LA VERITA’ (2)

Precedenti capitoli:

La verità &

Dialoghi con Pietro Autier:

Latrati di cani

Prosegue in:

Gli occhi di Atget:

Hai guardato proprio bene?

Foto del blog:

Fu nostra terra et

Nostro Universo

Da:

i miei libri


 

la verità 2




 

 

 

 

 

 

Con queste parole, il cerchio è chiuso.

In qualità di filosofo, Giuliano è un ‘adulto’ nel pieno senso

del termine, cioè un uomo intelligente che è abbastanza di-

sciplinato e forte per poter sopportare delle ‘verità’ anche

‘sgradevoli’ o ‘noiose’ e che non ha quindi alcun bisogno che

si ‘indori la pillola’, che lo si ‘distragga’ raccontandogli inve-

ce di queste verità delle storie ‘gradevoli’ ma false, oltre che

‘strane e contraddittorie’, che possono risultare ‘credibili’ so-

lo ai bambini.

Per questa ragione il filosofo Giuliano protesta quando si

tenta di far credere anche a lui dei ‘miti’ sia pagani che cri-

stiani; proprio come egli si vieta di raccontarseli da solo per

tentare di crederci.

Ma in quanto imperatore, Giuliano ha soprattutto a che fare

con dei bambini in tenera età, fisica o mentale.

Ugualmente egli vorrebbe che si raccontassero loro dei miti

edificanti, dando a queste storie false una forma che risulta

loro credibile, allo scopo di migliorarne i costumi.

Per Giuliano, si tratta praticamente di educare i popoli che

egli ha acconsentito a governare in qualità di imperatore ro-

mano.

E il filosofo sembra esser stato fermamente convinto che l’im-

peratore non poteva salvare il suo Impero se non facendo rac-

contare ai suoi sudditi dei miti pagani in maniera tale che la

maggioranza potesse ricominciare a crederci.

Ma quando Giuliano raccontava lui stesso dei miti nei suoi

scritti filosofici destinati ai soli filosofi così come ad alcuni

uomini di Stato tra i suoi amici, egli lo faceva in modo che

questi lettori da lui scelti non vi credessero per nulla, indo-

vinando le verità che egli intendeva insegnare nel raccontar-

li.

Solo che, per riuscire in quanto imperatore, Giuliano dove-

va nascondere alle masse da lui governate la verità che egli

intendeva insegnare in quanto filosofo a un ristrettissimo

numero di eletti.

Ed è esenzialmente mirando a questo camuffamento in nome

di ragioni di Stato che Giuliano si cimentava in questa arte ‘i-

ronica’ della scrittura insegnatagli dai filosofi antichi, che essi

stessi avevano praticato soprattutto per difendersi dalle accu-

se, ma anche per il gusto del gioco e dello scherzo, e allo sco-

po che i filosofi potessero riconoscersi tra di loro in modo più

certo.

(A. Kojève, L’Imperatore Giuliano)





 

1811104072.jpg

LA VERITA’

 

Prosegue in:

La verità (2) 

 


 

destrutturalizzazione del mito (2)







 

Giuliano ci lascia capire che l’utilizzo dei miti da parte di un

filosofo non può essere giustificato se non nell’Etica.

Ed egli ha appena chiarito che non si tratta dell’Etica presa nel

suo insieme, ma solo della parte di essa che si rivolge agli ‘in-

dividui’.

In altre parole, quando un filosofo parla da ‘teorico’ dello Stato

della Società, cioè dell’Uomo o della Società, cioè dell’Uomo

‘in generale’ o in quanto tale, egli deve parlare ‘sul serio’ e cer-

care di dire la ‘verità’, evitando perciò ogni sorta di ‘miti’.

Un filosofo può raccontare lui stesso, o far raccontare da altri

delle ‘storie false in forma credibile’, allo scopo di farle sembra-

re vere, unicamente nel caso in cui egli voglia comportarsi da

pedagogo o da dema-gogo, cioè quando ha per fine di educare

gli individui in maniera tale che la loro vita collettiva possa as-

sumere la forma di uno Stato vivibile e davvero degno di questo

nome, quale fu ad esempio lo Stato romano prima della sua de-

cadenza.

Avendolo lasciato intendere, l’imperatore-filosofo ritiene neces-

sario e possibile precisare ancora il suo pensiero e dire, questa

volta a chiare lettere, che in ogni caso non si debbono racconta-

re ‘miti’, anche edificanti, se non a quanti non sono capaci di

comprendere o di accettare la verità.

In effetti, Giuliano ci dice questo:

“Ma colui che inventa le sue storie poetiche allo scopo di mi-

gliorare i costumi e nel far questo utilizza dei miti (teologici),

deve rivolgersi non a degli uomini (adulti), ma solo a quanti

sono ancora bambini, sia per età, sia per intelligenza, e che in

genere hanno ancora bisogno di simili storie”.

E poco oltre aggiunge:

“Poiché è stabilito che si debbono raccontare dei miti solo a dei

bambini, che si trovano ancora in questo stadio per via della lo-

ro età o della loro intelligenza, dobbiamo stare molto attenti

(quando raccontiamo dei miti teologici, e non, perché vengano

creduti) di non commettere errori né verso gli dèi, né verso gli

uomini”.

Ma da buon filosofo quale era, Giuliano si considerava lui stes-

so come perfettamente ‘adulto’.

E se ci lascia capire, alla stregua di tutti i suoi predecessori in

filosofia, che la maggior parte dei ‘profani’ sono solo dei ‘bam-

bini’, egli è pronto ad ammettere accanto a sé nel piccolo e ri-

stretto gruppo di ‘adulti’, nel senso autentico del termine, tutti

i veri filosofi, al pari degli uomini di Stato davvero degni di

questo nome.

E’ quanto del resto dice in modo esplicito nel passo che se-

gue:

“Ora, se tu (Eraclio, cioè il simbolo del vescovo o del teologo

cristiano) ci hai preso per dei bambini: me, o questo Anatolios

(ministro di corte); ma puoi aggiungere anche Memmorius

(prefetto di Tarsia) o Salustio (amico di Giuliano e prefetto dei

Galli); infatti perché uno di loro dovrebbe sottrarsi? – allora do-

vrebbero prescriverti l’antikyra (rimedio contro la follia)”.

(Alexandre Kojève, L’imperatore Giuliano e l’arte della scrittura)





 

giuliano.jpg

 

CON IL VERO

Precedente capitolo:

Il falso &

Filippo Augusto parte per la Terza Crociata

Sotto il velame di un precedente post:

La bestemmia

Prosegue in:

Terza Giornata (quarta novella)

Foto del post:

Terza Giornata

Quarta Novella

Da:

Frammenti in rima


 

con il vero








Si assiste in quest’epoca alla grande confisca dell’etica 

sessuale da parte della morale della famiglia.

Confisca che si è compiuta non senza contrasti e reticen-

ze. Per lungo tempo il movimento ‘Prècieux’ le ha op-

posto un rifiuto la cui importanza morale fu considerevo-

le, anche se l’effetto ne fu precario ed effimero: lo sforzo

di risvegliare i riti dell’amore cortese e di mantenerne l’-

integrità al di là degli obblighi matrimoniali, il tentativo

di stabilire sul piano sentimentale una solidarietà e come

una complicità sempre pronte ad aver la meglio sui lega-

mi familiari erano destinati infine a cedere davanti al

trionfo della morale borghese.

L’amore perde la sua sacralità a causa del contratto.

Lo sa bene Saint-Evremond, che si fa gioco delle preziose

per le quali ‘l’amore è ancora un dio…Esso non eccita affatto

passioni nel loro animo; vi forma una sorta di religione’.

(…il vero…..)

Ben presto (però e purtroppo) scompare l’inquietudine eti-

ca che era stata comune allo spirito cortese e a quello pre-

zioso, e alla quale Molière risponde, per la sua classe e per

i secoli futuri: ‘Il matrimonio è una cosa santa e sacra, ed

è comportamento da onest’uomini cominciare da lì’.

Non è più l’amore che è sacro, ma solo il matrimonio, e da-

vanti al notaio: ‘Non fare l’amore se non contrattando matri-

monio’.

L’istituzione familiare traccia il cerchio della ragione; al di

là minacciano tutti i pericoli dell’insensato; là l’uomo è in

preda alla sragione e a tutti i suoi furori: ‘Sventura alla ter-

ra dalla quale sorge continuamente un fumo così spesso,

dei vapori così neri che si levano da queste passioni tene-

brose e che ci nascondono il cielo e la luce; da cui partono

anche lampi e folgori della giustizia divina contro la cor-

ruzione del genere umano’.

Alle vecchie forme dell’amore occidentale si sostituisce

una nuova sensibilità: quella che nasce dalla famiglia e

nella famiglia; essa esclude, come appartenente all’ordine

della sragione, tutto ciò che non è conforme al suo ordine

e al suo interesse.

Dissolutezza, prodigalità, relazione inconfessabile, matri-

monio vergognoso sono tra i motivi più frequenti d’inter-

namento. Questo potere di repressione che non appartiene

né internamente alla giustizia né esattamente alla religio-

ne, questo potere che è stato ricondotto direttamente all’-

autorità regia, non rappresenta in fondo l’arbitrarietà del

dispotismo, ma il carattere ormai rigoroso delle esigenze

familiari.

Nel XIX secolo il conflitto tra l’individuo e la famiglia

diverrà un affare privato e prenderà allora la fisionomia

di un (errato) problema psicologico…… 

(M. Faucault, Storia della Follia)





 

con il vero


ATTENTI (però) AI CIARLATANI


Precedenti capitoli:

attenti ai ciarlatani &

Zozza miseria anima mia c’è scagnozza lungo la via….

Prosegue in:

I ciarlatani( 44)

Foto del blog:

I liberi

Vagabondi

Da:

i miei libri





paderne1.jpg

 








Delli accattosi.

 

Son detti questi dalla cattività e schiavitudine in cui dicono esser

stati longo tempo.

Fingono aver parenti o fratelli in mano di Turchi, Saracini o corsa-

ri, per poter con tal mezzo ottener elemosine da riscattarli ancor-

ché non sia vero.

Arrivati alla città o castelli, in mezzo delle piazze, con una fionda

fanno scoppi e romori terribili, al cui suono convengono fanciulli e

uomini poco pratichi, e sentendoli gridare, Allah, allah, allah, hebher,

ethemdu, lillahi, la illah, illelach, allah, sta…la! ed altre parole con sì

strana lingua, e mostrare longhe catene e ferri con cui dicono esser

stati legati e dalla galera fuggiti, dànno ad intendere al volgo d’aver

ricevuto ogni dì grandissima quantità di bastonate da’ Turchi, inimi-

ci della fede di Cristo, mostrando certi segni che artificiosamente ha-

nno fatto nelle carni.

Dicono d’aver mangiato pane secco, biscotto nero come la terra e

aver bevuto acqua verminosa, cantando una lunga canzone da que-

sti furbi composta, assai compassionevole.

Giurano e sacramentano con terribilissime imprecazioni che sono

stati racchiusi in strettissime carceri, ove non si vedea mai lume, né

mai in quel tempo mangiorno pane né beverno vino: e pure per be-

neficio e grazia ricevuta da Dio son campati vivi.


triumph.jpg


E io mentre ero ancor fanciullo, gli ho sentiti dir ciò con le mie

orecchie, e me lo credevo perché non ero pratico di questi negozi,

come sono ora. Asseriscono e giurano, che due anni in circa sono

stati stretti fra due tavole facendo vita miserabile, né però in tanti

travagli e tormenti hanno mai negato il Salvator nostro, né la sua

santissima Madre, da’ quali riconoscono la loro liberazione.

Quanto giurano, tutto è vero; ma gli uomini grossolani non sanno

come s’intende questa verità, quale così s’esplica.

Il tempo in cui imprigionati stettero, senza veder lume e senza

mangiar pane e becer vino, sono li molti mesi che serrati sterono

nel ventre materno come in prigione, verità che la possono giura-

re tutti gli uomini del mondo; sì come l’esser stretti e legati con fa-

scie da due anni in circa nella culla fatta di tavole e vissuti con

poco cibo o latte.

Con questa dunque invenzione dicono esser liberi dalle bugie e

da’ tanti giuramenti che fanno. 

(Frianoro Rafaele, Nobili Giacinto, Il Vagabondo, ovvero sferza de

Guidoni. Opera nuova nella quale si scoprono le fraudi, malatie, et

inganni di coloro che vanno girando il mondo alle spese altrui.

Data in luce per avvertimento de semplici dal sig. Rafaele Frianoro.

In Viterbo, 1621.Con licenza de’ Superiori.)





 

giacomo cerutti three beggars.jpg

 

LA PESTE UMANA (2)

Precedente capitolo:

La peste umana

Prosegue in:

Armonia e disarmonia &

La peste (40)

Foto del blog:

Alexey

Sergeev

Da:

Frammenti in rima


 

la peste umana 2








Non soltanto il principio economico secondo il quale è

più conveniente produrre in serie gli elementi costrutti-

vi, ma anche il fattore livellatore della moda, fanno sì

che ai margini dei centri urbani di tutti i paesi civilizza-

ti sorgano centinaia di abitazioni di massa che si distin-

guono fra loro solo per i loro numeri civici; esse infatti

non meritano il nome di ‘case’ dal momento che, tutt’al

più si tratta di batterie di stalle (e come tali i suoi occu-

panti vengono utilizzati) per ‘uomini da lavoro’ chiama-

ti così proprio per analogia con i cosiddetti ‘animali da

lavoro’.

 

la peste umana 2


L’allevamento di galline livornesi in batterie viene giu-

stamente considerato una tortura per gli animali e una

vergogna della nostra civiltà. 

L’applicazione di metodi analoghi all’uomo è invece 

considerata del tutto lecita, anche se proprio l’uomo 

sopporta meno di tutto questo trattamento che è disu-

mano nel vero senso della parola.

La coscienza del proprio valore da parte dell’uomo 

normale favorisce a giusto titolo l’affermazione della 

sua personalità.

 

la peste umana 2


L’uomo non è stato costruito nel corso della filogenesi

per essere trattato come una formica o una termite, ele-

menti anonimi e intercambiabili di una collettività di 

milioni di individui assolutamente uguali tra loro.

Basta guardare un gruppo di orticelli di periferia per

capire quali effetti può produrre l’impulso dell’uomo

a esprimere la propria individualità.

A chi abita nelle batterie degli ‘uomini da lavoro’ resta

una sola via per conservare la stima di sé: essa consiste

nel rimuovere dalla coscienza l’esistenza dei molti com-

pagni di sventura e nel rinchiudersi in assoluto isola-

mento.

 

la peste umana 2


In molte abitazioni di massa i balconi dei singoli appar-

tamenti sono separati da tramezzi che nascondono la

vista del vicino.

Non si può né si vuole stabilire con lui un contatto so-

ciale ‘attraverso la grata’ perché ha troppa paura di ve-

dere riflessa nel suo volto la propria immagine dispe-

rata.

Anche per questa via gli agglomerati umani conducono

alla solitudine e all’indifferenza verso il prossimo. Il sen-

so estetico e quello della morale sono evidentemente

strettamente collegati, e gli uomini che sono costretti a 

vivere nelle condizioni sopra descritte vanno chiaramen-

te incontro all’atrofia di entrambi.

 

la peste umana 2


Sia la bellezza della natura sia quella dell’ambiente cultu-

rale creato dall’uomo sono manifestatamente necessarie

per mantenere l’uomo psichicamente e spiritualmente sa-

no.

La totale cecità psichica di fronte alla bellezza in tutte le

sue forme che oggi dilaga ovunque così rapidamente, co-

stituisce una malattia mentale che non va sottovalutata, 

se non altro, perché va di pari passo con l’insensibilità 

verso tutto ciò che è moralmente condannabile.

 

la peste umana 2


Coloro cui spetta la decisione di costruire una strada, o

una centrale elettrica o una fabbrica che deturperà per 

sempre la bellezza di una vasta zona sono del tutto in-

sensibili alle istanze estetiche ed anche alla bellezza.

Dal sindaco di un piccolo paese al ministro dell’econo-

mia di una grande nazione, tutti sono d’accordo nel rite-

nere che non valga la pena di fare sacrifici economici, e

tanto meno politici, per difendere la bellezza del pae-

saggio (figuriamoci per la cultura in esso…).

I pochi scienziati (e non…..) difensori della natura che

vedono lucidamente approssimarsi la tragedia sono to-

talmente impotenti……. di fronte all’imbecillità o alla…

peste umana….

(K. Lorenz, Gli otto peccati capitali della nostra civiltà)

(Foto di: A. Sergeev)






 

la peste umana 2

SENZA CAVALLI E SENZA SOMARI (9)

Precedenti capitoli:

Senza caciotta e senza pagnotta (6)

Senza calzari e senza denari (7)

Senza oggi e senza domani (8)

Prosegue in:

Gli occhi di Atget:

I pellegrini di Dio (34) &

La sua anima (35/36)

Foto del blog:

i pellegrini

di Dio

Da:

Frammenti in rima 


 

 

all'interno del convento









C’era un frate che sino ad allora era rimasto in silenzio, occupato

con molta devozione a ingoiare i buoni cibi che l’Abate aveva fat-

to portare a tavola. Porgeva un orecchio distratto ai vari discorsi,

emettendo ogni tanto un riso sarcastico all’indirizzo del pontefi-

ce, o un grugnito di approvazione alle interiezioni di sdegno dei

commensali.

Ma per il resto badava a pulirsi il mento dei sughi e dei pezzi di

carne che lasciava cadere dalla bocca sdentata ma vorace, e le uni-

che volte che aveva rivolto la parola a uno dei suoi vicini era stato

per lodare la bontà di una qualche leccornia.

 

all'interno del convento


Seppi poi che era messer Lepoldo De Girolamo, quel vescovo di

Caffa tanto amico degli Alemanni (ma a cui tutti noi faceva un cer-

to senso di disgusto), che Ubertino giorni prima credeva ormai de-

funto.

S’intromise a quel punto nel discorso, parlando con la bocca piena:

‘E poi sapete che l’infame ha elaborato una costituzione sulle ‘taxae

sacrae poenitentiariae’ dove specula sui peccati dei religiosi (curando-

si molto poco dei propri) per trarne altro denaro.

 

all'interno del convento


Se un ecclesiastico commette peccato carnale, con una monaca, con

una parente, o anche con una donna qualsiasi (perché succede anche

questo!) potrà essere assolto solo pagando 67 lire d’oro e dodici soldi.

E se commette bestialità, saranno più di duecento lire, ma se l’ha com-

messa solo con fanciulli o animali, e non con femmine, la ammenda

sarà ridotta di cento lire.  E una monaca che si sia data a molti uomi-

ni, sia insieme che in momenti diversi, fuori o dentro il convento, e

poi vuole diventare abbadessa, dovrà pagare 131 lire d’oro e quindi-

ci soldi’. 

 

all'interno del convento


‘Andiamo messer  Girolamo’, protestò Ubertino, ‘sapete quanto poco

ami il papa, ma su questo devo difenderlo! E’ una calunnia messa in

giro ad Avignone, non ho mai visto questa costituzione!’

‘C’è’ affermò vigorasamente Girolamo.

‘Neppure io l’ho vista, ma c’è’.

Ubertino scosse la testa e gli altri tacquero.

Mi avvidi che erano abituati a non prendere troppo sul serio messer

Girolamo, che l’altro giorno Guglielmo aveva definito uno sciocco.

Guglielmo in ogni caso cercò di riprendere la conversazione: ‘In o-

gni caso, vero o falso che sia, questa voce ci dice di quale sia il cli-

ma morale di Avignone, dove chiunque, sfruttati e sfruttatori, san-

no di vivere più in un mercato che nella corte di un rappresentante

di Cristo.

 

all'interno del convento


Quando Giovanni è salito al trono si parlava di un tesoro di 70.000

fiorini d’oro, e ora c’è chi dice che ne abbia ammassati più di 10 mi-

lioni.

‘E’ vero,’ disse Ubertino.

‘Michele, Michele, non sai che vergogne ho dovuto vedere ad Avi-

gnone!’

‘Cerchiamo di essere onesti,’ disse Michele.

‘Sappiamo che anche i nostri hanno commesso degli eccessi. Ho a-

vuto notizie di francescani che attaccavano in armi i conventi do-

menicani e denudavano i frati nemici per imporre loro la povertà….

E’ per questo che non osai oppormi a Giovanni ai tempi dei casi di

Provenza…

 

all'interno del convento


Voglio addivenire con lui a un accordo, non umilierò il suo orgoglio,

gli chiederò solo che non umilii la nostra umiltà. Non gli parlerò di

danaro, gli chiederò solo di consentire con una sana interpretazione

delle scritture. E questo dovremo fare coi legati suoi, domani. Alla

fin fine sono uomini di teologia, e non tutti saranno rapaci come

Giovanni.

Quando degli uomini saggi avranno deliberato su un’interpretazio-

ne scritturale, egli non potrà…’

‘Egli?’ interruppe Ubertino.

 

all'interno del convento


‘Ma tu non conosci ancora le sue follie in campo teologico. Egli vuo-

le legare davvero tutto di sua mano, in cielo e in terra. In terra abbia-

mo visto cosa fa. Quanto al cielo….Ebbene, egli non ha ancora espres-

so le idee che ti dico, non pubblicamente almeno, ma io so di certo che

ne ha mormorato coi suoi fidi. Egli sta elaborando alcune proposizio-

ni folli, se non perverse, che cambierebbero la sostanza della dottrina,

e toglierebbero ogni forza alla nostra predicazione!’

‘Quali?’ domandarono molti.

 

all'interno del convento


‘Chiedete a Berengario, egli lo sa, me ne aveva parlato lui.’

Ubertino si era rivolto a Berengario Talloni, che era stato negli anni

scorsi uno dei più decisi avversari del pontefice nella sua corte.

Venuto da Avignone, si era da due giorni ricongiunto col gruppo de-

gli altri francescani e con loro era arrivato all’abbazia.

‘E’ una storia oscura e quasi incredibile,’ disse Berengario.

‘Pare dunque che Giovanni abbia in mente di sostenere che i giusti

non godranno della visione beatifica sino a dopo il Giudizio.

E’ da tempo che sta riflettendo sul versetto nove del capitolo sesto del-

l’Apocalisse, là dove si parla dell’apertura del quinto sigillo: dove ap-

paiono sotto l’altare quelli che sono stati uccisi per testimoniare la pa-

rola di Dio e chiedono giustizia.

A ciascuno viene data una veste bianca dicendo loro di pazientare an-

cora un poco…. Segno, ne argomenta Giovanni, che essi non potranno

vedere Dio nella sua essenza se non al compimento del giudizio finale.’

(U. Eco, Il nome della rosa)


 

 

 

 

 

 

all'interno del convento