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Il più gran genio che vanti l’Italia, che riunì in sé solo tutto
lo scibile dell’età sua, corse il pericolo di cadere sotto l’In-
quisizione Romana, se per sciagura fosse in vita caduto sot-
to gli artigli del papato.
Fu l’ira del sacerdozio cotanto accanita contro di lui che il
cardinale del Poggetto giunto a Ravenna minacciò di far
disseppellire le spoglie mortali dell’Alighieri e porle sul ro-
go.
Dante fu accusato d’eresia, e crediamo più presto per ira
sacerdotale (e per causa di talune rime poco..gradite…).
Né mai nelle sue opere trapelò parola che desse indizio
d’esser egli infetto da eresia.
L’ira che sovente nutriva contro gli abusi che vigoreggia-
vano in quest’epoca nella corte di Roma epoca di generale
corruzione, imperciocché anche presso la corte dei princi-
pi succedevano scandali e delitti, fu la causa principale
della vendetta del cardinale.
Dante visse ramingo, recando ovunque amarissimo sdegno
contro coloro che l’avevano proscritto.
Ed il culto in cui tenni per tutta la vita questo sommo lumi-
nare non solo della poesia, ma della teologia, che gareggiare
può nella medesima con S. Tomaso d’Aquino, mi sforza a di-
re qualche cosa di lui, che mi fa ritornare agli anni della mia
giovinezza.
‘Di tutti i miseri m’incresce, ma ho maggior pietà di coloro in
quali in esilio affliggendosi rivedono solamente in sogno le pa-
trie loro’.
Così scivea Dante nel suo trattato della Volgare eloquenza:
Ciò nullameno eleggeva di starsi in perpetuo bando anziché torna-
re alla patria per vie convenienti solo ad uomini depressi e senza
fama. Erano a lui già proposte: che egli per certo spazio di tempo
si stesse prigione, indi in alcuna sollenità, tratto a pompa de’ ne-
mici con cero in mano e miteria in capo, fosse misericordievolmen-
te alla principale chiesa offerto.
Del preso decreto ebbe Dante contezza per buona persona,
cui risponde:
Questo è adunque il glorioso modo per cui Dante Alighieri si
richiama alla patria, dopo l’affanno di un esilio quasi trilustre?
Questo è il merito dell’innocenza mia, che tutti sanno?
E il largo sudore e le fatiche durate negli studi mi fruttano
questo?
Lungi da un uomo alla filosofia consacrato questa temeraria
bassezza, propria di un cuor di fango; e io a guisa di prigione
sostenga di vedermi offerto, come lo sosterrebbe qualche mise-
ro saputello o qualunque sa vivere senza fama.
Lungi da me banditore della rettitudine che io mi faccia tribu-
tario a quelli che m’offendono, come se elli avessero meritato
bene di me.
Non è questa la via per ritornare alla patria, o padre mio.
Ma se altra per voi o per altri si troverà che non tolga onore
a Dante né fama, ecco l’accetto, né i miei passi saranno lenti.
Se poi a Firenze non s’entra per una via d’onore, io non en-
trorovvi giammai.
E che?
Forse il sole e le stelle non si veggono da ogni terra?
E non potrò meditare sotto ogni plaga del cielo la dolce veri-
tà, s’io prima non mi faccio uomo senza gloria, anzi d’ignomi-
nia al mio popolo ed alla patria?