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Vivevo in un piccolo bungalow di Culver City.
Era un posto, con una veranda posteriore che dava sui campi
da golf del California Country Club, ma io non riuscivo a ripo-
sarmi.
Il pensiero di essere così vicino agli ‘studios’ dai quali era stato
cacciato mi rendeva furioso.
Riuscii a resistere lì solo una settimana. Poi dissi all’infermiera
che volevo andare in Messico. Quando lei protestò, dicendo che
il dottor Martin le aveva ordinato di starmi vicino, le dissi di ve-
nire con me.
Fugii in Messico, ma non risolsi niente, come era ovvio.
Tutto ciò che successe là fu un altro matrimonio che ebbe una
pubblicità mondiale perché non era passato neanche un anno
da quanto la sentenza interlocutoria di divorzio della mia prima
moglie era diventata esecutiva. Quando questa arrivò, io stavo
sposandomi di nuovo a Venice.
Il mio secondo matrimonio non durò a lungo, ed è la cosa miglio-
re che mi ricordo al suo riguardo.
Durante questi due pessimi anni interpretai dei film in Messico,
Inghilterra e Francia. Nessuno di questi era neanche passabile
perché in quelle nazioni i produttori che mi contattarono non
avevano abbastanza soldi per finanziare una produzione de-
cente.
Ed erano passati i tempi in cui il pubblico andava a vedere i
film con povero materiale scenico, riprese scadenti e cattiva
produzione in genere.
Tra un filmaccio e l’altro continui a bere come una spugna.
Una volta mi portarono in ospedale in una camicia di forza, e
per due volte fui sottoposto alla cura Keeley, o un suo fac-simi-
le.
Descriverò brevemente questa cura, senza grande entusiasmo.
Comincia con tre giorni in cui le infermiere e i dottori non fan-
no altro che farti ingerire liquori, dandoti un bicchierino ogni
mezz’ora. Spero che gli alcolizzati che leggono queste righe non
saranno indotti in errore, e non si precipiteranno all’ospedale
più vicino per farsi offrire gratis tutti questi drink.
Ti danno il tuo liquore preferito, sì ma mai due volte di fila.
Cominciano con il whisky e continuano con gin, rum, birra,
vino, prima di ridarti il whisky.
Non c’è bisogno di aggiungere che il Bacco dentro di voi si ri-
volta e si ribella molto prima che la maratona di tre giorni di
bevute sia finita.
Quando preghi:
– Oh, no! Portatelo via per favore!
i baristi e le bariste in camice bianco ti fanno un sorriso amiche-
vole e basta.
– Per favore, lo porti via…,
ripeti,
– mi fa male lo stomaco.
– Ancora un altro,
dicono, perché il loro scopo e farti dolere lo stomaco così tanto
da rendere questa sofferenza indimenticabile.
E, poiché sei debole, bevi anche quel bicchiere come hai già fatto
mille volte in mille bar…
La cura Keeley può aver funzionato per certi alcolizzati, ma la
prima volta a me non fece niente.
I bicchierini passavano… e io li bevevo….
(Buster Keaton, Memorie a rotta di collo)