SENZA OGGI E SENZA DOMANI (un racconto ‘eretico’) (8)

Precedente capitolo:

Senza calzari e senza denari (sosta al convento) (7)

Prosegue in:

Senza cavalli e senza somari (9)

Ogni infamia sarà cancellata (e donata a chi neppur l’ha pensata) (31/32)

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il nuovo

trovatore

Da:

Frammenti in rima


 

una passeggiata

 

 

 

 

 

 

 

 

 

….Ma mi attardo in ricordi di poco interesse ai fini della vicenda

che ci affanna, mio paziente lettore.

Così non dirò delle alterne vicende della nostra ricerca dei……

gustosi ‘darteufel’.

E dirò piuttosto della legazione dei frati minori, che avvistai per

primo, correndo subito verso il monastero per avvertire Gugliel-

mo.

Il mio maestro lasciò che i nuovi arrivati entrassero e fossero sa-

lutati dall’Abate secondo il rito. Poi andò incontro al gruppo e fu

una sequenza di abbracci e di saluti fraterni.

Dei frati che componevano il gruppo dirò poi parlando della riu-

nione del giorno dopo. Anche perché io parlai pochissimo con lo-

ro, preso come ero dal consiglio a tre che si stabilì immantinenti

tra Guglielmo, Ubertino e Michele da Cesena.

Di Michele ho già detto qualcosa, ed erano cose che avevo sentite

dire, forse da persone a cui erano state dette. Ora invece capivo me-

glio molti dei suoi atteggiamenti contraddittori e dei repentini mu-

tamenti di disegno politico con cui negli ultimi anni aveva stupito i

suoi amici e seguaci.

Ministro generale dell’ordine dei frati minori, era in principio l’ere-

de di san Francesco, di fatto l’erede dei suoi interpreti: doveva com-

petere con la santità e la saggezza di un predecessore come Bona-

ventura da Bagnoregio, doveva garantire il rispetto della regola ma

al tempo stesso le fortune dell’ordine, così potente e vasto, doveva

prestare orecchio alle corti e alle magistrature cittadine da cui l’ordi-

ne traeva, sia pure sotto forma di elemosine, doni e lasciti, motivo di

prosperità e ricchezza; e doveva nel contempo badare che il bisogno

di penitenza non trascinasse fuori dall’ordine gli spirituali più acces-

si, disciogliendo quella splendida comunità, di cui era a capo, in una

costellazione di bande d’eretici.

Doveva piacere al papa, all’impero, ai frati di povera vita, a san Fran-

cesco che certo lo sorvegliava dal cielo, al popolo cristiano che lo sor-

vegliava da terra.

Quando Giovanni aveva condannato tutti gli spirituali come eretici,

Michele non aveva esitato a consegnargli cinque tra i più riottosi frati

di Provenza, lasciando che il pontefice li mandasse al rogo. Ma avver-

tendo che molti nell’ordine simpatizzavano per i seguaci della sem-

plicità evangelica, aveva appunto agito in modo che il capitolo di Pe-

rugia, quattro anni dopo, facesse le proprie le istanze dei bruciati.

Naturalmente cercando di riassorbire un bisogno, che poteva essere

ereticale, nei modi e nelle istituzioni dell’ordine, e volendo che ciò che

l’ordine ora voleva fosse voluto anche dal papa.

Ma, mentre attendeva di convincere il papa, senza il cui consenso non

avrebbe potuto procedere, non aveva disdegnato di accettare i favori

dell’imperatore e dei teologi imperiali. Ancora due anni prima del

giorno in cui lo vidi aveva ingiunto ai suoi frati, nel capitolo genera-

le di Lione, di parlare della persona del papa solo con moderazione e

rispetto.

Ma ora era a tavola, amicissimo, con persone che del papa parlavano

con rispetto meno che nullo.

(U. Eco, Il nome della rosa)





 

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(da Trondheim) A ROMA (5)

Precedente capitolo:

da Trondheim (a Roma) (4)

Prosegue in:

Ogni infamia sarà cancellata (e donata a chi neppur l’ha pensata) (31/32)

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da Trondheim

a Roma

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i miei libri



 

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– Perché devi partire?

gli chiese Solveig.

– Vado a chiedere l’assoluzione dei miei peccati.

– Fino a Roma?

disse lei.

– Devo chiedere l’assoluzione dei miei peccati per i

crimini commessi da me e da mio padre contro il ve-

scovo Gudmundur,

le risposi a bassa voce.

– L’assoluzione dei peccati,

riprese lei.

– Tu non mi inganni. Ti chiamano Dala-Freyr. Non lo

fai solo per soddisfare la tua vanità? Perché non lasci

che me ne occupi io?

– Devo chiedere l’assoluzione dei miei peccati. Dal Pa-

pa a Roma.

– Vattene allora.

 

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Si svegliò nudo contro il suo seno. 

Si vestì e uscì.

La terra stava per risvegliarsi. E lui non si era risve-

gliato?

Camminava tra le dune e pensava a ciò che sarebbe

arrivato dopo l’inverno, ciò che ancora si nascondeva

sotto i cumuli di neve. 

Che cosa doveva serbare?

Cosa portare con sé in quel lungo viaggio verso l’i-

gnoto? Sarebbe stato un momento cruciale della sua

esistenza?

Lo aspettava il mare.

 

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Avrebbe implicato una vita nuova attraversarlo per 

andare in un paese sconosciuto?

Camminava tra le dune e c’era del muschio grigio ne-

gli avvallamenti davanti a lui, e del ginepro rampican-

te, grigiastro e folto ai suoi piedi.

Trovò sui suoi passi del timo, col suo profumo discre-

to, e dell’emperetro ancora senza germogli, solo picco-

li rigonfiamenti, e l’ofride che gli insetti non avevano 

ancora scovato. E nessun falco passava frusciando nel-

l’aria.

 

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C’era soprattutto sabbia scura, e le dune tra cui si aggi-

rava, come ghiacciato. 

Cominciò a sentir crescere un po’ di fiducia, quando lo

sguardo cadde sul promontorio roccioso dove finiva la

 sabbia, rischiarato in cima da una luce giallo chiaro,

mentre la metà inferiore era immersa in una foschia vio-

lacea.

Là incontrò propaggini del ghiacciaio annerite dalle sab-

bie laviche e attraversate da profonde fenditure, e poi la

laguna glaciale con gli alti pinnacoli di ghiaccio, come i-

sole di forme e caratteristiche del tutto inconsuete.

E non considerò più il ghiacciaio che vegliava in lonta-

nanza, impassibile, bianco alla sommità ma segnato da

crepacci, e ancora più in alto e più lontano comparivano

alla vista ombre di alture, e poi montagne sotto un cielo

che si andava rannuvolando.

 

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Si era fatto giorno.

Al di là dei monti, che scurivano rapidamente sotto l’om-

bra delle colonne di nuvole in ebollizione e della brezza

marina, si disegnava la lingua di un altro ghiacciaio, oltre

i deserti di sabbia, e le montagne dai pendii ricoperti di

muschio; in cima vette dentellate e sprazzi di erba grigia

che prendevano vita in quella luce, mentre i movimenti

incontrollati del ghiacciaio non potevano essere misurati

nel tempo.

Grigio mormorava il fiume, scavando il suo letto sinuo-

so tra pietre e sabbia.

(e lui pensò: ‘Dio è tutto questo… perché debbo’… ma que-

sta era già eresia e continuò ad ammirare il….)

(T. Vilhàlmsson, Cantilena mattutina nell’erba) 







 

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IL FOLLE, L’IDIOTA & LA CAMERIERA

Precedente capitolo:

Laudate Hominem

Prosegue in:

Dialoghi con Pietro Autier 2

gli occhi di Atget

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Laudate

Hominem

Da:

i miei libri

 

 

 

il folle l'idiota e la cameriera

 

 


IL FOLLE

 

Facoltà divina la cui energia creativa e ordinatrice

ispira la mente dell’uomo, ne guida le azioni e ne

adorna l’esistenza.

 

 

il folle l'idiota e la cameriera

 


L’IDIOTA

 

Membro di una vasta e importante tribù che ha sempre

avuto un’influenza determinante e regolatrice nelle

faccende umane.


 

il folle l'idiota e la cameriera


 

LA CAMERIERA

 

Giovane creatura dell’altro sesso adibita a mostrarsi

variamente sgradevole e ingegnosamente sporca

nel posto dove Dio è piaciuto di collocarla.

(A. Bierce, Dizionario del diavolo)





 

 

 

il folle l'idiota e la cameriera

FRA UBERTINO DA CASALE (20)

Precedenti capitoli (circa la ‘questio’):

Fra Michele da Calci e….

le ultime sue ore….

l’eresia del lettore ed i limiti della cultura (14/13)

Fra Ubertino da Casale (19) &

 

fra ubertino da casale 20


‘nummus non parit nummos’ (18/17)

Prosegue in:

desiderio di carne (21/22)

Foto del blog:

Fra Ubertino

da Casale

Da:

i miei libri


 

fra ubertino da casale 20







….Carità fraterna et in questo modo Cristo e gli

suoi appostoli ebbono gli beni temporali per ra-

gione naturale; la quale ragione da alcuni è no-

minata ius poli, cioè ragione di cielo, a sustenta-

 

fra ubertino da casale 20


zione della natura, cacciando da sé tutte le co-

se che avesseno sapore di ricchezze, o vero o-

doodore di dfelicateze, o vero che nutricassono

la pompa del mondo.

Et in questo modo ebbono le vestimenta e li pe-

sci, si come dice l’appostolo nella prima pistola

a Timoteo, sesto capitolo: abienti li alimenti, e

di che ci copriamo, siamo contenti.

E non n’è veruna professione, nè veruno consil-

glio di Cristo, il quale vieti cotale modo d’avere,

cioè quanto allo necessario uso della vita.

 

fra ubertino da casale 20


Et impertanto dire che Cristo e li suoi appostoli

non ebbero in questo modo, sarebbe cosa eretica.

Vogliendo adunque il detto papa Giovanni della

detta quistione e di più altre cose, diffinire lo op-

posito di quelle cose le quali nella detta decreta-

le ‘Exiit’, fu definito, si come poi dimostrò per e-

fetto; in prima sospese la sentenzia della escumu-

nicazione data e posta detta dicretale Exiit, contra

quelli che ciosassono insegnissono altrimenti pre-

dicassono che in quello modo, che in essa si conti-

ene, acciò che’ prelati e maestri e qualunque altri

 

fra ubertino da casale 20


litterati potessono liberamente contradire e la

e la diffinizione et alla determinazione della

chiesa, et essa diffinizione e determinazione,

secondo loro volere, impugnare; e della detta

suspensione compuose alcuna costituzione, o

vero ordinazione, e publicamente divulgò, che

conteneva la infrascritta forma:

‘Iohannes episcopus, servus servorum, ad per-

petuam rei memoriam. Quia non nunquam q.

coniectura per futurum credit ecc……

(Storia di Fra’ Michele Minorita)






 

fra ubertino da casale 20


TRA ERESIA E ORTODOSSIA (16)

Precedente capitolo:

l’eresia del lettore (ed i limiti della cultura) (14)

tra eresia e ortodossia (15)

Prosegue in:

‘nummus non parit nummos’ (17)

Da:

Frammenti in rima



 

tra ortodossia e eresia 16








Tali sintetiche informazioni sono arricchite di nuovi 

particolari in una successiva deposizione dello stes-

so Galosna. Sottoposto ad interrogatorio il 29 maggio

1388 nel castello episcopale del Drosso, nei pressi di

Torino, dall’inquisitore Antonio di Settimio e dal ve-

scovo torinese Giovanni in persona.

La prima domanda è precisa: egli porta l”habitum Ter-

cii Ordinis Sancti Francisci’. La data della cerimonia di

vestizione viene, in questa seconda deposizione, anti-

cipata di qualche anno – non più il 1377, ma intorno al 

1374: ‘(interrogatus) quot anni sunt quibus cepit dictum

habitum, respondit quod XIIII anni elapsi vel circa’.

Anche l’autore della vestizione muta: non più il vesco-

vo Tommaso, ma il ‘frater’ Benedetto Cantiero di Chieri,

‘magister dicti tercii ordinis Tercie Regule’. 

Il luogo della cerimonia è la chiesa di S. Francesco di 

Chieri, davanti all’altare maggiore, alla presenza del già

ricordato Tommaso dei Ferraris, ‘episcopus Tiatirensis’,

di frate Domenico di Poirino, guardiano del convento

francescano chierese, e dei frati Minori Tommaso e Ugo

di Alba.

Bisogna infine notare che alla domanda ‘si mutavit po-

stea aliam regulam sive alium habitum’, in entrambi gli

interrogatori il Galosna risponde negativamente, pur

precisando, nel novembre 1387, di essere attualmente

‘de secta et regula Pauperum de Lugduno’.

La formulazione di queste ultime domande e risposte 

non consente di ben comprendere se il Galosna voglia

sottolineare il suo completo distacco dalla Chiesa cattoli-

ca, oppure se il passaggio dalle file del Terz’Ordine al…

mondo dell’eterodossia rappresenti un esito non contrad-

dittorio tra la sua primitiva scelta e i successivi sviluppi

delle sue vicende religiose ed esistenziali.

Siamo allora di fronte a un episodio che attesta che il Ter-

z’ Ordine francescano costituisce un’area di reclutamento

per i gruppi eterodossi, oppure si tratta di un caso ecce-

zionale?

Esistono affinità e quali rapporti si stabiliscono fra le e-

sperienze e non, istituzionalmente riconosciute, e quelle

giudicate ereticali?

(G. G. Merlo, Tra eremo e città)






 

tra ortodossia e eresia 16


SOSTA AD AVIGNONE (denaro & guerra) (12)

Precedenti capitoli:

sosta ad Avignone (denaro & guerra) (10)

sosta ad Avignone (denaro & guerra) (11)

Prosegue in:

l’eresia del lettore (ed i limiti della cultura) (13/14)

Foto del blog:

sosta

ad Avignone

Da:

Frammenti in rima



 

sosta ad avignone 12









I papi di Avignone non solo le reintrodussero, ma

stabilirono che la metà andasse alla Santa Sede.

Al pari della maggior parte degli aumenti o delle

innovazioni papali in materia fiscale, questa inizia-

tiva – un autentico storno secondo Jean Favier – ven-

ne giustificata invocando le spese imposte dalla lot-

ta alle eresie, benché sia noto che la virulenza delle

eresie nel secolo XIV sia stata minore rispetto al XIII.

Il denaro, insomma, fu per il papato il pretesto per

una distorsione della realtà religiosa e del ruolo del-

la Chiesa ‘romana’ nella società (e per quanto qual-

cuno si affanni ancor oggi, con vaghi esempi che as-

somigliano alla regola della confraternita dei ‘ciar-

latani’, il  principio rimane il medesimo).

La sopravvivenza delle crociate e delle eresie nell’-

immaginario cristiano (di allora, oggi ugual principi

sono adottati idealizzati nonché legalizzati da altri

Imperi e Sovrani) serviva a soddisfare gli appetiti fi-

nanziari della Chiesa.

Nonostante i costi del Palazzo di Avignone e delle o-

perazioni militari italiane, la società del XIV secolo

percepiva il papato come un’istituzione particolar-

mente ricca e privilegiata. 

Papi a parte, in questa situazione certamente si arric-

chirono i più eminenti cardinali e prelati. In una soci-

età in cui l’indebitamento era in crescita, essi svolsero

un ruolo non trascurabile di prestatori di denaro, ma

grazie all’azione della tradizione cristiana, dalle loro

mani passavano più tesori che contante e la ricompen-

sa per i loro prestiti consisteva spesso in pezzi di orifi-

ceria.

Un problema non secondario che incontrò il papato

era il trasferimento ad Avignone delle somme raccol-

te in tutta la cristianità.

Il trasporto via terra era minacciato dall’insicurezza

che caratterizzava gran parte dell’Europa, soprattutto

in un XIV secolo in cui abbondano mercenari e briganti.

(J. Le Goff, Lo sterco del diavolo)





 

sosta ad avignone 12

UNA ‘BOLLA’ PER IL PARADISO (8)

Precedenti capitoli:

una ‘bolla’ per il paradiso (5)

una ‘bolla’ per il paradiso (6)

una ‘bolla’ per il paradiso (7)

Prosegue in:

sosta ad Avignone (denaro & guerra) (9)




 

una bolla per il paradiso 8









Come chi si desta da un dolce sogno, il signor commissario 

guardò coloro che gli parlavano, guardò il delinquente e 

tutti coloro che gli stavano intorno, e poi molto lentamente

parlò:

“Brava gente, voi non avreste mai dovuto intercedere per un

  uomo in cui Dio tanto evidentemente s’è manifestato, ma

poiché Lui ci comanda di non rendere male per male e di per-

donare le offese, potremo con fiducia pregarlo di compiere il

 suo stesso comandamento e di voler perdonare a costui, che

offese la sua Divina Maestà mettendo ostacoli alla sua santa 

fede……

…. Andiamo a supplicarlo”.

Così detto, scese dal pulpito e invitò tutti a supplicare molto

devotamente nostro Signore affinché volesse compiacersi di

perdonare a quel peccatore, ridandogli la salute e il sano giu-

dizio e scacciandogli di corpo il demonio, se la maestà divi-

na aveva permesso, per il suo gran peccato, che entrasse in

lui.

Andarono tutti a inginocchiarsi davanti all’altare e comin-

ciarono a cantare a bassa voce, in una con i preti,…… litania.

Intanto, il mio signor padrone avanzava con la croce e l’acqua

benedetta verso il corpo esamine del bargello, sul quale cantò

anche lui le sue devozioni.

Quindi, levando al cielo le mani e gli occhi, che dal tanto tra-

volgergli mostravano appena un poco di bianco, diede princi-

pio a un’orazione, non meno lunga che fervida, con la quale fe-

ce piangere tutta la gente, come suole verificarsi durante le pre-

diche di Settimana Santa con un predicatore e un uditorio mol-

to devoto, e in cui supplicava Nostro Signore, dato che non vo-

leva la morte del peccatore, bensì la sua vita nel pentimento di

concedere il suo perdono e di dar vita e salute a quell’infelice

ispirato dal demonio e convinto di morte e di peccato, affinché

si ravvedesse e confessasse le sue colpe.

Dopo di che fece portare delle bolle e gliela mise sul capo.

All’istante, quel dannato del bargello cominciò a riaversi e a 

riacquistar la conoscenza.

Quando si fu ripreso del tutto, si gettò ai piedi del signor com-

missario e, domandandogli perdono, confessò di aver fatto quel-

le accuse per bocca e per espressa volontà del demonio (suo Pa-

drone…), un po’ per far del male a lui e per vendicarsi delle offe-

se ricevute, ma soprattutto perché il demonio provava un gran

dispiacere all’idea del bene (che la bolla arreca sempre…) che 

lì si sarebbe fatto con l’acquisto delle bolle.

Il mio signor padrone gli perdonò e la pace tornò fra loro.

E ci fu una tale ressa a comprare le bolle…, che quasi nessuno in

  paese ne volle restar privo, marito e moglie, figli e figlie, gio-

vanotti e ragazze.

Non aveva venduto tante ‘bolle’ come in quel mandato…..

La novella dell’accaduto si divulgò per tutti i paesi circonvici-

ni, sì che quando arrivavamo noi non c’era bisogno di fare ser-

moni, ché le bolle venivano a prendersele alla locanda, quasi

fossero pere offerte graziosamente; talvolta neppure doveva-

mo onorare il conto richiesto dall’oste, bastava una firma su…

di una ‘bolla’.

Onde, a conti fatti, in ciascuno dei dieci o dodici paesi (in fe-

sta) di quei dintorni in cui fummo graditissimi ospiti, il mio

signor padrone spacciò un quintale di ‘bolle’ senza predicar

parola…..

Confesso apertamente che, quando il mio padrone inscenò la

sua commedia, ne fui anch’io stupefatto e credetti, come molti

altri, che fosse proprio sul serio (dato se lo osservate bene, la

sua serietà…); ma quando più tardi sentii le risate e le beffe 

che il mio padrone e il bargello si facevano a proposito del lo-

ro buon affare, capii come tutto fosse stato architettato dall’-

ingegno inventivo del male in persona….

(Anonimo, Lazzarino Del Tormes)





 

una bolla per il paradiso 8

UN UOMO (sosta al Consolato) (4)

Un articolo:

l’Italia è spiata dagli USA…..

Precedenti capitoli:

un uomo (sosta a Roma)

un uomo (sosta a Roma) (2)

un uomo (sosta al Consolato) (3)

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il giudice

dei divorzi

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Frammenti in rima



 

un uomo 4









….A Milano non volesti entrare nemmeno in albergo, tanto

fremevi di impazienza. Poiché presto sarebbero state le cin-

que del pomeriggio, ora in cui gli uffici chiudevano, lasci-

ammo il bagaglio in portineria e corremmo subito al conso-

lato dove il funzionario di turno ci ricevette dinnazi alla ban-

diera del Leviatano…..

– Signor viceconsole, questo è Alessandro Panagulis. L’eroe

della resistenza greca.

– Greek Resistance?! What resistence? Resistance for what?

Against whom?

– Vuol sapere quale resistenza, resistenza per cosa, contro

chi.

La tua voce divenne ancora più roca.

– Digli di restituirmi il passaporto.

– Senza visto?

– Senza visto.

– Bene. Will you please….

Ma, prima che potessi completare la frase, il passaporto era

scomparso dentro un cassetto.

– Sorry, I cannot sign it. Nor I can give it back to you.

Ti guardai.

Pallido in volto, lo fissavi con occhi così impietriti dallo 

stupore che le pupille sembravano le pupille d’un cieco.

– Che ha detto?

– Ha detto che non può firmarlo e neanche restituirlo.

– Rispondigli che non ha diritto, lui americano, di seque-

strare un passaporto greco e in Italia. Rispondigli che se

non me lo ridà me lo riprendo.

Tradussi, aggiungendo qualcosa di mio e cioè che stava

commettendo un’appropriazione indebita punibile con la

galera, che ora avrei chiamato i miei avvocati, la sua amba-

sciata, la polizia e sarebbe finito in galera senza immunità

diplomatica; ma ciò ebbe l’unico effetto di travolgerlo in

un panico indescrivibile.

No, balbetteva, no, non poteva, non doveva, c’era la stam-

pigliatura ormai, no, che sbaglio spaventoso mioddio, che

imperdonabile errore, che tremenda sciagura, la colpa era

sua però come rimediarvi, mioddio, no, no, no.

Intanto tremava. 

Sai il tremito convulso che scuote i conigli quando ci si av-

vicina alla gabbia e, disossati dalla paura, col cuore che gli

scoppia sotto la pelliccia, non sanno cosa fare, dove andare,

in che modo difendersi, impazziti saltano da una parte all’-

altra della gabbia, con le zampine ritte si aggrappano alle 

sbarre squittendo, ed ecco: ora chiudeva a chiave il casset-

to, si nascondeva la chiave nel taschino interno della giac-

ca perché non tentassimo di portargliela via, ora agguanta-

va il telefono e se lo posava sulle ginocchia perché non….

chiamassimo davvero gli avvocati, l’ambasciata, la polizia,

ora dalle ginocchia lo trasferiva su un tavolino, dal tavoli-

no in un altro cassetto per ficcarcelo dentro, ma non c’en-

trava sicché lo toglieva anche da lì e lo affidava alla segre-

taria invano tesa a calmarlo, signor viceconsole non se la

prenda così, la stampigliatura senza la firma non ha alcun

valore…..

Ma non serviva a nulla, e l’agitarsi grottesco continuava, 

arricchito di suppliche al Signore misericordioso e potente:

oh, mercyful Lord; oh, mighty Lord….

D’un tratto si alzò per recarsi dal suo superiore, confessar-

gli il crimine, chiedergli consiglio, e quando tornò era qua-

si placato (abbiamo ricevuto indicazioni da… Roma…).

– Are you a comunist?

– No, non sono comunista,

rispondesti.

– Do you belong to any party?

– No, non appartengo a nessun partito,

rispondesti.

Niente merce di scambio.

Niente moneta da spendere al ricco mercato dei trafficanti…

Niente moneta da spendere in nome dell’equilibrio mondiale…

Niente scheda da infilare dentro il computer….

Niente autorità costituita o ideologia, potere, che garantisse 

per te.

Davvero?

Davvero…..

(O. Fallaci, Un Uomo)






 

un uomo 4