei non mi ebbe come

                                                                                 figlio.

Ora che io sono venuto, la mia vecchia madre è morta.

Il nostro incontro fu illusione.

Io, figlio, praticherò la legge della realtà.

Andrò a meditare nella Roccia-Bianca….

 

Quando io avevo una sorella, lei non aveva un fratello.

Ora che suo fratello è venuto, lei va errando.

Il nostro incontro fu illusione.

Io praticherò la legge della realtà.

Andrò a meditare nella Roccia-Bianca….

Quando avevo dei libri santi, non tributavo loro

                                                                  alcun culto.

Ora che il culto è tributato loro, la pioggia li colpisce

                                                                a goccia a goccia.

Il nostro incontro fu illusione.

Io praticherò la legge della realtà.

Andrò a meditare nella Roccia-Bianca…


Quando io avevo una casa, essa non aveva un padrone.

Ora che il padrone è venuto, essa è in rovina.

Il nostro incontro fu illusione.

Io praticherò la legge della realtà.

Andrò a meditare nella Roccia-Bianca….


Quando io avevo un campo fertile, esso non aveva

                                                                             padrone.

Ora che il padrone è venuto, esso è invaso

                                                                      dall’erbaccia.

Il nostro incontro fu illusione.

Io praticherò la legge della realtà.

Andrò a meditare nella Roccia-Bianca…..


Patria, casa, campo paterni

Appartengono a un mondo senza realtà.

Chiunque li vuole li prenda.

Eremita vado a cercare la liberazione.

O Padre pieno di grazia, Marpa,

Benedici il mio ritiro nel deserto.

(Milarepa)






 

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CONQUISTA PURITANA (il massacro di Mystic River)

Prosegue in:

natura del caos &

Dialoghi con Pietro Autier 2 &

gli occhi di Atget

Riti e sacrifici:

il motivo del sacrificio (2)

Da:

i miei libri


 

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Una volta sbarcato, Mason fece tornare le navi al fiume Pequot

perché attendessero l’arrivo delle truppe a piedi. Quindi, guidato

dai Narragansett e con una scorta di quasi 500 guerrieri indiani,

si mise in marcia verso occidente dirigendosi verso il Mystic Ri-

ver, dove sorgeva il villaggio più piccolo dei Pequot.

Mason aveva optato per questa strategia sulla base di precisi ra-

gionamenti che egli stesso elencò nella sua storia della spedizione,

e ‘per altre ragioni’, aggiungeva misteriosamente, ‘con cui eviterò

di tediarvi’.

Questa reticenza diventa più comprensibile man mano che dal si-

lenzio cui erano destinate emergono le altre ragioni. Mason si pro-

poneva di evitare un attacco contro i guerrieri Pequot, poiché a-

vrebbe messo a troppo dura prova le sue truppe, impreparate e

inaffidabili.

Il suo scopo non era quello di ingaggiare una battaglia in campo a-

perto; andare in battaglia è solo uno dei modi per placare la bellico-

sità del nemico, e lo stesso obiettivo può essere raggiunto, correndo

rischi minori, con un massacro: Mason aveva deciso appunto come

suo obiettivo il massacro degli Indiani.


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Gardiner e Underhill, sebbene fossero soldati rotti a ogni esperienza,

si erano opposti inizialmente al suo piano e avevano dato il loro as-

senso solo dopo che il cappellano della compagnia aveva passato una

notte intera a ‘raccomandare’ il loro ‘destino’ al Signore e aveva quin-

di dato l’approvazione del clero.


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Tutti i resoconti, basati su fonti indirette, della conquista dei Pequot

si astengono scrupolosamente dal confessare la premeditazione della

strategia di Mason e, per nascondere questo aspetto, alcuni si spingo-

no addirittura a falsificare la realtà.

Su questo punto la versione più autorevole è quella dello stesso Ma-

son. William Hubbard, portavoce dei Puritani del Massachusetts, non

solo cita erroneamente Mason ma invita sfacciatamente i lettori a ‘ac-

cettare quanto da me riferito, poiché corrisponde a quanto scritto di

suo pugno dal valoroso, fedele e prudente comandante, il capitano

Mason’.

Avendo stabilito così enfaticamente le proprie credenze e pretenden-

do di citare Mason, egli scrive: ‘Dopo aver deciso per un po’ di non

bruciarlo (il villaggio), dal momento che non riuscivamo in nessun

modo ad attaccarli, risolsi di dargli fuoco’.

Nonostante le assicurazioni di Hubbard, queste non erano affatto le

parole di Mason. Il manoscritto recita semplicemente: ‘Avevamo pre-

cedentemente stabilito di annientarli passandoli a fil di spada e di

mettere in salvo il bottino’.

Hubbard non si limitò a censurare l’intenzione del massacro e dei sac-

cheggi di Mason. Il resto del manoscritto di Mason decriveva anche chi

fossero gli abitanti del villaggio sul Mystic River e dimostrava senz’ om-

bra di dubbio che Mason non si era accontentato di una semplice vitto-

ria.

Dopo aver raccontato come l’attacco fosse stato lanciato all’alba del 26

maggio e come fosse stato conquistato con la forza l’ingresso nel villag-

gio, il testo di Mason proseguiva così:

 

Infine William Heydon, scorgendo una fessura nella tenda, vi entrò pensan-

do di trovarvi qualche indiano; ma nell’entrare inciampò in un cadavere.

Heydon si rialzò prontamente, al che gli Indiani in parte fuggirono, in par-

te si nascosero sotto il letto. Il capitano Mason uscendo dalla tenda scorse

un gran numero di Indiani lungo la strada, o sentiero, del villaggio.

Si diresse verso di loro, ma quelli dandosi alla fuga vennero inseguiti sino

al fondo della strada, dove furono affrontati da Pattison, Thomas Barber e

alcuni altri. Sette di loro, come ho detto, furono trucidati lì per lì.

Il capitano, facendo dietrofront, marciò lentamente ripercorrendo la stra-

da già fatta, poiché si sentiva mancare il fiato.

Giunto all’altra estremità vicino al punto in cui era entrato precedente-

mente, vide due soldati accanto alla palizzata con le spade puntate a ter-

ra.

Il capitano disse loro che non dovevano ucciderli in quel modo e aggiun-

se anche: ‘Dobbiamo bruciarli’, dopo di che, entrando subito nella tenda

di prima, ne uscì con una torcia e ponendola a contatto con le stuoie di

cui erano coperte, appiccò fuoco alle tende del villaggio.

 

Risulta drammaticamente chiaro da questa descrizione che il villag-

gio, per quanto fortificato, aveva ben pochi guerrieri a difenderlo al

momento dell’attacco. Mason aveva affermato che 150 Pequot erano

‘giunti come rinforzo’ nel villaggio il giorno prima dell’ attacco.


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La presenza di questo numero di guerrieri e l’ipotesi che essi fosse-

ro stati inviati in aggiunta alla guarnigione già presente non trova-

no però conferma nel racconto di Mason.

Abbiamo ampie testimonianze, anche da fonti puritane, sulla pres-

sione da parte dei Pequot a combattere sino alla morte; si può quin-

di essere abbastanza sicuri che gli abitanti sopraffatti da Mason non

fossero dei guerrieri, stranamente divenuti all’improvviso codardi.

Il resoconto di Increase Mather ci rivela inoltre che i guerrieri Pe-

quot disponevano di fucili, particolare confermato anche da una

precedente testimonianza di Lion Gardiner, mentre il racconto del

massacro al Mystic River fatto da Mason non fa cenno a Indiani con

armi da fuoco.

Se i presunti rinforzi si fossero messi in marcia dal villaggio princi-

pale sul fiume Pequot verso quello più piccolo sul Mystic River, essi

si sarebbero incamminati esattamente nella direzione opposta rispet-

to alle colonie inglesi che, secondo Mason, essi intendevano attacca-

re.

Il loro trasferimento li avrebbe condotti verso est, mentre Fort Saybro-

ok era a ovest e le colonie dell’alto Connecticut a nord-ovest. I ‘rinfor-

zi’, in realtà, non esistevano ed era proprio questo il motivo per cui

Mason aveva colpito quel villaggio.

Mason e Underhill avevano ricevuto dagli alleati Narragansett del-

le informazioni riservate sulle posizioni dei Pequot e Mason sapeva

benissimo che gli abitanti sul Mystic River erano persone che pote-

vano facilmente essere passate ‘a fil di spada’.

I disgraziati che si nascondevano sotto il letto e fuggivano alle spa-

de insanguinate di Mason erano invece donne, bambini e anziani,

deboli e inermi!


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Gli alleati Narragansett si erano apertamente dissociati dai sistemi

di Mason.

Quando risultò chiaramente che egli intendeva attaccare il villaggio

sul Mystic River invece di quello fortificato di Sassacus sul fiume Pe-

quot, centinaia di alleati indiani si ritirarono. Temendo che gli altri

non sarebbero stati sufficientemente spietati, Mason e Underhill cir-

condarono il villaggio sul Mystic River con due anelli concentrici di

uomini, relegando le restanti truppe alleate nell’anello più esterno.

Dopo aver dato fuoco al villaggio, gli Inglesi strinsero la morsa con

il primo anello di truppe e quando gli Indiani cercarono disperata-

mente di uscire dalla trappola, li intercettarono e li assassinarono

prima che potessero cercare rifugio presso i Narragansett, che era-

no sempre stati i loro peggiori nemici.


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Questo episodio fu riferito da Underhill con molta accortezza e con

un linguaggio sufficientemente equivoco da trarre in inganno i lettori

inesperti, ma tale da essere perfettamente compreso da chi era stato

presente ai fatti, incoraggiando anzi una certa aria di complicità.

Nel brano che segue, scritto da Underhill, ho sottolineato in corsivo

le parole chiave: 


Molte persone bruciarono vive nel forte, uomini, donne e bambini.

Altri riuscirono a guadagnarsi l’uscita e a frotte, venti o trenta per

volta, si diressero verso gli Indiani, ma i nostri soldati li fermarono

e li passarono a fil di spada.

Lì caddero vittime uomini, donne e bambini; chi riuscì a sfuggirci

cadde nelle mani degli Indiani che erano dietro di noi. Gli Indiani

stessi riferirono che vi erano circa 400 anime in quel villaggio.

Non più di cinque sfuggirono alle nostre mani……..

(F. Jennings, L’invasione dell’America)


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(I coloni che erano emigrati nell’alta valle del fiume Connecticut nel

marzo 1636 avevano accettato in cambio del permesso di insediarvisi

l’autorità del governo del Massachusetts e di John Winthrop jr……)



 

 


 

conquista puritana

ALH84001 (2)

Precedenti capitoli:

ALH84001 (da dove viene la vita?) &

Tunguska &

Leonid Kulik (il padre di Tunguska)

Prosegue in:

gli occhi di Atget &

meteoriti

Foto del blog:

Mazzini:

‘io non sono Nobile’

L’evento:

Meteoriti….

Da:

Frammenti in rima


 

alh84001 (un pass per la verità?) (16)








Il gruppo della NASA ha concentrato le indagini sulle peculiari

formazioni di carbonato nella roccia.

Gli studiosi sapevano che queste piccole particelle potevano

fornire importanti indizi circa le condizioni su Marte nel lon-

tano passato. Un accurato esame ha messo in luce globuli stra-

tificati di larghezza variabile da 25 nanometri (milionesimo di

millimetro) a circa un decimo di millimetro, ricoperti da un ma-

teriale ricco di ferro che comprendeva solfuro di ferro e una for-

ma di ossido di ferro nota come magnetite.

Tutti questi minerali possono essere prodotti separatamente

da diversi tipi di processi, ma la loro combinazione in uno stes-

so punto dava da pensare.

Che cosa poteva averli prodotti?

Dopo essersi arrovellati a lungo, gli scienziati hanno cominciato

a delineare un’ipotesi ardita: era possibile che gli inconsueti gra-

nuli di carbononato fossero il prodotto di organismi viventi?

Si trattava certo di un’idea azzardata, ma se la roccia fosse stata

di origine terrestre questo genere di granuli minerali sarebbe sta-

to senz’altro attribuito all’attività dei microbi.

I ricercatori avevano un assoluto bisogno di un controllo incro-

ciato: pochi scienziati avrebbero creduto ai soli granuli di mine-

rali come prova della vita.

McKay e il suo gruppo hanno dunque cominciato a cercare com-

posti molto diversi, gli idrocarburi policiclici aromatici, moleco-

le a più anelli che si sa essere prodotte dagli organismi in decom-

posizione.

Con uno spettrometro di massa gli scienziati hanno cercato que-

ste molecole e sono stati ricompensati dal ritrovamento di minu-

scole tracce.

Prima di stappare lo champagne, però, gli studiosi dovevano di-

mostrare che questi composti non avevano invaso la meteorite

durante la permanenza in Antartide.

A questo scopo hanno esaminato la distribuzione degli idrocar-

buri all’interno della meteorite e hanno constato che la concen-

trazione cresceva verso l’interno, l’opposto di quanto ci si pote-

va aspettare se fossero penetrati nella roccia dall’esterno.

Inoltre, le altre meteoriti antartiche non contengono simili

quantità di idrocarburi policiclici aromatici. Si trattava di un

enorme punto a favore, ma non dimostrava ancora che nella

roccia fossero stati attivi microbi marziani.

Il fatto è che, anche se questi idrocarburi sono prodotti dagli

organismi viventi, possono anche essere sintetizzati da pro-

cessi organici.

In effetti, sono stati trovati in altre meteoriti e perfino nello

spazio interstellare. La loro presenza in ALH84001 è quindi

incoraggiante, ma non risolutiva.

Anche se si può provare che gli idrocarburi provengono da

Marte, potrebbero essere il prodotto di processi non biologici

oppure potrebbero esserci arrivati dallo spazio.

Gli scienziati tuttavia avevano un terzo motivo per pensare

che la roccia marziana fosse stata abitata da organismi, ed era

il più sensazionale.

Sotto un potente microscopio elettronico si vedevano, attaccati

ai globuli di carbonato, migliaia di minuscoli corpuscoli di for-

ma ovoidale, simili a file di salsiciotti……

(Paul Davies, Da dove viene la vita)






alh84001 (un pass per la verità?) (16)

CIAO IMBECILLE!

Precedente capitolo:

chi è il persecutore?

Prosegue in:

sentenza di scomunica contro gli eretici &

Dialoghi con Pietro Autier 2: se io non l’avessi…&

gli occhi di Atget

Foto del blog:

se io

non l’avessi..

Da:

 

l'imbecille a detta del diavolo (e sempre contro l'eretico)


i miei libri




 

 

 

 

Imbecille:

Persona che occupa tutto il regno della speculazione

intellettuale che si propaga per le vie dell’attività mo-

rale.

Essere onnifacente, onniforme, onnicosciente, onni-

sciente, onnipotente; a lui si deve l’invenzione delle

lettere, della stampa, della ferrovia, del vapore, del

telegrafo, dell’insipienza e dell’intera gamma delle

scienze.

Creò il patriottismo e insegnò la guerra ai popoli;

fondò la teologia, la filosofia, le legge, la medicina e

Chicago.

Istituì le forme di governo monarchica e repubbli-

cana Esiste da sempre, esiste per l’eternità; l’alba di

ogni cosa lo vide imbecille né più né meno di ades-

so.

Nel mattino dei tempi egli cantava sopra le alture

primigenie e nel meriggio dell’essere guidava il cor-

teo della vita.

Nel crepuscolo egli prepara il pasto serale dell’uomo:

latte e morale, mentre abbassa la pietra sepolcrale sul-

la tomba del mondo.

E quando noi tutti saremo piombati nella notte dell’e-

terno oblio egli veglierà per scrivere la storia della civil-

tà umana.

(Ambrose Bierce, Dizionario del Diavolo)



 

 

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NEGLI STESSI ANNI (pionieri dell’ecologia: John Muir)

Precedenti capitoli:

negli stessi anni (gli Stati da fare) &

negli stessi anni: un pioniere dell’ecologia G.P. Marsh

Prosegue in:

John Muir &

gli occhi di Atget

Foto del blog:

John

Muir

Una notizia:

Bob Kennedy jr e figlio arrestati davanti alla Casa Bianca

 

 

negli stessi anni (9)

 

 

 

 

 

 

Quando Muir sbarca a San Francisco la ferrovia che

collegherà la costa atlantica con il Pacifico non è an-

cora terminata; la via più breve per la California pas-

sa da Panama: due viaggi in nave con l’intermezzo di

un viaggio in treno.

La California è terra di frontiera: voci di investimenti

così redditizi da raddoppiare il capitale ogni due anni,

di una terra fertile oltre ogni immaginazione, di fortu-

ne colossali nascoste negli atti delle concessioni mine-

rarie percorrono l’America esasperata dalla Guerra

Civile e richiamano folle.


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San Francisco cresce a ritmo frenetico, le attività

commerciali si moltiplicano, lo sfruttamento del-

le risorse procede avido e disordinato.

Muir sbarca a San Francisco attratto non dalla

prospettiva del denaro ma dal mito di una natu-

ra che non ha l’eguale al mondo.

Quello che vede quando si inoltra nella Sierra è

superiore a ogni aspettativa: dopo il viaggio nel-

la Sierra, Muir si stabilisce in una piccola capan-

na di tronchi ai piedi di Yosemite Fall e vi resta

sei anni.

Osserva, contempla, studia.


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Nel 1871 comincia a pubblicare i risultati delle sue

osservazioni: le sue teorie sull’origine glaciale della

valle susciteranno lo sdegno e lo scherno dei più emi-

nenti glaciologi dell’epoca, ma alla fine si rileveran-

no corrette.

Scienziati, scrittori, pensatori cominciano a fargli vi-

sita. Un giorno compare Ralph Waldo Emerson, il più

influente pensatore americano dell’epoca.

Ha 68 anni; quando se ne va, alla lista dei saggi che ha

conosciuto aggiunge il nome del poco più che trenten-

ne rustico boscaiolo che lo ha portato ad ammirare le

sequoie di Mariposa Grove.


john_muir.jpg


Qualche anno dopo Muir comincia a passare gli in-

verni a San Francisco, soprattutto per scrivere.

Ai mesi sedentari seguono lunghe esplorazioni.

Nel 1879 visita l’Alaska: altra grande passione del-

la sua vita. Vi tornerà altre cinque volte, scoprirà

ghiacciai e baie sconosciute, scalerà montagne.


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Nel 1880 sposa la figlia di un frutticultore e per poco

meno di un decennio si dedica all’azienda del suoce-

ro.

Nel 1889 gli amici lo convincono che la causa della

difesa della natura ha bisogno di lui: lo schivo aman-

te della wilderness dedicherà gli ultimi quindici anni

della sua vita a combattere per la creazione di aree

protette.


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Tutti i parchi americani istituiti in quegli anni a

cominciare da quello di Yosemite, devono la loro

esistenza in gran parte alla sua opera.

E’ un momento cruciale nella storia dell’Ovest: la

frontiera deve darsi una coscienza civile per di-

ventare stato.

E’ una battaglia contro interessi potenti: Muir l’a-

veva prevista fin dal suo primo viaggio nella Sier-

ra. Politici locali, speculatori, industriali del legno,

allevatori da una parte; un manipolo di ostinati

dall’altra; un’opinione pubblica distratta nel mez-

zo.

Muir pubblica un libro dopo l’altro, scrive articoli,

porta la gente a vedere di persona le meraviglie che

non si devono abbandonare agli interessi privati,

vince le diffidenze: l’esiguo gruppo iniziale si am-

plia, nel 1892 viene fondato il Sierra Club, a tutt’-

oggi forse la più autorevole istituzione americana

per la difesa dell’ambiente.

Muir ne diventa primo presidente.


negli stessi anni (9)


Molte vittorie, una grande sconfitta: nel 1913, dopo

anni di battaglie, viene approvata la costruzione di

una diga che della valle di Hetch Hetchy farà una

riserva d’acqua per San Francisco: ‘l’altra Yosemi-

te’ sparirà per sempre.

Muir muore l’anno dopo, amareggiato.

“Col tempo capiranno”,….dice.

(J. Muir, La mia Prima estate sulla Sierra)

sierraclub




 

negli stessi anni (9)

 

L’INDIVISIBILITA’ DEL BENE DAL MALE (3)

Precedente capitolo:

l’indivisibilità del bene dal male (2)

Prosegue in:

Dialoghi con Pietro Autier: l’indivisibilità del bene dal male (4) &

Dialoghi con Pietro Autier 2 &

gli occhi di Atget

Foto del blog:

è buio

sul ghiacciaio

Da:

Frammenti in rima


 

l'indivisibilità del bene dal male 3







– E’ una Balena bianca, vi dico,

proseguì Achab, abbassando la mazza

– una Balena Bianca. Cavatevi gli occhi a cercarla, marinai;

vigilate, se vedete acqua bianca, anche se avvistate soltanto

una bolla, date il segnale!

Nel frattempo, Tashtego, Daggoo e Queequeg lo avevano

guardato con interesse più intenso e con maggior sorpresa

degli altri e, quand’egli accennò alla fronte corrugata e alla

mascella adunca sussultarono come se ciascuno fosse stato

colpito, per conto proprio, da una particolare reminiscenza.

– Capitano Achab,

disse Tashtego

– quella Balena Bianca dev’essere la stessa che qualcuno chi-

ama Moby Dick.

– Moby Dick?

gridò Achab.

 

l'indivisibilità del bene dal male 3


– Allora tu conosci la Balena bianca, Tashtego?

– Ha un modo un po’ curioso si sbattere la coda, prima di ina-

bissarsi, signore?

domandò Capo Allegro, con ponderatezza.

– E ha anche una sfiatata curiosa,

disse Daggoo

– molto spessa anche per uno spermaceti, ed è velocissima,

capitano Achab?

– E ha uno, due, tre, oh, molti ferri, nella pelle, capitano,

gridò Queequeg, parlando a scatti,

– tutti contorti e ritorti, come un…..

faticando a parlare e torcendosi le mani come se stappasse

una bottiglia

– come un…. come un….

– Cavaturaccioli!

urlò Achab.

– Sì, Queequeg, i ramponi sono piantati nella sua pelle tutti

contorti e schiantati, sì, Daggoo, il suo spruzzo è grosso, co-

me una pila di covoni di grano e bianco come un mucchio

della nostra lana di Nantucket dopo la grande tosata annu-

ale; sì, Tashtego, sbatte la cosa come un fiocco strappato,

nella raffica.

Morte e dannazione!

E’ Moby Dick che avete visto, marinai, Moby Dick, Moby

Dick!

– Capitano Achab,

disse Starbuck, che con Stubb e Flask aveva fino ad allora

guardato il suo superiore con crescente sorpresa, ma che

alla fine sembrò colpito da un’idea che, in qualche modo,

poteva spiegare quella meraviglia

– capitano Achab, ho sentito parlare di Moby Dick; ma non

è Moby Dick che vi ha portato via la gamba?

– Chi ti ha detto questo?

urlò Achab; poi, fermandosi:

 

l'indivisibilità del bene dal male 3


– Sì, Starbuck, sì, miei prodi, quanti siete; fu Moby Dick a

disalberarmi, fu Moby Dick a ridurmi a questo troncone

su cui ora mi reggo.

Sì,  sì, sì,

tuonò con un terrificante singhiozzo animalesco come quel-

lo di un alce colpito al cuore,

– sì, sì, è stata quella esecrabile Balena Bianca a tagliarmi, a

fare di me, per tutta la vita, un povero disgraziato su un pio-

lo.

Poi, scuotendo le braccia, con imprecazioni smisurate, escla-

mò:

– Sì, sì, ed io le darò la caccia oltre il Capo di Buona Speran-

za, oltre il Capo Horn, oltre il Maelstrom di Norvegia, e ol-

tre le fiamme della perdizione, prima di rinunciare a lei.

Ed è per questo che vi siete imbarcati, marinai! Per dare la

caccia a quella Balena Bianca in tutto il mondo e in tutti

gli angoli della terra, finché essa non zampilli sangue nero

e la sua pinna si rivolti nell’aria.

Che ne dite, marinai?

Ci stringiamo le mani sulla cosa?

Mi sembra che voi abbiate un aspetto coraggioso.

(prosegue in l’indivisibilità del bene dal male 4)





 

l'indivisibilità del bene dal male 3

L’INDIVISIBILITA’ DEL BENE DAL MALE (la relazione di Jekyll sul caso…) (2)

Precedente capitolo:

Dialoghi con Pietro Autier: l’indivisibilita del bene dal male

Prosegue in:

Dialoghi con Pietro Autier 2 &

gli occhi di Atget

Foto del blog:

l’indivisibilità del bene dal male 2 &

la forma è il vuoto

e il vuoto è la forma stessa

Da:

Frammenti in rima


 

l'indivisibilità del bene dal male 2

 

 





Ero sempre a questo punto quando, come ho detto, le mie ricerche di

laboratorio cominciarono a gettare una luce inaspettata sulla questio-

ne.

Cominciai a percepire, più a fondo di quanto fosse mai stata ricono-

sciuta, la tremula immaterialità, la vaporosa inconsistenza del cor-

po, così solido in apparenza, di cui andiamo rivestiti.

Scoprii che certi agenti chimici avevano il potere di scuotere via

questo rivestimento di carne, come il vento fa volare le tende di un

padiglione. 

 

l'indivisibilità del bene dal male 2


Ho due buone ragioni per non entrare troppo in particolari, in

questa parte scientifica della mia confessione.

La prima è che il nostro destino e il fardello della nostra vita, co-

me ho imparato a mie spese, sono legati per sempre sulle nostre

spalle: se tentiamo di liberarcene, ce li ritroveremo addosso in

qualche forma nuova e ancora più insopportabile.

La seconda è che la mia scoperta, come purtroppo risulterà evi-

dente da questo scritto, è rimasta incompleta.

Mi limiterò a dire, perciò, che non solo riconobbi nel mio corpo,

nella mia natura fisica, la mera emanazione o effluvio di certe

facoltà del mio spirito, ma elaborai una sostanza capace di in-

debolire quelle facoltà e suscitare una seconda forma corporea,

non meno connaturata in me in quanto espressione di altri po-

teri, anche se più vili, della mia stessa anima. 

 

l'indivisibilità del bene dal male 2


Esitai a lungo prima di passare dalla teoria alla pratica.

Sapevo bene di rischiare la vita, poiché era chiara la pericolosità

di una sostanza così potente da penetrare e scuotere dalle fonda-

mente la stessa fortezza dell’identità personale: sarebbe bastato il

minimo errore di dosaggio, la minima controindicazione, per can-

cellare del tutto quell’immateriale tabernacolo che mi proponevo

di cambiare.

Ma la tentazione di applicare una scoperta così singolare e pro-

fonda era tale, che alla fine vinsi ogni paura.

 

l'indivisibilità del bene dal male 2


Avevo preparato la mia tintura già da un pezzo; acquistai allo-

ra da una ditta farmaceutica un quantitativo importante di un

certo sale, che a quanto mostravano i miei esperimenti era l’ulti-

mo ingrediente necessario, e quella stessa notte maledetta prepa-

rai la pozione. 

Guardai il liquido che ribolliva e fumava nel bicchiere, aspettai

che terminasse l’effervescenza, poi mi feci coraggio e bevvi.

Subito dopo fui assalito da spasimi atroci: un senso di frantuma-

zione delle ossa, una nausea mortale, e un orrore, una revulsione

dello spirito, quale non si potrebbe immaginare maggiore nell’-

ora dell’uscita della morte.

Ma presto queste torture cessarono, e riprendendo i sensi mi

trovai come uscito da una grave malattia. C’era qualcosa di

strano nelle mie sensazioni, qualcosa di indicibilmente nuovo

e perciò stesso di indicibilmente gradevole. 

 

l'indivisibilità del bene dal male 2


Mi sentii più giovane, più leggero, più felice fisicamente, men-

tre nel morale ero conscio di altre trasformazioni: una capar-

bia temerarietà, una rapida e tumultuosa corrente di immagi-

ni sensuali, uno scioglimento dai freni dell’obbligo, un’ignota

ma innocente libertà dell’anima. 

 

l'indivisibilità del bene dal male 2


E subito, fin dal primo respiro in quella nuova vita, mi seppi 

portato al male con impeto decuplicato e interamente schiavo

del mio peccato d’origine. Ma questa stessa consapevolezza,

in quel momento, mi esaltò e deliziò come il vino.

Allargai le braccia, esultando nella freschezza di queste sensa-

zioni, e mi resi improvvisamente conto di essere diminuito di

statura.

Non c’era uno specchio allora in questa stanza (quello che è

ora di fronte a me mentre scrivo, lo misi qui in seguito proprio

per controllare le mie trasformazioni).

Ma la notte era già inoltrata: per buio che fosse, anzi, il matti-

no era già prossimo a concepire il giorno, e la servitù era chiu-

sa e sbarrata nelle ore più rigorose del sonno.

Decisi dunque, esaltato com’ero dalla speranza e dal trionfo,

di avventurarmi in quella nuova forma fino alla mia stanza

da letto (e sempre in quella forma in altra luoghi e case… nul-

la sembrava potermi contenere…padrone di ogni cosa e di o-

gni pensiero, il male in assoluto…).

Traversai il cortile suscitando (così forse pensai) la meravi-

glia delle costellazioni, alla cui insonne vigilanza si scopriva

il primo essere della specie.

Scivolai per i corridoi, straniero nella mia (…….) casa.

E giunto nella (……) stanza, contemplai per la prima volta l’-

immagine di Edward Hyde.

(R.L. Stevenson, Lo strano caso del Dr. Jekyll e del Sig. Hyde)



 

 

l'indivisibilità del bene dal male 2

    

LA PESTE (2)

Precedente capitolo:

la peste

Prosegue in:

Dialoghi con Pietro Autier 2 &

gli occhi di Atget

Foto del blog:

una

fotografia

Da:

Frammenti in rima


 

la peste 2

 

 





La prima cosa che la peste recò ai nostri concittadini fu insom-

ma, l’esilio, e il narratore è persuaso di poter scrivere qui, a no-

me di tutti, quello che lui stesso ha provato allora, avendolo

provato contemporaneamente a molti dei nostri concittadini.

Ben era il sentimento dell’esilio quel vuoto che portavamo co-

stantemente in noi, quella precisa emozione, il desiderio irra-

gionevole di tornare indietro o invece affrettare il cammino

del tempo, queste due ardenti frecce della memoria.

 

la peste 2


Se talvolta ci si lasciava andare alla fantasia e ci s’illudeva di

aspettare la scampanellata del ritorno o un passo familiare per

le scale, se, in quei mementi, si era d’accordo nel dimenticare che

i treni erano immobili, se ci si disponeva allora a restare in casa

nell’ora in cui, normalmente un viaggiatore portato dal diretto

poteva giungere nel nostro quartiere, tali giochi, beninteso, non

potevano durare.

Veniva sempre il momento in cui ci si accorgeva chiaramente

che i treni non arrivavano; sapevamo allora che la nostra sepa-

razione era destinata a durare e che dovevamo cercare di veni-

re a patti col tempo.

 

la peste 2


D’allora, insomma, ci si reintegrava nella nostra condizione di

prigionieri, eravamo ridotti al nostro passato, e se anche alcuni

di noi avevano la tentazione di vivere nel futuro, vi rinunciava-

no rapidamente, almeno per quanto gli era possibile, provando le

ferite che la fantasia finisce con l’infliggere a coloro che hanno fi-

ducia in lei.

In particolare, tutti i nostri concittadini si privarono assai presto,

anche in pubblico, dell’abitudine, che avevano potuto prendere di

calcolare la durata della loro separazione.

Perché?

Gli è che se i più pessimisti l’avevano stabilita, a esempio, di sei

mesi, quando avevano esaurito in anticipo tutta l’amarezza dei

mesi futuri, sollevato il loro coraggio a livello di tale prova, teso

le loro ultime forze per rimanere senza indebolirsi all’altezza d’-

un patimento prolungato per tanti giorni, allora, talvolta, un ami-

co incontrato, un articolo del giornale, un sospetto fuggevole o

una brusca chiaroveggenza gli dava l’idea che, dopo tutto, c’era

ragione che la malattia non durasse più di sei mesi, e forse un an-

no, o ancora più. 

 

la peste 2


In quel momento l’inabissarsi del loro coraggio, della loro volontà e

della loro pazienza era sì brusco che gli sembrava di non poter mai

più risalire la china. Di conseguenza, si costringevano a non pensar

mai più al giorno della loro liberazione, a non rivolgersi più verso il

futuro e a tener sempre, diremmo, gli occhi bassi.

Ma naturalmente una tale prudenza, un tal modo di barare col dolo-

re, di rinchiudere le sentinelle per rifiutar battaglia, erano mal ricom-

pensati. 

 

la peste 2


Nello stesso tempo che evitavano quell’inabbissarsi, di cui a nessun

costo volevano saperne, si privavano poi di quei minuti, nel comples-

so frequenti, in cui potevamo dimenticare la peste nelle immagini del

futuro ricongiungimento.

E di qui, incagliati a mezza via tra gli abissi e le cime, ondeggiavamo

più che non vivessero, abbandonati a giorni senza direzione e a sterili

ricordi, ombre erranti che non avrebbero potuto prender forza che ac-

cettando di radicarsi nella terra del loro dolore.

(A. Camus, La peste) 



 

 

la peste 2