ERESIA E ORTODOSSIA (6)

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eresia e ortodossia 5

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Dialoghi con Pietro Autier &

Dialoghi con Pietro Autier 2




 



Nato attorno al 1100, Arnaldo aveva compiuto gli studi

probabilmente a Milano e a Bologna, e ricevuto gli ordini

minori nella città natale.

Si sa che si recò in Francia dove seguì le lezioni di Abelardo.

Questo grande filosofo e maestro esercitò una notevole in-

fluenza sull’allievo, ma non fu lui certamente a farne un

fautore della povertà volontaria.

Sembra invece che abbia operato in tal senso l’influenza

della pataria che contava fautori anche in Brescia. Ritor-

nato nella sua città nel 1129, Arnaldo ricevette gli ordini

maggiori e divenne superiore dei canonici regolari.

Si fece allora notare per la vita ascetica e si rese famoso co-

me predicatore: chiamava alla rinascita della vita apostoli-

ca e maturò ben presto la convinzione che la riforma della

chiesa doveva cominciare da quella del clero.


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Di qui le sue condanne della proprietà dei preti, della vita mon-

dana dei monaci e della conservazione, da parte dell’episcopato,

di diritti di regalia.

Di qui ancora concludeva che i benefici dovevano tornare ai lai-

ci che li avevano un tempo offerti al clero. Ma simili opinioni,

che riscuotevano il plauso del pubblico laico, non potevano tro-

vare un’accoglienza favorevole tra il clero. 

Inevitabilmente diveniva allora lo scontro con il vescovo della

città, che ebbe un epilogo a Roma. Nelle mani di papa Innocen-

zo II fu deposta un’accusa formale contro Arnaldo: vi si sotto-

lineava in particolare che le opinioni dell’accusato sull’ordine

e sul battesimo dei neonati potevano sollevare serie riserve.

Era senza dubbio un tentativo di ricollegare le posizioni di Ar-

naldo alla dottrina condannata da Pietro di Bruys e degli enri-

ciani, e di pregiudicarne quindi l’esito di fronte al tribunale

pontificio.

Ma queste accuse non dovevano avere alcun fondamento, per-

ché non abbiamo la minima prova che a Roma siano state pre-

se in considerazione.

Reali furono invece gli attacchi di Arnaldo alla ricchezza del

clero. Osservando il fasto che regnava nei palazzi dei cardinali,

non esitò a condannarlo in presenza del papa: fu perciò subito

accusato di eresia al concilio laterano del 1139.

Malgrado l’assenza di prove a suo carico, il papa vietò ad


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Arnaldo di proseguire nell’attivita di predicatore e lo bandì

dall’Italia. Costretto a lasciare la patria, Arnaldo si recò in

Francia, dal maestro Abelardo, proprio nel momento in qui

quest’ultimo, già violentemente attaccato da Bernardo di

Clairvaux, riceveva il biasimo dell’episcopato francese per

le sue dichiarazioni pubbliche. Istigato da Bernardo, il papa

Innocenzo II intervenne nella disputa e condannò la dottri-

na di Abelardo, ordinando che il maestro e il fedele discepo-

lo Arnaldo fossero rinchiusi in convento.

Abelardo pensava di appellarsi a Roma, ma durante il viag-

gio si lasciò rinchiudere a Cluny mentre Arnaldo, contro il

quale si erano appuntati gli attacchi di Bernardo, continua a

insegnare a Parigi. Ma alla fine dovette rifugiarsi nell’impero,

dove trovò protezione dal vescovo di Costanza, ben disposto

nei suoi confronti.

Ma anche lì lo raggiunse l’accanimento di Bernardo.

In una lettera al vescovo di Costanza, l’abate di Clairvaux

scriveva: ‘Parlo di Arnaldo da Brescia. Si distinguesse per la

purezza della sua dottrina come per la severità della vita….!

Infine, ha spinto con tutti i mezzi la popolazione del suo pae-

se natale a una tremenda rivolta…

Maledetto dal papa, si è legato ad Abelardo e e ancor più ar-

dentemente dello stesso maestro, difensore accanito di tutta

la sua dottrina, errata e condannata…., fidando nella forza

delle armi, si leva apertamente contro il clero, contro i vesco-

vi stessi, e infrange con furore tutto l’ordine della chiesa’.




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ERESIA E ORTODOSSIA (5)

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eresia e ortodossia 4

Prosegue in:

Dialoghi con Pietro Autier &

Dialoghi con Pietro Autier 2







La maggior parte degli atti inquisitoriali giunti sino a noi non

riguardano gli eretici consolati, bensì i credentes: e tutto lascia

pensare che questi simpatizzanti per l’eresia, di gran lunga più

numerosi degli eretici in realtà comparissero anche più frequen-

temente dinanzi al giudice della fede.

Essi costituivano la larga frangia e la forza sociale dell’eresia, a-

derivano ai perfetti, prestavano loro ossequio e assistenza s’im-

pegnavano a ricevere il consolamentum in punto di morte, e nel

frattempo ascoltavano la predicazione dei perfetti, partecipava-

no ai riti della frazione del pane e alla recita comunitaria del

Pater noster.


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Dal momento che l’inquisizione trattava i credentes alla stregua

degli eretici, è il caso di domandarci in che cosa poteva consiste-

re la loro eresia.

Infatti, non solo agli estranei, ma anche ai simpatizzanti o creden-

tes non ancora iniziati mediante il consolamentum, veniva tenuta

gelosamente nascosta la dottrina dualistica che era alla base del

catarismo.

A volte non ne venivano messi al corrente neppure gli eretici

consolati. Così, Pietro, uno degli eretici che fecero l’abiura in

Perugia, si sentì in obbligo di specificare che molti articoli nel-

l’atto di abiura egli non li aveva mai ascoltati per l’innanzi.

Bonpietro, finito sul rogo a Bologna sullo scorcio del Duecen-

to, dichiarò che per lui le astruserie del credo cataro erano ri-

maste impenetrabili.

Ordinariamente gli eretici, nella loro predicazione propagan-

distica, si limitavano a ingerire nell’animo dei credentes dubbi

circa la presenza reale di Cristo nell’eucarestia, magari insi-

stendo sulla impossibilità che sacerdoti indegni potessero com-

piere sì grande mistero e, molto più frequentemente, impugna-

vano la liceità del matrimonio, del giuramento e della pena di

morte inflitta ai delinquenti.

In alcuni casi, l’imputabilità di certi credentes diventa addirit-

tura problematica, non solo per la mancata informazione o per

la loro incapacità di comprendere le astruse dottrine che costi-

tuivano il fondo della eresia, soprattutto catara, ma anche per

la impossibilità di un consenso consapevole a motivo della gio-

vane età degli imputati.

Così, nel 1289, Giovanni Perini si accusava davanti all’inquisito-

re Francescano Bartolomeo da Siena che, 25 anni prima, essendo

appena tornato da un viaggio ed avendo reso ‘omaggio’ ai Perfet-

ti’, come un’altra fiorentina, Giovanna, moglie di Marito di Cere-

to, confessa anch’ella di aver simpatizzato per l’eresia, mentr’era

ancor fanciulla, nel 1285, Bonaventura di S. Giorgio di Verona ri-

ferisce che Armanno Pungilupo il famigerato eretico ferrarese ve-

nerato come santo subito dopo la morte, l’aveva indotto a fare

reverentia a un eretico, e conclude: ‘Quod et feci, nesciens quid

facerem’.

Bonaventura non è detto ‘credente’, né dagli atti processuali

risulta che gli fosse imposta l’abiura; ma la cosa non andò così

liscia a Benamata, moglie di Benvenuto Pepi, la quale, nonostan-

te affermasse di aver creduto agli eretici soltanto a fior di labbra

e non col cuore, fu condannata come eretica.

L’unico caso in cui un credente potesse essere pienamente pro-

sciolto per i contatti e gli impegni presi con gli eretici, era l’infer-

mità mentale: ma questa bisognava provarla.

In questi e in altri casi che si potrebbero addurre, è superfluo ri-

levare che l’inquisizione perseguiva come eretico anche chi non

aveva un’adeguata conoscenza dei contenuti dottrinali dell’ere-

sia, chi era incapace di intenderli e persino chi non aveva alcuna

intenzione di aderirvi interiormente.

Come si vede, gli atti dell’inquisizione forniscono dati per una

valutazione di quella che era, o non era, l’eresia sia dal punto di

vista oggettivo (contenuti del credo ereticale) sia da quello sog-

gettivo (adeguata conoscenza ed ostinata adesione al medesimo

credo).

A proposito di quest’ultimo aspetto, dagli atti emergono dati che

permettono di avviare un discorso circa la consapevolezza, o me-

no, che alcuni eretici avevano riguardo alla propria identità.

Alludiamo alla questione della buona fede ossia all’invincibile

convinzione di essere nella verità: un elemento, questo, che non

ha alcun peso sul giudizio del giudice della fede, ma che, credo,

era determinante per chi, per la propria fede eterodossa, non te-

meva di affrontare una morte atroce.

(……)




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ERESIA E ORTODOSSIA (4)

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eresia e ortodossia 3

Prosegue in:

Dialoghi con Pietro Autier 2 &

Dialoghi con Pietro Autier



 






La storia degli Umiliati ci richiama Valdo e i Valdesi.
 
Compaiono insieme o poco prima di questi. Si vedono o

intravedono, su la metà del XII secolo, a Milano che è il

gran centro del Cristianesimo, diciamo così,irregolare di

questo tempo, ed altre città di Lombardia, nuclei di laici

raccolti a vita comune ed operosa, volti a preghiere ed

orazioni.
 
Sono in gran parte poveri e predicano povertà avangelica.
 
Sono uomini atti al lavoro e donne, vergini o maritate, che

servono i fratelli

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‘come nella Chiesa degli Apostoli’. Hanno in viso qualche

segno di catarismo e patarinismo o arnaldismo e accolgono

certi elementi dottrinali sospetti ad esempio, rifiuto del giu-

ramento nei tribunali, particolarmente aborrimento della

menzogna, stretto obbligo di lavorare, vuoi per procurarsi

sussistenza, vuoi per combatter le tentazioni della carne e a-

ver i mezzi per le elemosine.  

Poiché, ‘nessuna elemosina è più preziosa di quella che si fa

coi frutti del proprio lavoro’, come scrive riferendosi agli u-

miliati uno scrittore di poco posteriore.
 
E’ molto probabile che i più vengano dai bassi ceti, siano tes-

sitori e lavoratori di lana, poiché al lavoro della lana, appun-

to, sono intenti questi gruppi di cristiani, poveri, presi quasi

da ‘ebrezza e fervore di spirito’, come di essi fra poco dirà

Giacomo di Vitry. Raccogliersi e lavorare in un regime quasi 

monacale è per essi, fra l’altro, un modo di sottrarsi alla semi-

servitù del loro stato.

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Il solito spirito di proselitismo li anima.
 
Naturalmente, si considerano veri fedeli e cattolici. E chie-

dono da papa Alessandro III conferma della loro vita comune.
 
Ma qualche loro atteggiamento non deve parere rassicurante,

se si proibisce ad essi di far ‘convenicula’, e gli si nega di poter

predicare in pubblico.
 
La Chiesa non vuol più sapere di questi laici che si impanca-

no maestri e sacerdoti, e vuol tirare una ben netta linea di

divisione fra secolari ed ecclesiastici.

Ma ai Valdesi che avevano fatto la stessa domanda, la licen-

za di predicare era stata concessa, sia pur sotto certe condi-

zioni cui essi poi non ottemperano.
 
Alla proibizione, tutti o molti o parte degli Umiliati disub-

bidiscono. Si mettono così per una china pericolosa: la chi-

na stessa dei Valdesi.
 
I germi di dottrine non ortodosse fermentano in mezzo a loro.
 
Documenti del tempo li identificano con i Patarini.
 
Gli anatemi imperiali e papali del Concilio di Verona del

1184 e, poi, le scomuniche di Vescovi e pastori locali si ab-

battono su ‘Umiliati’, come su Catari e Arnaldisti e Valdesi.
 
I quali ultimi hanno intanto cominciato a battere la Lombar-

dia. Fra essi e gli Umiliati si verificano contatti e influenze

reciproche che noi intravediamo oscuratamente; come intra-

vediamo il diffondersi degli Umiliati, il bussar alla loro por-

ta di persone di condizione più elevata, anche di chierici se-

colari.
 
Ma l’entrata di questi nuovi elementi e insieme la condanna

di Verona, i contatti con i Valdesi, le necessità pratiche della

vita in comune e del lavoro in comune, in proprie case, il pro-

sperare dell’azienda rurale e artigianale determiano il formar-

si e cozzare di diverse e contrarie tendenze entro le congrega-

zioni degli Umiliati.
 
Vi è chi tende a sinistra.
 
Vi è chi tende a destra.
 
Romperla con Roma o accostarsi e saldarsi alla Chiesa roma-

na?
 
E’ il bivio che si presenta ad una quantità di spiriti, ora, in

mezzo al laicato. L’aut aut di Roma rispecchia questo stato di

coscienza religiosa, giunta al momento delle decisioni supre-

me.
 
Del resto tutta la società medievale o, meglio, tutti gli elemen-

ti nuovi che in essa sono maturati ed affiorati tendono adesso,

fra il XII e XIV sec., a definirsi, a trovar loro proprie forme di

vita, ad organizzarsi in determinati istituti. Così, fra gli Umi-

liati vi son di quelli che, legati più strettamente alle tradizio-

ni catare e arnaldiste e, ora, al nuovo verbo valdese, si metto-

no nettamente fuori della ortodossia, e vanno ad arricchire la va-

ria famiglia degli eretici.
 
Sono, probabilmente i Poveri di Lombardia, figlioli un po’

di tutti i vari moti precedenti, che appunto fra il XII e XIII

secolo cominciano ad apparire.
 
Gli altri invece, e probabilmente i più, pendono dalla parte

opposta, prestano la loro servile e secolare obbedienza ai

Vescovi e fanno esplicita dichiarazione di ortodossia, sono per-

meabili all’azione della Chiesa di Roma, che consapevolmen-

te mira ad accelerare, nel senso ortodosso, questo processo
 
di chiarificazione e definizione della torbida religiosità dei

gruppi laici.




 
 
 
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ERESIA E ORTODOSSIA (3)

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gli eterodossi 2

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Dialoghi con Pietro Autier &

Dialoghi con Pietro Autier 2

Da:

i miei libri





 


Tutto questo trovavano sulla loro via, nei secoli XII e XIII quanti

erano agitati da un sentimento nuovo e fresco di religiosità e ac-

carezzavano il sogno di una vita evangelica e di una Chiesa pri-

mitiva da restaurare


(permettetemi l’amaro commento ironico: il passato è specchio del

presente, e bussola del futuro, perciò come precedentemente detto,

tutto questo troviamo sulla difficile via di ogni riformatore, e non

solo credente oserei dire; l’esigenza di principi diversi e più con-

soni hanno sempre imperversato in taluni animi e di rimando la

risposta di ogni società o civiltà detta civile è dettata secondo

ugual schemi comportamentali.

Da questo profilo, che non è solo religioso, e non appartiene solo

all’esigenza o necessità religiosa, possiamo dedurre altre ed illu-

minanti idee circa il carattere cosiddetto umano. Ciò che fa par-

te più propriamente della particolare natura umana. Ed anche

questo, ergo, è un alto principio di eresia.

Forse il principio di ogni eresia…).


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Che contrasto e che urto violento, fra questo mondo ideale ed

il mondo della realtà; che crisi interne, silenziose o violente,

negli uomini di vita interiore più profonda, o più primitivi ed

impulsivi, più malati d’ascesi o più doloranti fra le miserie di

tutti i giorni, più pessimisti ed ottimisti per il passato e l’avve-

nire!

E allora, la vaga intuizione ed aspirazione di quella Chiesa pri-

mitiva dalle linee semplici, vicina ai fedeli, viva in essi e per es-

si, diventava lo sforzo consapevole di tornare all’antico; all’a-

zione positiva di rinnovamento interno si aggiungeva la rea-

zione contro il presente e contro la tradizione più vicina della

Chiesa.


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Il punto di partenza di molte agitazioni che poi diventano eresie

è qui!

Eresie per la Chiesa romana, naturalmente; ché i loro seguaci si

ritengono cristiani e veri fedeli, i soli veri fedeli; anzi, sono tanto

persuasi di rappresentare la vera fede e la vera Chiesa, che gli

Inquisitori considerano questa presunzione come indice sicuro

di eresia.

L’essenziale di quanto essi chiedono si compendia in una ‘Chie-

sa secondo il Vangelo’; la loro negazione prima e maggiore è la

Chiesa come esiste.

Il moto valdese, il più ampio certamente e il più fecondo, dimo-

stra chiaramente l’efficacia di tutte queste forze positive e ne-

gative nel determinare il distacco dall’ortodossia cattolica.

Pietro Valdo, dapprima mercante, largisce poi tutto ai suoi

poveri. Appassionato della Bibbia – lettore o ascoltatore non

sappiamo – ne fa tradurre in volgare alcuni libri da due eccle-

siastici.

Esso e i suoi amici, ‘semplici laici infiammati di spirito…, si van-

tano di voler vivere secondo la dottrina evangelica ed osservar-

la alla lettera come gli Apostoli…, e si dicono veri e soli imitato-

ri di Cristo’.

Datisi a predicare, esaltano la povertà evangelica ed attaccano i

chierici ‘che nuotano nell’abbondanza e nelle delizie’ (ciò che av-

viene a tutt’oggi, basti guardare, con la sola scusa di guidare il popolo

inteso come ‘gregge di fedeli’, la politica adottata di volta in volta dal-

la riconosciuta ‘Chiesa cattolica romana’, la quale non disdegna e sem-

bra non disdegnata, eccetto quando fa notizia con i suoi innumerevoli

scandali bancari e non solo, dai cortigiani di corte e quelli che aspirano

alla ricca corte, offrendo il suo potere prestato alla privilegiata casta e 

causa politica.

I poveri, i diseredati, gli emarginati, gli umiliati, e molti altri, sono

esclusi dalle chiese quanto dai ‘loft degli imbecilli’, o dalle ricche case

di potenti feudatari…come la storia ci insegna…).


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Si potrebbe credere che ripetessero la dottrina solita che negava

valore ai sacramenti dei cattivi sacerdoti, ormai avverstata dalla

Chiesa, sebbene non ancora definitivamente condannata da Lucio

III e dal Concilio lateranense IV; ma non è sicuro, perché i Valdesi

di Francia non pare che poi la professassero, a differenza di altre

loro propaggini sviluppatesi in Italia, in Germania ed in Boemia.

Dunque, ortodossia piena, almeno nel senso antico della parola.

Ma si riscaldano troppo; e troppo liberamente, essi laici e per la

più parte ‘idioti o illeterati’, esercitano sulle piazze e nelle case

la predicazione e commentano la Bibbia e presumono ‘usurpare

l’ufficio degli Apostoli!’.

Son richiamati al dovere ed al silenzio dall’arcivescovo Giovan-

ni di Lione, ma essi pensano e dicono che i chierici li avversano

per invidia, perché il loro insegnamento ottiene più favore di

popolo, e rispondono come Pietro al Principe dei Sacerdoti:

doversi obbedire prima a Dio che agli uomini; a Dio che ordi-

nò agli Apostoli di annunziare il Vangelo tra le creature.

La storia degli Umiliati ci richiama a Valdo e i Valdesi.

(…..)



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GLI ETERODOSSI (2)

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eresia e ortodossia

Prosegue in:

Dialoghi con Pietro Autier &

Dialoghi con Pietro Autier 2

 

 


 




Oggetto primo della inquisitio del giudice della fede è, anche in Italia,

il catarismo, che nel Duecento è l’haeresis per antonomasia: infatti, negli

atti inquisitoriali, i catari son detti correntemente haeretici senza altra

specificazione.


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Ma qui c’è da tener presente che, se sono relativamente numerosi i perfetti

catari, ossia coloro che erano stati ereticati mediante il consalamentum, il

cui nome ricorre negli atti dell’inquisizione, è invece estremamente esiguo

il numero delle sentenze e, più ancora, degli atti processuali istruiti contro

di essi e giunti sino a noi.

E’ nondimeno provato che il giudice della fede – seguendo la procedura

fissata nei manuali dell’ufficio – cercava anzitutto di conoscere il contenu-

to della loro fede (come avviene ancora, con atti preventivi, di censura e

controllo: siamo profondamente debitori di questa linea di pensiero, ‘inve-

stitura regale’ ereditata dal nostro passato non remoto, ed infatti ancor og-

gi i suoi echi mal si tollerano in ogni ambito della cultura, sia essa di de-

stra laica o cattolica; ne tratto nel mio libro Dialoghi con Pietro Autier.

La cultura non è esente da questa odiosa pratica, anche quando convinta

di essere nella ragione, o di godere dei principi della democrazia, nelle sue

cantine e soffitte, in realtà, si celano e celebrano ben altri processi), affin di

stabilire, se si trattava o no, di eresia.

Cito il caso di due catari fiorentini, Andrea e Pietro, catturati nel 1229 dall’-

abate Quirico di S. Miniato al Monte e condotti a Perugia, dove nella chiesa

di Monteluce, alla presenza di Gregorio IX, fecero una dettagliata abiura dei

loro errori, dai quali risulta, chiarissima, la loro appartenenza al catarismo

dualistico…..


(per i pochi e volenterosi lettori e cultori di storia e non solo, una

precisazione in disaccordo con l’autore del presente e raro volume,

la prassi dell’abiura è un procedimento con cui si raggiunge e si

prefigge il fine, con ciò si prende atto, e lo farò in seguito riportan-

do e citando altri documenti, che l’allora società medievale, su cui

si poggia per altro, oltre il nostro ordinamento giuridico anche l’-

intera eredità culturale, evitava sì il rogo, ma con la chiara premes-

sa della confisca dei beni. Ciò, tradotto in parole povere, significa-

va un’efficacissima arma in favore del potere del Vaticano, o meglio

della Chiesa, che con l’esercizio delle proprie leggi, di fatto, priva-

va il malcapitato del diritto di appartenere alla medesima società 

al pari degli altri cittadini detti ‘cristiani’, consegnandolo ad un e-

silio forzato dallo stato, regione o provincia di cittadinanaza, ‘pri-

vando’ lui quanto altri, più o meno facoltosi eretici, di poter oltre

che godere dei propri diritti ‘confiscati’ per legge, anche delle pro-

prietà, siano esse un semplice orto, siano esse più consistenti posse-

dimenti – bastava troppo poco per scendere nei sotterranei culturali

della santa Inquisizione – con essi, quindi, il lavoro, la famiglia, ed

i già citati pochi o tanti averi.

La verità più consona va cercata oltre che sui libri di storia anche

negli archivi catastali dell’epoca, ancor oggi consultabili, dove è

possibile riscontrare il patrimonio acquisito da taluni prelati e con

loro i feudatari protettori.

Pratica ancor oggi in uso, la politica ed il suo regime ha ereditato,

dalla ‘sinistra’ alla ‘destra’ là dove estende le sue pretese, questa

facoltà di creare ricchezza o al contrario… povertà! e con essa si

sottintende anche la propria dignità simmetrica al proprio dirit-

to…alla vita.).


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La presenza del dualismo assoluto in Orvieto è denunziata dalla confes-

sione del pellicciaio Stradigotto da Siena, che nel corso della inquisitio ge-

neralis degli anni 1268/69 riferì il contenuto delle prediche ascoltate dal-

la bocca degli eretici.

Da esso non differisce la dottrina di cui, in una pubblica contio, con la im-

mediatezza di un comiziante, si fa banditore di un contraddittorio con l’-

inquisitore, un anonimo eretico della Campagna, il cui ricordo ci è giunto

attraverso un exemplum.


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Gli errori invece che, verso il 1250, un eretico fiorentino confessa dinanzi 

all’inquisitore domenicale Ruggero Calcagni, riflettono alcuni aspetti dot-

trinali più concreti del catarismo e non v’è in essi alcun accenno al duali-

smo assoluto.

A volte attraverso l’inchiesta, l’inquisitore accerta persino l’appartenenza

dell’imputato a una data chiesa catara, come nel caso di quell’Albertino con-

vocato dall’inquisitore a Ferrara nel 1273, il quale era stato haereticus sectae

de Bagnolo, mentre dallo stesso processo risulta anche il famoso Armanno

Pungilupo, prima di approdare al catarismo.

Contrariamente a quanto a prima vista può sembrare, l’attenzione dell’in-

quisitore, in questi interrogatori, non era rivolta ad accertare e, meno anco-

ra, ad approfondire la natura dell’eresia o il grado di colpevolezza sogget-

tiva dell’imputato.


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A lui interessava soprattutto la natura dei suoi beni, e di conseguenza ve-

rificare, in base a dati esteriori, quali l’ascolto di prediche, la pubblica pro-

fessione di dottrine, atti cultuali e ‘culturali’ e contatti ritenuti ‘sospetti’, se

v’era stata una manifesta adesione all’eresia, e di entrare in possesso del

maggior numero possibile di elementi atti a metterlo sulle tracce di altri e-

ventuali eretici o di loro aderenti.

Insomma, l’inquisitore è un giudice (di chiesa), non un confessore e nep-

pure un teologo. Oggetto del suo intervento è il foro esterno.

Qualche volta, prima ancora che l’inquisitore si mettesse sulle tracce de-

gli infamati di eresia, questi venivano colpiti da gravi pene. Capita così 

con i 67 imputati, probabilmente credenti , che nel 1269 si erano rifugiati

nel regno di ……….  e contro i quali, insieme al mandato di cattura, viene

ordinato l’immediato sequestro dei beni (come già detto..).

(……..)


 

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ERESIA E ORTODOSSIA

Prosegue in:

Dialoghi con Pietro Autier &

Dialoghi con Pietro Autier 2


 

eresia e ortodossia: una chiave di lettura





 


La determinazione storica si presenta ancora e soltanto come

transuente, materia di un’analisi sociologica, nella misura in

cui l’eresia, nella sua dimensione sociale, è rottura della

comunità di fede fondata sul consensus.

Laddove per ‘uno‘, l’eresia è innanzitutto esplicitazione di un

fondamentale dualismo della concezione cristiana, ed è, e ri-

mane, un problema squisitamente religioso, se non addirittura

teologico; per l’altro il cammino dell’eresia diviene l’applicazio-

ne, lungo i secoli del precetto evangelico, la riappropriazione

della parola originaria aldilà dei condizionamenti, delle medi-

azioni e delle contraddizioni che lo sviluppo e l’assetto della

società le impongono.

Se per ‘uno’ l’ortodossia stessa è una realtà in fieri, a cui il pen-

siero eterodosso è stimulus teologico; per l‘altro il rapporto è

tra gli eretici e la chiesa in quanto istituzione: è un rapporto su-

bordinato alle condizioni politiche e sociali, articolato alle vi-

cende del momento storico determinato.

Individuare il rapporto tra ortodossia ed eterodossia-eresia come

non storicamente definito, ma come frutto di un processo che

investe immediatamente il costituirsi della chiesa lungo i seco-

li, fino al passaggio del pauperismo evangelico all’ambito eretica-

le.

Ma allora nella misura in cui il contenuto dottrinale dell’eresia

è indicato come sostanzialmente ortodosso – o, almeno, di per sé

accettabile dalla chiesa – emerge con particolare vivezza un al-

tro elemento che le ricerche di nascita dell’eresia tendono a pre-

sentare in maniera tendezialmente subalterna: la questione del-

la pertinacia.

Dove questa non è l’assunzione totalizzante di una verità par-

ziale, né tanto meno l’atto individuale di insofferenza e rottura

nei confronti delle strutture, sociali religiose culturali, quanto

piuttosto il momento in cui la dottrina consuma un’impossibili-

tà di composizione nella realtà degli uomini, delle loro vicende

e delle loro rappresentazioni.

L’eresia può diventare, all’occhio dello storico, lo spiraglio attra-

verso il quale egli viene messo in grado di cogliere le forme e gli

aspetti…della società medievale e non, e proprio di quegli strati

che meno hanno possibilità, anche per la loro incapacità d’espri-

mersi, di far conoscere le proprie esigenze, i disagi, le fratture

che li lacerano o li turbano.

Concludendo.

Perché la chiesa per secoli ha posto barriere culturali e non, in

ambito di medesimi stili di vita, ad esempio tra gli adepti della

povertà volontaria durante il medioevo, trattandoli in maniera

così diversa, condannando gli uni come eretici, canonizzando

gli altri, dopo averli circonfusi di un alone di santità?

La relatività del concetto di eresie vi ha incontestabilmente

giocato un ruolo preminente.

Un’ideologia era infatti ritenuta eterodossa non tanto in funzio-

ne della sua sostanza, quanto piuttosto dell’epoca e delle circo-

stanze in cui propugnata. In certe condizioni, attirava la folgo-

re sul capo dei suoi fautori; in altre, non provocava la benché

minima reazione.

Questa tesi è del tutto confermata dalla storia del movimento

pauperistico. Perché la chiesa non ha mai condannato il precet-

to evangelico, ad esempio, della povertà volontaria. Anzi è

sempre stata benevola verso coloro che la professavano, ma so-

lo quando l’applicavano individualmente, senza farne oggetto

di propoganda tra le masse.

Ne è la miglior prova la canonizzazione di un gran numero di

eremiti. Ma il problema cambiava aspetto dal momento in cui

questi principi cominciavano a essere diffusi tra i fedeli. Allora

il precetto della povertà volontaria cessava di essere la questio-

ne personale di uno o di un altro individuo, per divenire un

problema sociale che poteva assumere implicazioni politiche. 

Questa semplice osservazione ci consente di comprendere qua-

li fossero i criteri che guidavano il papato allorché giudicava

ortodosse alcune opinioni e invece eretiche altre, di contenuto

quasi identico….

Il più essenziale di tutti i criteri era senza dubbio quello dell’-

obbedienza verso le autorità ecclesiastiche, questa, e non la so-

stanza delle idee professate decideva – almeno per un primo

periodo – l’atteggiamento del papato nei confronti dei diffuso-

ri di novità. Di solito quindi un’incondizionata sottomissione

a Roma consentiva agli innovatori di restare fedeli all’ideolo-

gia professata, senza entrare in conflitto con la chiesa.

Al contrario, ogni rifiuto di obbedienza determinava invece la

condanna delle idee sostenute dal ribelle, proclamate quindi

eretiche

Così, la frontiera tra ortodossia ed eresia era fluttuante.

Nel periodo di formazione di ciascuna di queste ideologie, era

possibile passare dal gruppo condannato a quello tollerato dal-

la chiesa. Per questo sarebbe difficile parlare a rigor di termini

di nascita di un’eresia. Ognuna si è formata lentamente e il pro-

cesso di definizione dottrinale è stato spesso assai lungo.

Il momento cruciale, nella storia di ogni eresia, si aveva quando

i suoi fautori rifiutavano ogni obbedienza alle autorità ecclesia-

stiche.

Allora l’eresia, tagliata dal tronco dottrinale della chiesa di Roma,

cominciava a creare una propria dottrina, che solo in parte era il

frutto di ricerche originali dei capi della tendenza condannata. 

Lo studio di queste stratificazioni e delle loro connessioni è ogget-

to di ricerca per lo storico delle ideologie

(Tadeusz Manteuffel, nascita dell’eresia





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UNA CONVERSAZIONE

Precedente capitolo:

storia di un Eretico

Prosegue in:

storia delle nostre fognature (3)

forse ciò che ci governa è solo una rosa


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….Non sai nemmeno che esiste…

Adesso scendiamo sul bacino di mare e diamo un’occhiata ai

ciliegi in fiore.

– Davvero?,

disse lui.

Gli sembrava troppo presto. Non era la stagione adatta.

– Sono in fiore,

disse Zina, e puntò l’eliauto verso il centro della città.

– Nel tuo mondo è primavera,

disse lui.

Ora capiva.


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Vedeva foglie e germogli sotto di loro. E grandi distese di verde.

– Abbassa il finestrino,

disse lei.

– Non fa freddo.

Lui disse:

– Il caldo nel Giardino dell’Eden…

– Un caldo secco, terribile,

disse lei.

– Capace di bruciare il mondo e trasformarlo in deserto. Tu hai sempre

avuto un debole per le terre aride.

– Stammi a sentire, Jahvè.

– Ti mostrerò cose di cui non sai nulla.


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“Tu sei passato dal deserto a un paesaggio ghiacciato.

Cristalli di metano con qualche cupola qua e là, e indigeni stupidi.

Tu non sai nulla!”

I suoi occhi si infiammarono.

“Ti nascondi nei terreni più impervi e prometti alla tua gente un

rifugio che non troverà mai.

Tutte le tue promesse andate a vuoto.

…Ed è un bene, perché ciò che hai maggiormente promesso agli

uomini è che li maledirai e li affliggerai e li distruggerai.

Adesso chiudi il becco.

Sono giunti il mio regno e il mio tempo.

Questo è il mio mondo, ed è primavera, e l’aria non fa rinsecchire

le piante, e non ci riuscirai nemmeno tu.

Qui nel mio regno non farai male a nessuno.

E’ chiaro?”.

Lui disse:

– Chi sei?

Ridendo lei disse:

– Il mio nome è Zina. Fata.

– Credo….

Emmanuel era confuso.

– Tu….

– Jahvè,

disse la donna,

– non sai chi sono e non sai dove ti trovi. E’ la Federazione Segreta?

O sei stato ingannato?

– Tu mi hai ingannato,

disse lui.


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– Io sono la tua guida,

disse Zina.

– Come dice lo Sepher Yezirah:

– Comprendete questa grande saggezza, capite questa grande conoscenza,

sondatela e meditatela, rendetela evidente, e riportate il Creatore sul Suo

trono.

– E questo,

terminò,

– è ciò che farò.

– Però attraverso una strada che tu non immagini. E’ una strada che non

conosci. Dovrai fidarti della tua guida come Dante si è fidato della sua,

su e giù per i regni.

Lui disse:

– Tu sei l’Avversario.

– Sì,

disse Zina.

– Lo sono.

…Chiudendo a chiave l’eliauto, lei disse:

– Guarda la gente.

Lui si guardò attorno. E non vide nessuno. Gli alberi, carichi di fiori,

delimitavano il bacino in un grande semicerchio. Ma nonostante le

auto parcheggiate, non c’era traccia di persone.


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– Allora è un imbroglio,

disse lui.

” Sei qui, Jahvè, perché io possa rimandare il tuo giorno grande e

terribile. Non voglio vedere il mondo bruciato. Voglio che tu veda

quello che non vedi. Ci siamo soltanto noi due, siamo soli. Ti dispi-

egherò gradualmente il mio regno, e quando avrò terminato tu to-

glierai al mondo la tua maledizione.

Sono anni che ti osservo, ormai. Ho visto il tuo disprezzo per la

razza umana, la tua convinzione della sua inutilità.

Io ti dico che non è inutile, che non è indegna di vivere, per usare

una di quelle tue frasi pompose.

Il mondo è bello e io sono bella e i fiori di ciliegio sono belli.

L’impiegato robot della banca….E’ bello anche quello.

Il potere di Belial è semplice occlusione, è la capacità di nasconde-

re il vero mondo, e se tu attacchi il vero mondo, se è per questo che

sei tornato sulla Terra, distruggerai bellezza e dolcezza e fascino.

Ricordi il cane schiacciato in agonia sul ciglio della strada?

Ricorda cosa hai provato per lui; ricorda cosa hai intuito sul suo

conto. Ricorda l’epitaffio che Elias ha composto per quel cane e

per la morte di quel cane.

Ricorda la dignità del cane, e ricorda anche che il cane era inno-

cente.

La sua morte è stata voluta da una necessità crudele.

Una necessità crudele e sbagliata.

Il cane….”.

– Lo so,

disse lui.

– Sai cosa?

– Che il cane ha subito un trattamento sbagliato?

– Che è nato per soffrire un dolore ingiusto?

– Non è stato Belial a uccidere il cane.

– Sei stato tu, Jahvè, il Signore degli Eserciti.

– Belial non ha portato la morte al mondo perché c’è sempre stata

morte.

– La morte è apparsa un miliardo di anni fa su questo pianeta, e ciò

che è stato del cane è il destino di ogni essere che hai creato……

(P. K. Dick, Divina Invasione)




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DIALOGHI

Prosegue in:

Dialoghi con Pietro Autier &

Dialoghi con Pietro Autier 2

 

 

dialoghi (3)

 






– Lei dice che anche la medicina non serve.

– Sì. Serve solo per lo studio delle malattie, come manifesta-

zione della natura, non per la loro cura.

Non è la malattia che va curata, ma la sua causa.

Eliminate la causa principale, il lavoro fisico, e non ci saran-

no più malattie.

Non accetto la scienza che cerca solo rimedi,

 dissi eccitato.

Scienze e arti, se sono autentiche, tendono non al transitorio e

al particolare, ma all’eterno e all’universale, cercano la verità,

il senso della vita, cercano Dio, ma quando le si utilizza per le

necessità quotidiane, per gli ambulatori o le biblioteche distret-

tuali, complicano, intralciano la vita.

Abbiamo molti medici, farmacisti, giuristi, molta gente che

sa leggere e scrivere, ma ben pochi biologi, matematici, filoso-

fi, poeti.

Tutta l’intelligenza, tutte le energie spirituali vengono spese

per la soddisfazione di bisogni effimeri, contingenti. Grazie all’-

intenso lavoro di scienziati, scrittori, artisti, le condizioni di vi-

ta migliorano di giorno in giorno, le comodità si moltiplicano,

ma siamo molto lontani dalla verità, l’uomo come prima rima-

ne l’animale più rapace e depravato, e tutta l’umanità sta per

lo più andando nella perdita di ogni valore spirituale.

In queste condizioni l’esistenza di un artista non ha senso:

quanto maggiore è il suo talento, tanto più strano, incompren-

sibile il suo ruolo, dato che, alla prova dei fatti, finisce per lavo-

rare per lo svago proprio di quell’animale rapace e depravato,

consolidando l’ordine esistente.

Perciò io non voglio lavorare e non lavorerò…

Non c’è bisogno di nulla, e che la terra sprofondi all’inferno!


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…. C’era una quantità di stelle cadenti.

Zenja camminava al mio fianco, cercando di non guardare il cielo,

per non vedere le stelle cadenti, che, chissà perché, le facevano

paura.

Io credo che lei abbia ragione, disse, rabbrividendo per l’umidità

notturna.

Se gli uomini, tutti insieme, potessero dedicarsi alle cose dello spi-

rito, ben presto saprebbero tutto.

Certo. Siamo esseri superiori, e se davvero riuscissimo a valoriz-

zare tutta la forza del genio umano, a dedicare la nostra vita solo

a nobili mete, alla fine diventeremmo come Dèi.

Ma questo non avverrà mai: l’umanità andrà sempre più degene-

rando e del suo genio non rimarrà traccia.

Quando il portone scomparve dalla vista, Zenia si fermò e mi strin-

se frettolosamente la mano.

– Buona notte, mi disse,… tremando dal freddo….

(Anton Cechov, La casa col mezzanino; racconti)




 

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TUNGUSKA (3)

Precedenti capitoli:

Tunguska 1

Tunguska 2

Prosegue in:

Cartesio: il genio e la contraddizione…..



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Il secondo episodio è datato 11 dicembre 1935 ed è avvenuto

nella regione di Rapununi, nella Guyana britannica.

La fonte principale di informazione è costituita da un artico-

lo pubblicato dalla rivista di astronomia ‘The Sky’, con il tito-

lo: ‘Tornado o impatto meteoritico?’, nel settembre del 1939.

L’articolo consiste nel crudo rapporto di Serge Korff, della

Bartol Research Foundation, Franklyn Institute, su quanto a-

veva visto un paio di mesi dopo l’esplosione.

La descrizione di Korff suggerisce che l’area colpita in Guya-

na potrebbe essere perfino più vasta di quella della taiga a

Tunguska.

Su sua richiesta, l’American Museum of Natural History a-

veva mandato un messaggio all’esploratore che stava perlu-

strando la zona, William Holden.


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Holden si arrampicò in cima al monte Marundi nel novembre

del 37; di lì vide chilometri di alberi abbattuti alle radici. Torna-

to a New York confermò la tesi di Korff; anche lui era convinto

che la devastazione fosse stata causata da un corpo cosmico.

Korff era riuscito poi a ottenere numerose testimonianze locali,

in particolare quella di un minatore scozzese, Godfrey David-

son, che si era svegliato per il gran fragore dell’esplosione.

Nel suo alloggio, pentole e altre suppellettili erano cadute sul

pavimento. Uscito di casa, Davidson vide nel cielo una striscia

rossa fiammeggiante.

Si recò nella giungla, seguendo la direzione della striscia, fino

a trovarsi ai limiti di un’area devastata.

 

meteoriti (due tunguska) (18)


Calcolò rozzamente che l’area doveva misurare circa sedici chi-

lometri per otto. Altri testimoni raccontarono di aver visto ‘qual-

cosa’ passare nel cielo, accampagnato da un terribile rumore.

Un pilota, Art Williams, affermò di aver visto dall’alto la zona

devastata e disse che aveva una forma oblunga più che circola-

re; anche a Tunguska la zona intorno all’epicentro dell’esplosio-

ne non è circolare, ha una strana forma a farfalla che ha suscita-

to dubbi nei primi esploratori.

Oggi si suppone, anche e soprattutto nel caso di Tunguska, che

la sagoma dell’epicentro dipenda esclusivamente dall’ampiezza

ridotta dell’angolo con cui i corpo è entrato nell’atmosfera.

Si suppone.

Ma non lo si sa per certo.

Torniamo di nuovo a Tunguska.

Le due piccole Tunguska non sono state indagate a sufficienza

per poter stabilire, in realtà, se abbiano o meno le stesse caratte-

ristiche della ‘sorella’ siberiana. Vedremo invece, in seguito, che

la drammatica esplosione nella taiga è stata studiata e analizza-

ta, che sono stati formulati modelli matematici dell’evento usan-

do ogni sorta di parametro fisico, che una vasta area della fore-

sta è stata battuta da decine di scienziati russi, ai quali si sono

aggiunti, dal 91, altri studiosi italiani…..

(N. Riccobono, Tunguska)





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