Prosegue in:
La determinazione storica si presenta ancora e soltanto come
transuente, materia di un’analisi sociologica, nella misura in
cui l’eresia, nella sua dimensione sociale, è rottura della
comunità di fede fondata sul consensus.
Laddove per ‘uno‘, l’eresia è innanzitutto esplicitazione di un
fondamentale dualismo della concezione cristiana, ed è, e ri-
mane, un problema squisitamente religioso, se non addirittura
teologico; per l’altro il cammino dell’eresia diviene l’applicazio-
ne, lungo i secoli del precetto evangelico, la riappropriazione
della parola originaria aldilà dei condizionamenti, delle medi-
azioni e delle contraddizioni che lo sviluppo e l’assetto della
società le impongono.
Se per ‘uno’ l’ortodossia stessa è una realtà in fieri, a cui il pen-
siero eterodosso è stimulus teologico; per l‘altro il rapporto è
tra gli eretici e la chiesa in quanto istituzione: è un rapporto su-
bordinato alle condizioni politiche e sociali, articolato alle vi-
cende del momento storico determinato.
Individuare il rapporto tra ortodossia ed eterodossia-eresia come
non storicamente definito, ma come frutto di un processo che
investe immediatamente il costituirsi della chiesa lungo i seco-
li, fino al passaggio del pauperismo evangelico all’ambito eretica-
le.
Ma allora nella misura in cui il contenuto dottrinale dell’eresia
è indicato come sostanzialmente ortodosso – o, almeno, di per sé
accettabile dalla chiesa – emerge con particolare vivezza un al-
tro elemento che le ricerche di nascita dell’eresia tendono a pre-
sentare in maniera tendezialmente subalterna: la questione del-
la pertinacia.
Dove questa non è l’assunzione totalizzante di una verità par-
ziale, né tanto meno l’atto individuale di insofferenza e rottura
nei confronti delle strutture, sociali religiose culturali, quanto
piuttosto il momento in cui la dottrina consuma un’impossibili-
tà di composizione nella realtà degli uomini, delle loro vicende
e delle loro rappresentazioni.
L’eresia può diventare, all’occhio dello storico, lo spiraglio attra-
verso il quale egli viene messo in grado di cogliere le forme e gli
aspetti…della società medievale e non, e proprio di quegli strati
che meno hanno possibilità, anche per la loro incapacità d’espri-
mersi, di far conoscere le proprie esigenze, i disagi, le fratture
che li lacerano o li turbano.
Concludendo.
Perché la chiesa per secoli ha posto barriere culturali e non, in
ambito di medesimi stili di vita, ad esempio tra gli adepti della
povertà volontaria durante il medioevo, trattandoli in maniera
così diversa, condannando gli uni come eretici, canonizzando
gli altri, dopo averli circonfusi di un alone di santità?
La relatività del concetto di eresie vi ha incontestabilmente
giocato un ruolo preminente.
Un’ideologia era infatti ritenuta eterodossa non tanto in funzio-
ne della sua sostanza, quanto piuttosto dell’epoca e delle circo-
stanze in cui propugnata. In certe condizioni, attirava la folgo-
re sul capo dei suoi fautori; in altre, non provocava la benché
minima reazione.
Questa tesi è del tutto confermata dalla storia del movimento
pauperistico. Perché la chiesa non ha mai condannato il precet-
to evangelico, ad esempio, della povertà volontaria. Anzi è
sempre stata benevola verso coloro che la professavano, ma so-
lo quando l’applicavano individualmente, senza farne oggetto
di propoganda tra le masse.
Ne è la miglior prova la canonizzazione di un gran numero di
eremiti. Ma il problema cambiava aspetto dal momento in cui
questi principi cominciavano a essere diffusi tra i fedeli. Allora
il precetto della povertà volontaria cessava di essere la questio-
ne personale di uno o di un altro individuo, per divenire un
problema sociale che poteva assumere implicazioni politiche.
Questa semplice osservazione ci consente di comprendere qua-
li fossero i criteri che guidavano il papato allorché giudicava
ortodosse alcune opinioni e invece eretiche altre, di contenuto
quasi identico….
Il più essenziale di tutti i criteri era senza dubbio quello dell’-
obbedienza verso le autorità ecclesiastiche, questa, e non la so-
stanza delle idee professate decideva – almeno per un primo
periodo – l’atteggiamento del papato nei confronti dei diffuso-
ri di novità. Di solito quindi un’incondizionata sottomissione
a Roma consentiva agli innovatori di restare fedeli all’ideolo-
gia professata, senza entrare in conflitto con la chiesa.
Al contrario, ogni rifiuto di obbedienza determinava invece la
condanna delle idee sostenute dal ribelle, proclamate quindi
eretiche.
Così, la frontiera tra ortodossia ed eresia era fluttuante.
Nel periodo di formazione di ciascuna di queste ideologie, era
possibile passare dal gruppo condannato a quello tollerato dal-
la chiesa. Per questo sarebbe difficile parlare a rigor di termini
di nascita di un’eresia. Ognuna si è formata lentamente e il pro-
cesso di definizione dottrinale è stato spesso assai lungo.
Il momento cruciale, nella storia di ogni eresia, si aveva quando
i suoi fautori rifiutavano ogni obbedienza alle autorità ecclesia-
stiche.
Allora l’eresia, tagliata dal tronco dottrinale della chiesa di Roma,
cominciava a creare una propria dottrina, che solo in parte era il
frutto di ricerche originali dei capi della tendenza condannata.
Lo studio di queste stratificazioni e delle loro connessioni è ogget-
to di ricerca per lo storico delle ideologie.
(Tadeusz Manteuffel, nascita dell’eresia)