(notte d’inverno) A FILADELFIA

Precedenti capitoli:

l’uomo che cadde sulla terra  &

notte d’inverno (a Filadelfia)


 

a filadelfia






(Da notte d’inverno)

Così il sottotenente Muller rimase solo, esposto al sole,

in mezzo alle montagne che lo contemplavano.

I pastori che d’estate salgono lassù con le pecore gli tol-

sero gli stivaletti di cuoio ancora in buone condizioni.

Poi, non sopportando lo spaventoso odore, bruciarono

la salma. Gli americani tornarono tre mesi dopo a pren-

dere le ossa.


(L’alba, ma a che serve? La notte gli è entrata così in fondo

che mille estati non basterebbero a riscaldarlo, non c’è più

niente del sottotenente Muller tranne che un automa sonno-

lento. Picchi, muraglie, pencolanti, dormono ancora. Non

verrà nessuno. Adesso egli misura l’abisso sotto di lui. Fa

tutto come per dovere, senza convinzione. Si toglie gli sti-

vali di volo, sguaina la breve baionetta per infilarla tra

roccia e così tenersi. Sceglie una larga fessura che sprofon-

da a imbuto. Forse, infilandosi dentro. Con una mortale

svogliatezza prova, tenendosi aggrappato con le mani.

Ma le mani sembrano di un altro, tanto sono insensibili.

Eccolo incastrato nel camino. Centimetro a centimetro

si lascia scivolare. Vede per un attimo il sole battere su

una lamina di roccia sospesa a un’altezza immensa.

Quanto durerà l’abisso? Sotto il piede destro qualcosa

a cui era appoggiato vola via. Ode lo scroscio di sassi

che precipitano. La punta della baionetta gratta con af-

fanno senza trovare. Una forza lenta e persuasiva lo

rovescia indietro. Ecco, la parete gli si abbassa dinnan-

zi, quasi diventasse orizzontale. Libero! Una risata fug-

ge su tre cinque dieci pareti allungandosi grottescamen-

te, presto si spegne. Volando giù di roccia in roccia, la

baionetta tintinna allegramente. Poi tutto fermo e muto

come prima.)


Ora, sul posto, non è rimasto niente. Perché resti un

ricordo, il custode del rifugio Treviso, là dove il morto

fu lasciato per tre mesi, ha segnato con vernice rossa,

su alcune pietre in mezzo all’erba, il nome: F.P. Muller,

e una croce. E sotto, in sbaglio: England. Forse perché

dalle misteriose rupi della Val Canali America e Inghil-

terra sono ugualmente distanti, lontane miliardi di chi-

lometri, ed è facile fare confusione.

(Dino Buzzati, I Fuorilegge della montagna, Notte

d’Inverno a Filadelfia)





 

a filadelfia

(una lapide) PER BESSIE

Precedenti capitoli:

1) le notti del Klan

2) Bessie

3) e i kkk

4) 26 settembre 1937

5) una lapide (per Bessie)

 

per bessie






(Da una lapide)

Alla modesta cerimonia partecipò uno sparuto gruppo

di una trentina di persone.

Janis Joplin non era presente.

Si pensò che non volesse affuscare l’importanza dell’-

evento con la propria celebrità.

Junita Green chiamò Jack Gee, offrendosi di pagargli

il taxi per partecipare alla cerimonia, per tutta rispo-

sta Jack la insultò telefonicamente.

Senza dubbio Bessie Smith non avrebbe mai ottenuto

quella lapide, se nel 1970 la Colombia non avesse ri-

pubblicato tutti i suoi singoli, raccogliendoli in un co-

fanetto di cinque album doppi.

Questa raccolta vinse due Grammy Awards e occupò

per molto tempo il primo posto delle classifiche di tutti

i critici di jazz, vincendo il premio di ‘Trendsetter of the

Year’ della rivista ‘Billboard’.

La morte di Bessie Smith, così come l’intera sua vita, è

stata oggetto di ampie controversie. Per anni è stato

detto che era stata uccisa dal razzismo del Sud, si rac-

contava che gli ospedali per bianchi avessero rifiutato

di prestarle quelle cure che l’avrebbero salvata.

 

per bessie


(Questi post dedicati alla Smith non hanno nessuno

intento di strumentalizzare la sua figura, il suo carisma,

le sue doti artistiche. Neppure quello di entrare in me-

rito alle vicende della sua tragica fine. Semmai è inte-

ressante, a mio modesto avviso, l’intera parabola della

sua vita, è interessante la ‘parabola’ musicale, quando

in altri luoghi si suonava (o componeva) ben altra mu-

sica.

E’ importante notare come l’arte abbia profondamente

aiutato tutti gli emarginati di colore (e non) ha supera-

re il difficile scoglio del razzismo. Piaga non del tutto

estinta. E come l’eresia di un animo povero ma ricco

(come molti altri) abbia lasciato la sua impronta arti-

stica, la sua nota musicale, la …difficile via….da ricor-

dare e giammai dimenticare….).

Il razzismo aveva ucciso migliaia di neri nel Sud

con le sue leggi segregazioniste ed i suoi linciaggi

e Bessie Smith divenne una delle sue tante vittime.

Non è difficile capire perché….

Ma questo ……purtroppo….. avviene ancor oggi…..

(J. Kay, Bessie Smith)

(Dedicato a Bessie Smith…)




 

per bessie

PER SCOPRIRE CHE LUI E’ DIVERSO

Precedenti capitoli:

così fra i geni della foresta mi volli ritirare/

e la natura con dio ammirare/

Prosegue in:

(ordine-e-disordine.html)

per scoprire che lui e’ diverso/

da come insegna quell’uomo (è Dio che lo dice

nulla io invento quanto da Lui detto)/ &

(ordine-e-disordine.html)


 

per scoprire che lui è diverso








Dalla verità cattolica codificata nel ‘Malleus’ e sinonimo di

‘razionalità’ sono dunque esclusi sia il mondo e la spiritua-

lità contadina originaria, sia la donna in quanto tale.

Appartenere alla sfera dell’esclusione è ri-prova del diabo-

lico.

…..E CIO’ VALE ANCHE PER GLI ABITATORI DELLE…

FORESTE:

“Come dice la Glossa: ‘pilosi’ sono gli uomini delle foreste,

irsuti, cioè Incubi e Satiri, che sono una specie di diavoli”.

Da ciò deriva anche la demonizzazione dei Fauni:

“…..I Silvani e i Fauni si sono comportati disonestamente

con le donne, concupendole e unendosi carnalmente con

loro”.

I Fauni vengono chiamati ‘Incubi’, cioè con lo stesso nome

con cui il ‘Malleus’ designa una delle due specie di diavoli,

riprendendo antiche credenze latine, da cui il detto ‘cerne-

re Faunos’ per esprimere le allucinazioni.

Mitici esseri ‘silvani’ per antonomasia, sono qui equipara-

ti ai Trollen delle tradizioni nordiche.

In realtà, prima dell’accezione popolare che accumuna

fauni e satiri – eccezione fatta propria da Sprenger e Insti-

tor – Fauno era  un’antichissima divinità italica assimilabi-

le al dio greco Pan, benevola e favorevole, protettrice delle

greggi e dei pastori.

In alcune tradizioni Fauno è padre o marito o fratello di

Bona Dèa, chiamata anche Fauna, equivalente femmini-

le di Fauno, degna di un culto rigorosamente femminile.

Fauno è dunque il simbolo della natura vivente, e posse-

deva il dono della divinazione, è divinità venerata come

….’genio dei boschi….’, provocatrice di visioni di sogno e

di incubi e rivelatore del futuro per mezzo di voci miste-

riose.

In quanto tutore dell’eco-sistema silvestre veniva raffi-

gurato metà uomo metà animale (capro) e con brevi cor-

na caprine. Zoccoli e corna, perciò, successivamente en-

treranno pari pari nell’iconografia del ‘diavolo’, a sua

volta equiparato ad un capro.

CHIARISSIMA risulta nel ‘Malleus’ la demonizazzione

delle foreste (da foris e stare), gli areali più lontani dal

centro razionale implicitamente individuato nella città,

storici luoghi di rifugio dei colpiti dal bando cittadino,

dei non integrati, dei poveri che lasciano la città inospi-

tale, e dei ribelli di ogni epoca (degli ereitici…dunque),

una massa di ‘eccentrici’ che alla fine pare quasi costi-

tuire un proprio e vero variegato popolo dei boschi, il

quale foris-stat.

Quanto più ci allontaniamo dal centro della razionali-

tà, tanto più si è in disarmonia e contrasto al sistema

privilegiato e del privilegio (della casta…), e proprio

questo è diabolico poiché:


Tutto l’ordine del privilegio si fonda innanzitutto e

originariamente in Dio e le creature vi partecipano a

seconda della vicinanza rispetto a lui.


Siamo dunque in presenza di una esplicita certificazio-

ne teologica della DIFFERENZA ECONOMICA e della

STRATIFICAZIONE SOCIALE:


CHI PIU’ POSSIEDE E’ VICINO A DIO,

CHI MENO POSSIEDE NE E’ MENO VICINO.


Impercettibile, da qui, è lo slittamento verso la doppia

equivalenza:

RICCHEZZA = DIO;

POVERTA’= DIAVOLO.

(Prosegue in: da come insegna quell’uomo)

(Mornese/Astori, L’eresia delle streghe)





 

per scoprire che lui è diverso

IL COLONNELLO E LA GAZZA


Precedente capitolo:

intermezzo venatorio

Prosegue in:

i geni della foresta

Foto del blog:

i geni

della foresta &

il colonnello

e la gazza



 

il colonnello e la gazza

 

 





Un altro silenzio.

Si udì ancora il ticchettio sul tronco.

– Forse è una ferita da niente,

osservò il colonnello.

– Non importa, non preoccupartene. Del resto un giorno

o l’altro volevo ben andarmene da questo posto maledet-

to. Ingenua che ero: pensavo che il mio servizio di segna-

lazioni fosse gradito. Ma il posto non lo posso soffrire.

Tutto è vecchio decrepito, tutto va in putrefazione. Mor-

ro è morto. E tu, come età, non scherzi, caro il mio signor

colonnello.

– Ti sparo un altro colpo se non la smetti,

fece Procolo irritato.

La gazza gorgogliò qualche cosa, senza che si potesse

capire.

La voce divenne ancora più opaca del solito e usciva a

stento.

– Mi hai ferita a tradimento,

disse infine la gazza.

– Forse dovrò morire. Lasciami allora dire una poesia.

– Una poesia?

– Sì,

fece la gazza con tristezza,

– E’ il mio unico svago. Solamente faccio fatica. Le rime

non mi riescono quasi mai. Naturalmente bisogna che

qualcuno mi stia a sentire, senò è inutile. Due volte sole

in quest’ultimo anno…

– Be’,

disse il colonnello interrompendola,

– Fa’ presto, allora…

Si ebbe un silenzio che lasciò udire il ticchettìo delle

gocce del sangue, oramai fioco e rado. La gazza si e-

resse con tutte le forze, puntellandosi con le ali. Alzò

la testa verso la luna. Poi si udì la sua rauca voce, con

dentro una specie di dolcezza:

 

il colonnello e la gazza

 

 

Ricordo i giorni in cui mi dicevano:

‘Certo tu volerai molto bene

tu avrai la vita facile e lieve

molto più lunga di quelle nostre’.

 

Così dicevano i miei fratelli.

Io mi affrettavo a risponder loro:

‘Non io bensì voi diventerete

di un’abalità eccezionale…’

 

Qui la gazza si fermò, ansimando, per avvertire:

– Mi dispiace ho perso una sillaba. Accade alle volte

così, non si sa come….’

Il colonnello, con la destra, fece un indulgente segno di 

tolleranza.

– Dunque,

riprese allora l’uccello,

– Eravamo rimasti…:

 

‘…Non io bensì voi diventerete

di un’abilità eccezionale.

Voi sì diventerete famosi.

Forse vi faranno monumenti.

Di me sarete molto più bravi

e morirete molto più tardi’.

 

I miei fratelli allora dicevano:

‘Perché vuoi nascondere i tuoi meriti?

Possiedi tali disposizioni

da ottenere il più grande successo’.

 

Allora fingevo d’irritarmi:

‘No fratelli, siete proprio voi

che trionferete un dì nelle Americhe

tra rosse nubi napoleoniche’.

 

Non qui finiva la discussione.

In aprile, in agosto, in settembre,

anche in dicembre, tra i freddi venti,

sempre questi eterni complimenti’.

 

– Hai fatto una rima!,

notò ad alta voce il colonnello dal basso.

– Sì,

rispose la gazza,

– Me ne sono accorta. Peccato che….

Sebastiano Procolo stava attento. Vide la testa della gazza

afflosciarsi come se fosse mancato il sostegno. Tutto il cor-

po si piegò da una parte, restò un momento in bilico e poi

cadde giù dal ramo, fino a che giacque sul terreno.

Il colonnello raccolse da terra l’uccello, lo soppesò in una

mano, lo adagiò nuovamente al suolo. 

Quando egli se n’andò, la notte stava per finire.

(D. Buzzati, Il segreto del Bosco Vecchio)


….Da…. frammenti in rima


 

il colonnello e la gazza






 

 

il colonnello e la gazza

 

BESSIE E I KKK

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bessie

Prosegue in:

le notti del Klan


 

e i kkk








La tela della tenda sventolava su e giù per la grande confusione,

anche se non c’era vento.

Il grande pilastro al centro del tendone, aveva un’aria alquanto

instabile. Qualcuno aveva comprato da bere dal venditore am-

bulante dell’Imperatrice, dei veri intenditori!

Finalmente arrivò il momento per cui avevano affrontato quel

lungo viaggio. Il momento iniziale in cui quella voce ruppe il

silenzio come il grido di un animale in calore.

 

e i kkk


I blues dell’Imperatrice erano dei veri e propri ululati.

Ciminciò con ‘Florida Bounds Blues’.

Mentre il concerto proseguiva uno dei musicisti uscì alla ricer-

ca di un po’ di fresco e vide un gruppo di uomini incappucciati

che cercavano di fare crollare la tenda.

Il musicista si sentì mancare alla vista delle loro tuniche bian-

che.

Erano già riusciti a togliere diversi paletti.

Corse subito subito ad avvertire l’Imperatrice.

 

e i kkk


La Regina ordinò agli attrezzisti di seguirla dietro il tendone,

senza spiegargli perché. Ma quelli, quando videro gli uomini

del KKK, scapparono a gambe levate. L’Imperatrice si trovò

ad affrontare da sola i membri del Klan:

– ‘Se necessario farò uscire tutta la dannata tenda.

…Prendetevi i vostri lenzuoli e andatevene’.

Gli uomini del Klan, scioccati, restarono lì senza fiato a guar-

dare l’Imperatrice che li insultava gridando, poi all’improvvi-

so sparirono nell’oscurità.

 

e i kkk


Avvicinandosi agli attrezzisti l’Imperatrice disse:

– ‘Non ho mai sentito un branco di imbecilli…’

e aggiunse:

– ‘Hei Boy torna a casa con il tuo bel lenzuolo bianco dal

papà che ti dà un po’ di buon latte……’.

(J. Kay, Bessie Smith)





 

e i kkk


LA BALLATA DELL’UOMO CHE SE NE E’ ANDATO

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il cimitero rosso

Prosegue in:

il cimitero di guerra nella grammatica della vita


 

la ballata

 

 

 

 

 


Non un soldo per seppellirlo.

L’assistenza sociale ne diede 44.

Il becchino gli disse

Ce ne vorranno altri 60.

 

Per un funerale di lusso,

Un carro funebre e due automobili –

E magari gli amici

Manderanno dei fiori.

 

Sua moglie prese un foglio

E se andò in giro.

Tutti quelli che le davano qualcosa

Li scriveva sul foglio.

 

Ne raccolse 100

Per il suo uomo che era morto.

Gli amici portarono dei fiori

E si fece il funerale. 

 

Un sacerdote celebrò la funzione

E ne chiese 5

Per benedirlo da morto

E celebrarlo da vivo.

 

Adesso che è sepolto –

Dio l’abbia in pace –

Mi sa che la terra del cimitero,

Quella non costa niente.

 

Mi domando come mai

Un funerale si paga così caro?

A un poveraccio mica gli

Conviene morire.

(L. J. Hughes) 

 

 

 

 

la ballata

 

DEMONOMANIA

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ritratti

Prosegue in:

il cimitero di guerra nella grammatica della vita

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carlo….

bevilacqua!


 

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Nel 1541, a Padova, c’era un contadino che credeva di

essere un lupo, e assalì molte persone nei campi e le

trucidò.

Tuttavia, catturato non senza molte difficoltà, affermò

di essere un vero lupo, con l’unica differenza che i peli

crescevano internamente alla pelle.

Per cui alcuni, spogliatisi di ogni sentimento di umanità,

gli ferirono e amputarono le gambe e le braccia, per sco-

prire la verità: venuti a conoscenza dell’innocenza dell’-

uomo, lo condussero dai medici per curarlo, ma dopo po-

chi giorni morì.

Non vi è il minimo dubbio che queste persone sono af-

flitte da quella specie di Melanconia, che gli arabi chia-

mano ‘Chatrab’, nome derivante da una piccola bestiola,

che vaga senza ordine qua e là sulle acque con un moto

irrequieto.

I latini, secondo alcuni chiamano questo animale velenoso

che frequenta luoghi palustri ‘ragno d’acqua’; i greci chia-

mano questo animale ‘lycanthropia’, cioè trasformazione

dell’uomo in lupo: alcuni, da Marcello, melanconia ed an-

che lupina, oppure insania lupina.

Presi da questo male, dai fumi della bile nera, credono di

essere mutati in cani o lupi. Per cui, escono di casa, soprat-

tutto di notte, imitando in tutto e per tutto i lupi o i cani.

(E. Petoia, Vampiri e lupi mannari)



 

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UN CRISTO PERCIO’ VOGLIO OGGI RACCONTARE

 un cristo perciò voglio oggi raccontare

 

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caccia e pesca

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e la sua fine ricordare

Foto del blog:

un cristo percio’ voglio oggi raccontare

Libri, dialoghi…& blog…

frammenti in rima

i miei libri

 

un cristo perciò voglio oggi raccontare

 

 

 

 





….Il 5 maggio fui arrestato mentre insieme a Sacco si ritornava

da Brockton.

Dopo undici giorni di processo, fui dichiarato colpevole.

Il 16 agosto venivo condannato a 15 anni di galera per un delit-

to che non avevo commesso!

…Già allora comprendevo che le piaghe che più straziano l’-

umanità sono l’ignoranza e la degenerazione dei sentimenti

naturali.

La mia religione non aveva più bisogno di templi, altari e

preghiere formali.

Dio era per me Essere spirituale perfetto, spoglio da ogni attri-

buto umano. Nonostante mio padre mi dicesse sovente che la

religione non era necessaria per tenere a freno le passioni uma-

ne e consolare l’uomo tribolato, io sentivo la mia mente tra il sì

e il no.

In questo stato d’animo varcai l’oceano.

Arrivato qui provai tutte le sofferenze, le disillusioni e gli affan-

ni inevitabili per chi sbarca ventenne, ignaro della vita e dei suoi

inganni, ed un po’ sognatore.

Qui vidi tutte le brutture della vita; tutte le ingiustizie, la corru-

zione, il traviamento in cui si agita tragicamente l’umanità.

A onta di tutto riuscì a fortificarmi fisicamente e intellettualmen-

te. Qui studiai le opere di Pietro Kropotkin, di Gori, di Merlino,

di Malatesta, di Reclus. Lessi Il Capitale di Marx, i lavori di 

Leone, di Labriola, il Testamento politico di Carlo Pisacane, i

Doveri dell’uomo di Mazzini, e molte altre opere d’indole socia-

le. 

Qui lessi i libri d’ogni fazione, patriottici e religiosi, qui studiai

la Bibbia, la Vita di Gesù di Renana e il Gesù Cristo non è mai

esistito di Milesbo, qui lessi la storia greca e romana, le Crocia-

te, due commenti di storia universale, la storia degli Stati Uniti,

della rivoluzione francese e di quella italiana.

Studiai Darwin, Spencer, Laplace e Flammarion, ritornai sulla

Divina Commedia, sulla Gerusalemme liberata, singhiozzai con

Leopardi, lessi i lavori di Victor Hugo, di Leone Tolstoi, di Zola;

del Cantù; le poesie del Giusti, di Guerrini, di Rapisardi, e del 

Carducci.

Non credermi un’arca di scienza, lettore mio; il granchio sarebbe

madornale. La mia istruzione fondamentale fu troppo incomple-

ta, e la mia forma mentale non è sufficiente per sfruttare e assimi-

lare totalmente sì vasto materiale. E poi devi considerare che stu-

diai lavorando duramente, e senza comodità alcuna….

(B. Vanzetti, Non piangete la mia morte) 



 

 

 

un cristo perciò voglio oggi raccontare

 

ET INNUMERABILIBUS

Precedente capitolo:

de immenso

Prosegue in:

cioe’ dell’universo e dei mondi


 

et innumerabilubus

 







….L’efficiente è il padre; gli elementi i semi; subietto è lo spazio

celeste, il seno della madre onniparente. Proli di numero innu-

merevole, son visibili da ogni parte i corpi dei mondi: le terre

e i giri del sole.

Come dappertutto tu vedi riunioni di materia, di mondi in mas-

se che l’etere contiene con avido abbraccio, presentando da ogni

parte la medesima faccia.

 

et innumerabilubus


Come, quando dall’aria estiva cadono gocce sul campo infocato,

battuto dal lavoratore appulo e libico, dalla polvere arroventata

nasce di serpente la rana, pareggiando il numero delle gocce, on-

de puoi crederla, quando guardi il suolo, cader dalla regione del

cielo; così è una forza, nell’immenso spazio ed etere, che tutto

contiene, perché mondi si generino nel grande vuoto, ché da ogni

parte è la vita, l’atto dell’anima sorge da ogni parte, fattore che

modella su l’oggetto archetipo, e il formabile è a disposizione; di

qui sorgono il serpe, il pesce, il topo, la rana gracitante, di qui so-

no il cervo, la volpe, l’orso, il leone, il mulo e l’uomo. 

 

et innumerabilubus


Aggiungi anche: quando un cataclisma toglierà di mezzo

tutti questi, la madre natura produrrà perfetti animali sen-

za bisogno di coito.

Ché son multicolori le specie degli uomini, né la generazione

nera degli Etiopi, e quella fulva d’America, e quella che umi-

da vive acculta sotto gli antri di Nettuno, e i Pigmei che pas-

sano la vita in chiusi gioghi, cittadini delle vene della Terra,

e quelli che stanno custodi alla miniera, e meraviglie dell’-

Austro i Giganti, denotano una progenie simile, o indicano

le forze d’un solo primo parente progenitrici di tutti gli uo-

mini. 

 

et innumerabilubus


Qualsiasi isola, dunque, darà principio alle cose dapper-

tutto, sebbene non tutto quello che si forma si conservi

dappertutto; giacché la vittoria conserva specie diverse

in luoghi diversi.

Natura simile ha da ogni parte forze simili: indi, caso va-

rio succederà da indole varia. Quindi, come c’è distinzione

dello spazio, così la natura distribuisce i luoghi delle regio-

ni, così la materia è opportunamente pronta, e l’atto instan-

te, dappertutto; così niente riceve nuovo essere senza i due

progenitori.

E ciò che vedi farsi e serbarsi nel nostro orbe, solo con in-

sipienza potrai negare che esista identico nell’identica spe-

cie con aspetto moto, origine e disposizione non diversa, e

che lo stesso favore illumina, la stessa natura conserva,

perché non soltanto in questo nostro mondo si vedano abi-

tanti, e i rimanenti mondi siano invano dotati della mede-

sima forma: che cioè tanti mondi constano d’un immane

corpo di stella per esser numerati, belli, solamente da que-

sto mondo nostro. 

(G. Bruno, De Immenso et Innumerabilibus)




 

 

et innumerabilubus