MURATORI

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Verso la fine del XIII secolo, nel 1294 i priori della città

di Firenze, vale a dire il consiglio dei ministri, incarica-

rono Arnolfo di Cambio di costruire una nuova chiesa

nello stesso luogo in cui sorge santa Reparata, che ha

tutto il difetto di non essere adeguata al prestigio, all’-

orgoglio d’una città che da qualche tempo fila col ven-

to in poppa, vittoriosa in guerra e in diplomazia, nei

traffici e nelle arti.

Firenze scoppia di salute, i suoi mercanti si espandono

in tutta Europa, i sovrani chiedono prestiti ai suoi ban-

chieri, il fiorino sta per diventare il dollaro del medio-

evo.  Firenze parteggia per i guelfi non soltanto per o-

dio verso l’imperatore, ma anche perché, col papa, i

suoi banchieri imbastiscono ottimi affari, qualcuno di

loro gestirà l’esazione delle decime in tutto l’orbe cri-

stiano.

Essa ha sconfitto i ghibellini di Arezzo, a Campaldino,

presente Dante Alighieri, e poi i nemici interni, i nobili

dell’ancien régime, obbligandoli a rinunciare ai privile-

gi feudali. 

Se Pisa ‘vituperio delle genti’, già possedeva un duomo

meraviglioso, e Lucca il suo san Martino, e Siena, super-

ghibellina si badi bene, profondeva milioni nella nuova

cattedrale, poteva Firenze, occhio destro della curia ro-

mana, restare in seconda linea?

Chiese ce n’erano, d’accordo.

Tra secolari, conventuali e oratori, i luoghi di culto am-

montavano a 150, per una popolazione di 90.000 abitan-

ti, di cui 3000 erano preti, frati o monache.

Ma la chiesa grande, di prestigio, mancava.

Perciò ‘i cittadini s’accordarono di rinnovare la maggio-

re chiesa’, scrive il Villani, ‘la quale era molto di grossa

forma e piccola in comparazione di sì fatta cittade, e or-

dinarono di crescerla e di trarla addietro e farla tutta di

marmi e di pietra intagliata’.

Doveva essere, diceva il decreto della Signoria, ‘tale che

inventar non si possa né maggiore né più bella dell’indu-

stria e potere degli uomini’. Il rivestimento sarebbe stato

fatto con marmo bianco di Carrara, rosso di Siena, ver-

de di Prato.

Troppo lusso, sghignazzò un veronese di passaggio, do-

ve andrete a prendere tutti quei soldi?

Per questo insulto alle finanze della città l’incauto fu ar-

restato, tenuto in prigione due mesi e rilasciato dopo es-

sere stato portato a vedere le casse dell’erario, straripan-

ti d’oro.

L’8 settembre 1296, giorno della natività di Maria (Dante

ha trentun anni) il cardinale Pietro Duraguerra da Piper-

no, vicecancelliere della chiesa e legato di Bonifacio VIII

in Toscana per scopi più politici che religiosi benedisse a

nome del pontefice la prima pietra del duomo.

In ogni luogo di vendita e di scambio fu esposta al pub-

blico la cassetta per l’offerta del ‘denaro a Dio’, che dava

una sanzione spirituale alla conclusione dell’affare.

Il papa mandò tremila fiorini, detraendoli dal monte del-

le usure, restituite dagli strozzini in punto di morte.


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A tutti, usurai e no, furono promesse indulgenze propor-

zionate all’importo.

Si noti che la chiesa considerava usuraio chiunque impre-

stasse denaro, qualunque fosse il tasso. Irrigidita su posi-

zioni aristoteliche che stabilivano ‘il denaro non può ge-

nerare denaro, essa condannava il prestito a interesse,

in aperto contrasto con una società che si stava lancian-

do nella grande avventura mercantile e capitalistica.

Perciò l’arricchito quando vedeva, in punto di morte,

le fiamme dell’inferno spuntare in fondo al letto, si af-

frettava a destinare i suoi beni a opere di bene, speran-

do, se il medico non riusciva a salvargli la vita, di sal-

vare, con l’aiuto del notaio, almeno l’anima.

E quella dei mercanti era di più difficile salvataggio,

giacché su di loro pesavano le pessimistiche previsio-

ni della Bibbia: ‘a stento un mercante sarà esente da

colpe, un rivenditore non sarà immune dal peccato….

tra la compera e la vendita si insinua il peccato’.

Alcuni non attesero l’ultima ora per fare larghe dona-

zioni, in espiazione delle loro colpe.

Grandi peccatori, grandi cattedrali.

Su ogni pagamento eseguito dal comune si applicò,

pro fabbrica del duomo, una tassa di quattro denari per

lira. Gli appaltatori delle gabelle versavano due denari

per ogni lira incassata, una specie di Iva sacra che pre-

vedeva multe astronomiche per i contravventori.

Ai bestiemmiatori furono inflitte, al posto delle peniten-

ze materiali, pene pecuniarie, sempre a vantaggio del

duomo, cosicché ‘molti blocchi di marmo di santa Maria

del Fiore furono acquistati col ricavato delle bestemmie’.

Ogni cittadino fu tassato per due soldi annui.

L’unico esente da tasse fu l’architetto Arnolfo, al quale i

fiorentini, fiscalmente parlando, non torsero un capello,

per timore che si arrabbiasse e andasse a lavorare altro-

ve.

Arnolfo non usufruì a lungo dell’agevolazione, morì

poco dopo….

Siamo nell’anno di Nostro Signore 1301….

(Cesare Marchi, Grandi peccatori grandi cattedrali)




 

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MURATORIultima modifica: 2012-10-24T00:00:00+02:00da giuliano106
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