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Non soltanto il principio economico secondo il quale è
più conveniente produrre in serie gli elementi costrutti-
vi, ma anche il fattore livellatore della moda, fanno sì
che ai margini dei centri urbani di tutti i paesi civilizza-
ti sorgano centinaia di abitazioni di massa che si distin-
guono fra loro solo per i loro numeri civici; esse infatti
non meritano il nome di ‘case’ dal momento che, tutt’al
più si tratta di batterie di stalle (e come tali i suoi occu-
panti vengono utilizzati) per ‘uomini da lavoro’ chiama-
ti così proprio per analogia con i cosiddetti ‘animali da
lavoro’.
L’allevamento di galline livornesi in batterie viene giu-
stamente considerato una tortura per gli animali e una
vergogna della nostra civiltà.
L’applicazione di metodi analoghi all’uomo è invece
considerata del tutto lecita, anche se proprio l’uomo
sopporta meno di tutto questo trattamento che è disu-
mano nel vero senso della parola.
La coscienza del proprio valore da parte dell’uomo
normale favorisce a giusto titolo l’affermazione della
sua personalità.
L’uomo non è stato costruito nel corso della filogenesi
per essere trattato come una formica o una termite, ele-
menti anonimi e intercambiabili di una collettività di
milioni di individui assolutamente uguali tra loro.
Basta guardare un gruppo di orticelli di periferia per
capire quali effetti può produrre l’impulso dell’uomo
a esprimere la propria individualità.
A chi abita nelle batterie degli ‘uomini da lavoro’ resta
una sola via per conservare la stima di sé: essa consiste
nel rimuovere dalla coscienza l’esistenza dei molti com-
pagni di sventura e nel rinchiudersi in assoluto isola-
mento.
In molte abitazioni di massa i balconi dei singoli appar-
tamenti sono separati da tramezzi che nascondono la
vista del vicino.
Non si può né si vuole stabilire con lui un contatto so-
ciale ‘attraverso la grata’ perché ha troppa paura di ve-
dere riflessa nel suo volto la propria immagine dispe-
rata.
Anche per questa via gli agglomerati umani conducono
alla solitudine e all’indifferenza verso il prossimo. Il sen-
so estetico e quello della morale sono evidentemente
strettamente collegati, e gli uomini che sono costretti a
vivere nelle condizioni sopra descritte vanno chiaramen-
te incontro all’atrofia di entrambi.
Sia la bellezza della natura sia quella dell’ambiente cultu-
rale creato dall’uomo sono manifestatamente necessarie
per mantenere l’uomo psichicamente e spiritualmente sa-
no.
La totale cecità psichica di fronte alla bellezza in tutte le
sue forme che oggi dilaga ovunque così rapidamente, co-
stituisce una malattia mentale che non va sottovalutata,
se non altro, perché va di pari passo con l’insensibilità
verso tutto ciò che è moralmente condannabile.
Coloro cui spetta la decisione di costruire una strada, o
una centrale elettrica o una fabbrica che deturperà per
sempre la bellezza di una vasta zona sono del tutto in-
sensibili alle istanze estetiche ed anche alla bellezza.
Dal sindaco di un piccolo paese al ministro dell’econo-
mia di una grande nazione, tutti sono d’accordo nel rite-
nere che non valga la pena di fare sacrifici economici, e
tanto meno politici, per difendere la bellezza del pae-
saggio (figuriamoci per la cultura in esso…).
I pochi scienziati (e non…..) difensori della natura che
vedono lucidamente approssimarsi la tragedia sono to-
talmente impotenti……. di fronte all’imbecillità o alla…
peste umana….
(K. Lorenz, Gli otto peccati capitali della nostra civiltà)
(Foto di: A. Sergeev)