GLI OCCHI DI Atget

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dialoghi con Pietro Autier &

dialoghi con Pietro Autier 2 &

gli occhi di Atget

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la casa

del popolo


 

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Colgo l’occasione attraverso queste ‘pagine di storia’

per presentare il mio nuovo blog:

gli occhi di Atget

Lo faccio ricordando il grande maestro che ha fatto

e farà per sempre storia: Theo Angelopoulos  e come suo

insegnamento trarrò spunto dall’opera di Eugene Atget

per rendere immortale con ugual pagine di storia e….

letteratura la sua preziosa ed irripetibile opera… archi-

vio ‘prezioso’ della memoria perduta.

Ed a loro dedico questa rima

…che il muro della vita

non ci porti via anche …

l’eterna sua poesia…

(Pietro Autier)


 

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Chi ha brama solo di beni terreni

E in essi cerca i diletti più pieni,

E’ matto tutto, stolto e senza freni.

E’ un pazzo chi vorrà beni ammassare

Senza volersi d’altro dilettare:

Che ne farà dell’oro che si è preso

(con tanto inganno ma dicono ingegno…?)

…Quando sarà nella tomba disceso?

 

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Ma assai più pazzo di costui è ancora

Chi spensierato manderà in malora

Ciò che da Dio gli è stato regalato

Perché sia saggiamente amministrato,

E ne renderà conto, e non invano,

Perdendo assai di più che piede e mano.

 

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Un pazzo a eredi e amici assai procura,

Ma dell’anima sua non si dà cura:

Penuria teme nella vita odierna

E non ha mente per la vita eterna.

 

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Povero matto, cieco alla menzogna:

Fuggi la scabbia, e ti trovi la rogna!

 Vuole questi i profitti del peccato,

E nel fuoco d’abisso andrà bruciato:

Di lui pensiero non si dan gli eredi,

E non spendono certo un soldo, credi,

Per trarlo dal profondo dell’inferno.

 

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Dai, finché vivi, in lode dell’Eterno

Ché, morto tu, ben altro è il tuo Signore,

E in questa vita devi fare onore.

Un saggio mai qui in terra s’è affannato

Ad ammassare beni e far mercato.

 

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Conoscere se stesso è la sua mèta,

Ben più proficua al saggio che moneta!

E’ accaduto che Grasso fu ingozzato

Di quell’oro che tanto ebbe bramato;

Cratete invece il suo gettò nel mare,

Ché gli avrebbe impedito di imparare.

Chi sol di quanto è transitorio è vago,

L’anima sua seppellisce nel brago.

(S. Brant)




 

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BERNARDO GUI

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ora nona Bernardo Gui

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gli occhi di Atget
 

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bernardo gui

 

 

 





-Ah! Ma i buoni dottori a cui fai illusione non sono forse coloro

che comandano la tua setta? E’ questo che volevi intendere quando

parlavi dei buoni dottori? E’ a questi perversi mentitori che si

ritengono gli unici successori degli apostoli che ti rifai per

riconoscere i tuoi articoli di fede? Tu insinui che io credo a ciò

che loro credono, allora mi crederai, altrimenti crederai solo a loro!’

– Non ho detto questo, signore,

balbettò il cellario,

– Voi me lo fate dire. Io credo a voi, se voi mi insegnate ciò che 

è bene.

– Oh protervia!

gridò Bernardo battendo il pugno sul tavolo.

– Ripeti a memoria con bieca determinazione il formulario che

si insegna nella tua setta. Tu dici che mi crederai solo se predichi

ciò che la tua setta ritiene sia il bene. Così hanno sempre risposto

gli pseudo-apostoli ora tu rispondi, forse senza avvedertene,

perché riaffiorano alle tue labbra le frasi che un tempo ti furono

insegnate onde ingannare gli inquisitori. Ed è così che stai

accusandoti con le tue stesse parole, e io cadrei nella tua trappola

solo se non avessi una lunga esperienza di inquisizione…

Ma veniamo alla vera questione, uomo perverso. Hai mai 

inteso parlare di Gherardo Segalelli da Parma?

– Ne ho inteso parlare,

disse il cellario impallidendo, se mai si fosse potuto ancora

parlare di pallore per quel viso disfatto.

– Hai mai inteso parlare di fra Dolcino da Novara?

– Ne ho inteso parlare.

– Lo hai mai visto di persona, hai conversato con lui?

Il cellario stette qualche istante in silenzio, come per valutare

sino a che punto gli fosse convenuto dire una parte della

verità. Poi si decise, e con un filo di voce:

– L’ho visto e gli ho parlato.

– Più forte!

gridò Bernardo,

– Che finalmente si possa udire una parola vera scendere dalle

tue labba! Quando gli hai parlato?

– Signore,

disse il cellario,

– Ero frate in un convento del novarese quando la gente di Dolcino

si radunò da quelle parti, e passarono anche presso il mio convento,

e al principio non si sapeva bene chi fossero….

– Tu menti! Come poteva un francescano di Varagine essere in

un convento del novarese? Tu non eri in convento, tu facevi già

parte di una banda di fraticelli che percorrevano quelle terre

vivendo di elemosine e ti sei unito ai dolciniani!

– Come potete affermare questo, signore?

disse tremando il cellario.

– Ti dirò come posso, anzi devo, affermarlo,

disse Bernardo, e ordinò che fosse fatto entrare Salvatore.

La vista dello sciagurato, che certamente aveva passato la notte

in un interrogatorio non pubblico e più severo, mi mosse a

pietà. Il volto di Salvatore, l’ho detto, era di solito orribile.

Ma quel mattino sembrava ancor più simile a quello di un

animale…..

(U. Eco, Il nome della rosa)



 

 

bernardo gui

  

DE L’INFINITO UNIVERSO E MONDI (3)

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de l’infinito universo e mondi 2

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de l’infinito universo e mondi 4 &

Dialoghi con Pietro Autier 2

Bruno lungo il mio ‘Viaggio’:

 

de l'infinito universo e mondi 3

 

il giorno


 

 

 

 

 

Il principio formante attivo di questo universo in costante

mutamento si trova nell’infinità stessa di tale sostanza infi-

nita, la cui attività formante è vista da Bruno come una sor-

ta di lievito universale.

Bruno identifica tale principio formante con l’anima.

Nell’ambito dell’universo concepito dal filosofo, l’anima è

sempre divina e quindi intelligente, non essendoci anime

vegetative e nemmeno anime sensitive corrispondenti alla

tradizione gerarchica aristotelica. 

 

de l'infinito universo e mondi 3

 

L’anima di una pietra non sarà dunque differente da quella

di un corpo apparentemente superiore, quale un animale o

persino l’uomo: la sua particolare configurazione atomica

si presenterà semplicemente come un agglomerato meno

articolato dei sostrati di sostanza infinita – e persino questo

potrebbe essere un giudizio errato, dovuto alla nostra inca-

pacità di comprendere la particolare forma di vita delle pie-

tre. L’universo Bruniano risulterà essere popolato da un nu-

mero infinito di mondi. 

 

de l'infinito universo e mondi 3

 

E’ questa, infatti, la conseguenza logica del presupporre un

numero infinito di atomi i quali, imbevuti di ciò che Bruno

a volte definisce anima, a volte un ‘fluido vitale’, costante-

mente si raggruppano e si disgiungono dando origine a un

numero infinito di forme.

Il debito di Bruno nei confronti dell’antico atomismo è qui

chiaro ed esplicito.

 

de l'infinito universo e mondi 3

 

….L’universo infinito postulato da Bruno rappresenta una

cosmologia intelligibile nel moderno senso scientifico del

termine, secondo un’intelligibilità controllata da leggi che

sarebbero state definite, nel corso del secolo successivo, in

termini sempre più complessi e raffinati.

La visione bruniana, a ogni modo, propugnava già un cos-

mo di dimensioni illimitate in cui il movimento assume la

forma regolata di moto dei corpi più freddi intorno a corpi

caldi, o soli, sulla base dell’astronomia eliocentrica coperni-

cana.

 

de l'infinito universo e mondi 3

 

Si tratta di un cosmo in cui tale moto trova il suo fondamen-

to fisico-teorico nell’opposizione eterna e infinita di elementi

contrastanti, una concezione che deriva da Pitagora per il tra-

mite di Cusano, e in cui un’unica opposizione di base, il con-

trasto telesiano di caldo e freddo, è offerta come spiegazione

per il moto di tutti i pianeti nell’ambito dell’intero universo

infinito.

La consapevolezza da parte di Bruno dell’immensità di questo

universo infinito, nonché della complessità degli infiniti mu-

tamenti ai quali esso è necessariamente soggetto in quanto ri-

cettacolo della potenza assoluta di Dio, porteranno il filosofo

 

de l'infinito universo e mondi 3

 

ad assumere un atteggiamento problematico, (ma non contrad-

dittorio) nei confronti della moderna matematica e della ques-

tione epistemologica in generale.

Ciò nonostante, non si deve ignorare l’importanza del tentati-

vo bruniano di definire l’intelligibilità di un universo infinito,

composto da un numero infinito di mondi, nei termini propri

della nuova fisica.

(prosegue….)

 

 

 

 

 

 

de l'infinito universo e mondi 3

 

DE L’INFINITO UNIVERSO E MONDI (1)

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cenni storici

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de l’infinito universo e mondi 2 &

Dialoghi con Pietro Autier 2

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de l’infinito universo e mondi

…Appunti, pensieri, …dialoghi:

i miei libri

 

 

 

de l'infinito universo e mondi 1

 

 

 

 

 

 

….Allora come oggi non si poteva arrestare la tenebra e arrivò

la spaventosa guerra dei Trent’Anni.

Fu peggio di un conflitto nucleare.

In Europa la popolazione si ridusse a un terzo. Gli abitanti di

tutte le nazioni non superarono, alla fine del conflitto, i quindi-

ci milioni di unità. Un dato sconvolgente. La storia segreta d’Eu-

ropa negli anni compresi tra il 1580 – 1620, anno della battaglia

della Montagna Bianca, è quella dell’utopia di arrestare la carne-

ficina.

 

(Questo è un breve accenno biografico per comprendere il percor-

so storico intrapreso dal nostro filosofo, certo non del tutto dis-

simile, nonostante l’apparente divario compiuto dal progresso,

dalla stessa nei suoi successivi cinquecento anni.

Noterete che ugual divergenze sono immutate rispetto al contes-

to storico e biografico appena accennato. Le catene, i vincoli, le

miopie, le ristrettezze, la cecità, il fondamentalismo, l’arroganza,

sono caratteristiche su cui ancora si fondano determinati contes-

ti sociali, anche se, in apparenza, siamo portati a giudicare il di-

vario quantificabile nei secoli come appartenente al nostro pas-

sato remoto.

L’illusione fra passato presente e futuro, fra progresso e cioè che

non lo è, è un immagine sulla quale l’uomo a stento riesce a spec-

chiarsi e di conseguenza riconoscersi. Quindi avere l’illusione

di percepirla e nello stesso istante trasmetterla allo specchio del

tempo percepito.

La misura del tempo, quindi la distanza da ciò che ci separa tra

un filosofo e l’attuale immagine riflessa nell’odierna società, vor-

rebbe essere misura e durata, di conseguenza il progresso rifles-

so in esso. Scopriremmo allora l’inganno del tempo e con esso

del progresso, quindi della nostra apparente evoluzione. Ciò che

è mutato, scopriamo, è l’ordine degli elementi dai quali noi esse-

ri viventi siamo nati, quell’ordine e insieme disordine, certo che

sì, sono cambiati, in esso leggiamo il tempo. In essi scopriamo

l’evoluzione ed il progresso nella concezione dell’uomo dell’

essere ed appartenere all’ordine delle cose. 

Scopriamo con ugual sensibilità o indifferenza, che quelle guer-

re appartengono stabilmente all’ordine sociale dell’uomo, che

quegli olacausti nel secolo di Bruno, forse erano un nulla, rispet-

to a quelli che dovranno venire, e quelli a cui abbiamo assistito

in questo ordine immutato chiamato progresso, dell’attuale seco-

lo e minuto in cui vi sto ora parlando.

Bruno, appartenendo a questa come a quella società, che ha pos-

to fine alla sua breve esistenza terrena con il fuoco purificatore

dell’intolleranza, appartiene al mondo della creazione, o meglio

alla concezione di tale creazione nell’estensione viva e onnipre-

sente della natura…., e ragiona tramite essa.

Quel riflesso (si specchia) è costantemente presente nella sua

opera.

L’uomo, o ciò che vorrebbe essere tale, disconoscendo Dio e Na-

tura, ha sacrificato su di un rogo filosofia, pace e conoscenza.

Nel motivo di una visione oggi come allora, che pretende cono-

scere, e circoscrivere Dio e ragione entro il circolo del Tempo,

nel nome di una falsa Gnosi nella quale pur discoscendo il pro-

prio sé, si eleva al di sopra di Dio riflesso nell’Universo, e questo

sulla totalità delle cose del Creato, con la costante e falsa pretesa

di possederle e quindi circoscriverle in ciò che lui nomina ‘cono-

scenza’.

Non vi è conoscenza là dove domina un pensiero contrario alla

Natura, alla tollerenza, alla …creazione. 

Non vi è conoscenza là dove domina l’intollerenza, l’ingiustizia, 

l’ineguaglianza, il fondamentalismo,….. di qualsiasi specie esso

sia.

Per cui specchiamoci per un attimo nella breve parentesi filofica

dell’uomo Bruno, per scoprire come è vicino alla sostanza del

mondo da lui contemplato, al contarrio dei suoi carnefici, che

pensando di interpretarlo conoscerlo e possederlo, umiliarono

quel Dio che dimora in Bruno come in tanti altri spiriti simili

al suo, chiusi nella prigione del ….Tempo). (Autore del blog)

 

 

de l'infinito universo e mondi 1

  

….Parere di Bruno, ma anche principio alchemico, era quello

secondo il quale ‘non si comanda alla natura, ma si sta in as-

colto di essa’, aprendosi alle meraviglie che desta. Anche Bru-

no è contro la dittatura antropocentrica dell’intelletto umano:

‘Non solo qualsivoglia legge o teologia, ma anche tutte refor-

mate filosofie conchiudeno essere cose da profano e turbolen-

to spirto il voler precipitarsi a dimandar ragione e voler defi-

nire circa quelle cose che sono sopra della nostra intelligenza’.

La ragione umana è un relativo, che pretende di catturare l’as-

soluto infinito! E naturalmente sbaglia, perché pretende che la

Natura sia ciò che essa è semplicemente per lei, come è inda-

gata dai suoi ‘finiti’ strumenti: l’inesausto progresso (?) della

‘scienza’ è lì a dimostrarlo!

(….prosegue…) 

 

 

 

 

 

de l'infinito universo e mondi 1

       

CENNI STORICI (nell’illusione del tempo)

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i capi d’accusa 2

Prosegue in:

cenni storici

 

 

cenni storici 3

 

 

 

 

 


Una profonda melanconia e una grande gioia di vivere.

Giordano Bruno vive tra questi due opposti stati d’animo.

Cerca continuamente il dialogo, ma trova solo i volti arcigni

del bigottismo.

Calvinisti, protestanti, riformati, anglicani, cattolici sono tutti

di pasta radicale in questa fine del Cinquecento.

Il Rinascimento appare lontano.

Ha messo gemme con Pico della Mirandola, con Marsilio Fici-

no e il grande Lorenzo. Poi è germogliato sotto la grande influ-

enza del ‘Simposio’ di Platone e del suo inno alla vita.

Si è quindi assestato e infine ripiegato grazie agli odi di reli-

gione. E’ il manto nero che ricopre la mente dei bigotti a intristi-

re Bruno. E ancora di più si sarebbe rammaricato se avesse potu-

to leggere tutte le corbellerie che sono state scritte su di lui in

questi ultimi cento anni.

Alcune ormai sono palesemente sconfessate, eppure continuano

a esistere nella mente delle persone, anche di quelle in buona fe-

de.

Vediamo: è stato un propugnatore del libero pensiero (…e lo

continua a manifestare con il proprio e altrui ingegno prestato

alla storia e non solo….)…..quindi la Chiesa lo ha arrestato, met-

tendolo al rogo come eretico.

Di lui in fondo si ricorda questo.

Bruno poi è stato visto come filosofo mentre basta consultare

un qualsiasi testo di Storia della filosofia dei licei per accorger-

si che si parla di lui sempre in poche pagine, sempre come pen-

satore legato al passato, idealista in senso platonico e panteista.

Ovvero come di un appartenente a quel curioso genere di erudi-

ti che credono la natura eterna e divina.

Pochi capoversi, giudizi sommari e anche i migliori storici lo re-

legano comunque fra i filosofi di secondo piano. 

Gli studenti di ogni scuola di ordine e grado, non hanno alcuna

nozione di lui eppure la sua arte memonica dovrebbe avere del-

le connessioni reali con il mondo più artificiale e artificioso di

cui fanno uso et abuso ogni dì… 

Comunque torniamo alla storia, o meglio alla sua illusione.

Nel 1576, a 28 anni gli giunge la prima accusa di eresia. Non è

una ‘voce’ o un rimprovero, ma una vera ingiunzione. A quel-

l’epoca significava subire un interrogatorio iniziale della dura-

ta di uno o due giorni e poi, in caso di resistenza,se non si era

dichiarati pazzi…, giungeva nella sala o in altri luoghi…, un si-

gnore vestito di nero con uno o più aiutanti. Ed allora facevano

anche il loro ingresso frusta, tenaglie infuocate, cavadenti e ma-

gli per spaccare le ossa, ed altre et innumerabili finezza che han-

no a che fare con il vasto mondo della tortura, certo che no del-

l’ingegno.

Bruno sa tutto e quindi fugge immediatamente (inizia il Viaggio). 

(prosegue….)

 

 

 

cenni storici 3

  

I ‘CAPI’ D’ACCUSA (1)

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i delatori e i persecutori

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i capi d’accusa &

Dialoghi con Pietro Autier 2

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i capi d’accusa

Libri eretici…e dialoghi …innominabili…

i miei libri

 

 

 

i capi d'accusa 1

 

 

 

 

 

 


Bruno, come molti profeti, prima e dopo di lui, non è stato

fortunato. Sperava di trovarsi all’alba di una nuova epoca

e si trova rinchiuso in un umida cella del carcere di San Do-

menico di Castello, in mano all’Inquisizione, vittima non

solo di un tradimento (suo e altrui), ma del tradimento di

un uomo pieno di viltà, di debolezza, di invidia …malce-

lata.

Il suo furore si è mutato in una sorda rabbia, in una dispe-

razione tenuta a freno e controllata. Poi prevale la volontà

di uscirne al più presto, di recuperare tutta la sua libertà,

che sa essere alimento insostituibile per il suo pensiero.

E’ nel pieno della maturità, sa di avere ancora molto da 

dire. 

Il Mocenigo nel frattempo ha paura, trema, pensando al

rischio di essere in qualche modo coinvolto, o travolto

dalla vicenda che lui stesso ha scatenato. Questo spiega  

il suo aggiungere denuncia a denuncia, il gettare in pasto

agli inquisitori ogni particolare, o l’inventarne (nell’arte

mai morta della calunnia), ed il tentativo di screditare to-

talmente quello che era un suo ospite, per salvare la pro-

pria persona.

Nello stesso tempo appare quasi rivoltante il suo assog-

gettamento, non semplicemente formale, ma interiore,

al tribunale. Certo il Sant’Uffizio incuteva un sinistro ti-

more in chiunque, e avere contatto con esso bastava già,

il più delle volte a mettere in una posizione di completa

soggezione psicologica.

Ma è anche vero che il Mocenigo discendeva da una del-

le famiglie più nobili di Venezia, e che l’Inquisizione del-

la Serenissima Repubblica era una delle più moderate del-

la penisola.

Le denunce che sporge sono tre: 23, 25 e 29…maggio.

Le sue parole, durante la prima denuncia, rivolte all’Inqui-

sitore Giovan Gabriele da Saluzzo, recitano così:

 

Molto reverendo Padre et signore osservandissimo,

io Zuane (Giovanni) Mocenigo fo (figlio) del clarissimo messer

Marco Antonio dinuntio a Vostra Paternità molto reverenda

per obligo della mia coscientia, et per ordine del mio confessor,

haver sentito (scrivere e dire…mentre lo spiavo…) a Giordano

Bruno nolano, alcune volte che ha ragionato meco in casa mia:

che è biastemia grande quella de’ cattolici il dire che il pane si

transusta(n)tii in carne; parlare inoltre di omini macellati come

agnelli, peccato grave contro la santa chiesa; inoltre che lui è

nemico della messa; che niuna religione gli piace; che Chiristo

fu un tristo et che, se faceva opere triste di sedur popoli, poteva

molto ben predire di dover essere impicato; che le anime non mo-

rono ma vagano in tanti monni; che non vi è distintione in Dio

di persone, et che questo sarebbe imperfetion di Dio; che il mon-

do è eterno, et che sono infiniti mondi, et che Dio ne fa infiniti

continuamente, perché dice che vuole quanto che può; che

Christo faceva miracoli apparenti et che era un mago, et così

gl’apostoli, et che a lui daria l’animo di far tanto et più di lo-

ro; che Christo mostrò di morir mal volentieri, et che la fuggì

quanto che puoté; che non vi è punitione de’ peccati, etc…;

che le anime create per opera della natura, passano d’un ani-

mal in un altro.

Ha mostrato dissegnar di voler farsi autore di nuova setta sot-

to nome di nuova filosofia; ha detto che la Vergine non può

avere parturito, et che la nostra fede catholica è piena di beste-

mie contro la maestà di Dio; che bisognerebbe levar la dispu-

ta et le entrate alli frati, perché imbratano il mondo; che sono

tutti asini, et che le nostre opinioni sono dotrine d’asini; che

non abbiamo prova che la nostra fede meriti con Dio; et che il

non far ad altri quello che non voressimo che fosse fatto a noi

basta per ben vivere; et che se n’aride di tutti gl’altri peccati,

io Mocenigo in cor mio, davanti a voi, santi Inquisitori, spes-

so lo vedea ridere da solo come un pazzo…., et che si meravi-

glia di come Dio supporti tante Heresie di cattolici, et anche

delle loro idiozie…. 

(prosegue…)

 

 

 

 

 

i capi d'accusa 1

       

(fra) ERESIA E ORTODOSSIA (9) (non fu il solo…non fu il primo….)

Precedente capitolo:

eresia e ortodossia 8

Prosegue in:

Dialoghi con Pietro Autier &

Dialoghi con Pietro Autier 2

Da:


eresia e ortodossia 9


Frammenti in rima

 






Il più gran genio che vanti l’Italia, che riunì in sé solo tutto

lo scibile dell’età sua, corse il pericolo di cadere sotto l’In-

quisizione Romana, se per sciagura fosse in vita caduto sot-

to gli artigli del papato.

Fu l’ira del sacerdozio cotanto accanita contro di lui che il

cardinale del Poggetto giunto a Ravenna minacciò di far

disseppellire le spoglie mortali dell’Alighieri e porle sul ro-

go.

pietroautier4.jpg


Dante fu accusato d’eresia, e crediamo più presto per ira

sacerdotale (e per causa di talune rime poco..gradite…).

Né mai nelle sue opere trapelò parola che desse indizio

d’esser egli infetto da eresia.

L’ira che sovente nutriva contro gli abusi che vigoreggia-

vano in quest’epoca nella corte di Roma epoca di generale

corruzione, imperciocché anche presso la corte dei princi-

pi succedevano scandali e delitti, fu la causa principale

della vendetta del cardinale.


pietroautier1.jpg


Dante visse ramingo, recando ovunque amarissimo sdegno

contro coloro che l’avevano proscritto.

Ed il culto in cui tenni per tutta la vita questo sommo lumi-

nare non solo della poesia, ma della teologia, che gareggiare

può nella medesima con S. Tomaso d’Aquino, mi sforza a di-

re qualche cosa di lui, che mi fa ritornare agli anni della mia

giovinezza.


‘Di tutti i miseri m’incresce, ma ho maggior pietà di coloro in

quali in esilio affliggendosi rivedono solamente in sogno le pa-

trie loro’.


Così scivea Dante nel suo trattato della Volgare eloquenza:


Ciò nullameno eleggeva di starsi in perpetuo bando anziché torna-

re alla patria per vie convenienti solo ad uomini depressi e senza

fama. Erano a lui già proposte: che egli per certo spazio di tempo

si stesse prigione, indi in alcuna sollenità, tratto a pompa de’ ne-

mici con cero in mano e miteria in capo, fosse misericordievolmen-

te alla principale chiesa offerto.


Del preso decreto ebbe Dante contezza per buona persona,

cui risponde:


Questo è adunque il glorioso modo per cui Dante Alighieri si

richiama alla patria, dopo l’affanno di un esilio quasi trilustre?

Questo è il merito dell’innocenza mia, che tutti sanno?

E il largo sudore e le fatiche durate negli studi mi fruttano

questo?

Lungi da un uomo alla filosofia consacrato questa temeraria

bassezza, propria di un cuor di fango; e io a guisa di prigione

sostenga di vedermi offerto, come lo sosterrebbe qualche mise-

ro saputello o qualunque sa vivere senza fama.

Lungi da me banditore della rettitudine che io mi faccia tribu-

tario a quelli che m’offendono, come se elli avessero meritato

bene di me.

Non è questa la via per ritornare alla patria, o padre mio.

Ma se altra per voi o per altri si troverà che non tolga onore

a Dante né fama, ecco l’accetto, né i miei passi saranno lenti.

Se poi a Firenze non s’entra per una via d’onore, io non en-

trorovvi giammai.

E che?

Forse il sole e le stelle non si veggono da ogni terra?

E non potrò meditare sotto ogni plaga del cielo la dolce veri-

tà, s’io prima non mi faccio uomo senza gloria, anzi d’ignomi-

nia al mio popolo ed alla patria?




 

eresia e ortodossia 9


 


TRA ERESIA E ORTODOSSIA: PIETRO TAMBURINI (8)

Precedente capitolo:

eresia e ortodossia: un inquisitore 7

Prosegue in:

Dialoghi con Pietro Autier &

Dialoghi con Pietroa Autier 2


 

tra eresia e ortodossia: pietro tamburini







Nacque in Brescia nell’anno 1737 da famiglia popolana, percorse

con plauso gli studi e venne ordinato prete, indi dal cardinale Mo-

lino fu chiamato a professore nel Seminario, prima di filosofia e

poscia di teologia.

Alla fine del 1700 l’impulso della civiltà si propagava per tutta l’-

Italia; presentivano governi e governanti l’epoca della rigenera-

zione sociale prodotta dal cataclisma politico di Francia.

I governi per loro interesse dovevano circondarsi d’uomini illu-

minati, che sono sempre la più sicura guida dei medesimi.

Anche la tarda Austria si era scossa e Firmian, governatore di

Lombardia, aspirando a fama di saputo ingegno, mentre non era

se non astuto burocratico, avea chiamati ad illustrare l’Univer-

sità di Pavia uomini di fama mondiale.

 

tra eresia e ortodossia: pietro tamburini


Tamburini fu uno di questi.

Scopo di Tamburini era di ritrarre i giovani dalla lettura di rilas-

sati legisti coll’additare loro le vere sorgenti della morale evange-

lica, quali sono la Scrittura e la tradizione, onde poscia stabilire

il vero fine dell’uomo, punto su cui poggiano le verità più impor-

tanti dell’etica cristiana.

Mentre incubeva con tanta energia ed improba fatica ad edu-

care i giovani leviti perché un giorno fossero pastori zelanti e sa-

cerdoti sinceri, educati al vero ed odiatori di quell’ipocrisia che

forma per moltissimi di loro precipuo argomento, egli pubblicò

in Pavia l’opera dell”Etica cristiana.

 

tra eresia e ortodossia: pietro tamburini


La sua fama e la sua cultura toccarono l’apogeo, e se possono

riuscire onorevoli le visite degli imperatori, Tamburini n’ebbe

due: una di Giuseppe II, l’altra di Lepoldo, che si recarono a vi-

sitarlo nella sua cameretta a Pavia, divenuta il tempio della

scienza; e da Vienna, da Milano, dalla Toscana, da Venezia gli

capitavano onori e remunerazioni.

Morto Lepoldo, come suonò fama, di veleno, propinatogli da

congiurati, fra’ quali contavasi Francesco II suo figlio, che ere-

dò il trono, aborrendo costui d’ogni civiltà, detestava la scien-

za ed i cultori delle medesime.

Ipocrita e vigliacco d’animo, non appena asceso al trono, die-

tro istanze della curia romana, licenziò Tamburini e l’amico

suo Zola dalla cattedra che occupavano.

 

tra eresia e ortodossia: pietro tamburini


S’avvicinavano tempi procellosi; la libertà proclamata in Fran-

cia stendeva la sua bandiera in Italia; ove fervevano i cuori, e

qui trovò tempio e sacerdoti incorrotti la libertà, e per libertà

repubblicana non intendo la civica demagogia.

Tamburini, che la adorava col cuore, sentissi tutto consolare,

sebbene da alcuni malevoli fosse fatto oggetto di accuse e di ca-

lunnie, imperciocché si mostrava irremovibile nel fermo propo-

sito di non proclamare se non le immutabili massime conserva-

trici d’ogni buono e civile reggimento.

Chiamato dall’amministrazione generale ai riaperti studj tici-

nesi, vi leggeva filosofia morale e ne pubblicò le lezioni. Quan-

do Tamburini tornò all’antico domicilio in Pavia, ebbe a soffrire

 

tra eresia e ortodossia: pietro tamburini


non poche peripizie, inganni e privazioni sotto il governo degli

Austriaci per opera de’ suoi giurati nemici, ch’erano per lo più

sacerdoti che dalla tirranide di tal governo traevano baldanza

al misfare; e mentre egli colla sua influenza durante la repub-

blica avea salvato monsignor Navi, suo acerrimo nemico, che

trovavasi sul punto d’essere dannato a morte come convinto

di ribellione da uno spaventoso ed espedito tribunale, si vide

vittima egli stesso di persecuzione.

Nel 1814 svaniva il regno d’Italia, e tornavano ad opprimere

per queste contrade gli Austriaci, e Tamburini fu dichiarato

professore emerito, imperciocché la sua voce era temuta fra

la gioventù, quindi posto in quiescienza; ma non poté il go-

verno rifiutargli l’onorato grado di direttore degli studi poli-

tico-legali.

 

tra eresia e ortodossia: pietro tamburini


Fra tanti studj e fatiche e speranze e protezioni erasi condot-

to alla grave età di settant’anni, e mal comportando l’ozio, si

votò allora a vergare la Storia generale dell’inquisizione, ch’eb-

be tosto compiuta, essendo ammirabile la sua facilità di scri-

vere.




 

tra eresia e ortodossia: pietro tamburini

ERESIA E ORTODOSSIA:un inquisitore (7)

Precedente capitolo:

eresia e ortodossia 6

Prosegue in:

Dialoghi con Pietro Autier &

Dialoghi con Pietro Autier 2

 

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…Ebbene, quando si parla di Inquisizione (spagnola) del XV secolo,

il nome che su tutti gli altri emerge nella memoria è quello di Tomas

de Torquemada, giunto ad incarnare, dell’Inquisizione, l’aspetto più

orrendo e devastante.

Ed in effetti, Torquemada incarnò per vari anni l’essenza stessa del-

l’Inquisizione: almeno da quando il papa gli conferì, nel 1483, la qua-

lifica di Inquisitore generale per tutto il regno di Castiglia.

Fray Tomas, aveva allora 62 anni.

Discendente del cardinale Juan, famoso per aver difeso strenuamen-

te la tesi dell’infallibilità del papa, Tomas è un personaggio la cui

memoria galleggia tra storia e mito; in realtà, pochissima la storia.

Probabilmente nato ad Avila, attorno al 1420, giovanissimo, si era

fatto frate predicatore nel convento domenicano di San Paolo in

 

un inquisitore


Valladolid, col nome di Tommaso, in onore del santo domenicano

e filosofo, d’Aquino; da subito aveva abbracciato la riforma rigida

dell’Ordine, sulle orme del padre generale Alfonso de San Cebrian:

questa scelta testimonia a favore dell’immagine ascetica dell’uomo.

La sua carriera era stata folgorante: priore del convento di Santa

Cruz, a Segovia; confessore e confidente del tesoriere di Ferdinan-

do d’Aragona e Isabella di Castiglia; infine consigliere della stessa

Isabella.

La nomina ad inquisitore del regno era stata la degna conclusione

di un percorso di onori e di amicizie che, se non aveva pari, era cer-

tamente invidiabile.

Chi ne tesseva gli elogi, non mancava di sottolineare come non

mangiasse mai carne, non facesse mai uso di lino nel proprio letto,

non favorisse neppure i parenti più prossimi con benefici e regalie.


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Uomo di eloquenza potente, capace di suggestionare chiunque con

la predicazione, Tomas era la perfetta incarnazione dell’uomo di

fede desideroso di difendere la fede.

Fin qui la storia.

Dove risieda la verità posta fra storia e mito resta un mistero: come

sempre è l’anima dell’uomo a custodirla; in questo caso, l’anima del

giudice.


(Ma per sottolineare lo spirito dell’uomo di fede riflesso nello

specchio del suo tempo, mi è parso importante riportare per

intero quelle che furono talune disposizioni da lui emanate,

che forse ci fanno meglio capire l’animo dell’uomo nei con-

fronti della fede stessa da lui promossa e dibattuta, ‘conse-

gnata’ ai suoi fedeli e difesa dal pericolo di ogni diversa

ortodossia o eresia. Vedremo come in contraddizione con le

enununciazioni del ‘principio’ cristiano la solidarietà, l’a-

more fraterno, la tolleranza, e molti altri comandamenti, 

svilissero la loro natura originaria per reprimere qualsia-

si dissenso dinnanzi ad un solo infallibile ‘principio’.

Il concetto di ‘infallibilità’, cui vedremo in seguito, è un

dogma che nella sua breve enunciazione, lascia ampio spa-

zio al fenomeno ereticale. In onor di quella ‘infallibilità’,

della parola interpretata, sorge il ‘problema’ dell’eresia.

Ampie disquisizioni di natura eretica, che oggi interessa-

no forse soli pochi addetti ai lavori, nascono da ‘frammenti’

(per l’appunto), non scordiamoci poi che l’intero ‘edificio

teologico’ è una costante interpretazione di ‘frammenti’

lasciati alla memoria dei posteri, per quanto la memoria di

ogni tradizione, compresa quella che investe il mito era fin

dall’inizio orale, cioè non conosceva la consuetudine della

scrittura, il progresso e futura ‘comodità’ della scrittura.

Un po’quello che succede oggigiorno, nella differenza fra

la carta ‘uso stampa’ e il vasto mondo di Internet.

Fra il torchio ed i primi copisti, ed ancor prima del torchio

da stampa, i custodi  della memoria storica…ad uso della

cultura. 

All’inizio dei tempi, il bagaglio culturale di un popolo era

affidato alla memoria e tramandato oralmente.

Ragione per cui una monolitica parola come ‘infallibilità’ 

cela molto più di quanto in realtà un profano può intendere.

Cela le fondamenta (storiche) di una costruzione ed i suoi

muratori nei secoli, di conseguenza il condizionamento di

intere civiltà. Per concludere, vediamo le ‘disposizioni’, da

quelle ci facciamo un’idea precisa del personaggio, come di-

re, e tradotto nell’odierna democrazia riflessa nei suoi mez-

zi: ascoltiamo le sue chiacchiere, voci, grida, sussurri, paro-

le, invettive, e perché no, pettegolezzi sermoni, e lettere; fuo-

ri e dentro la Chiesa.

Sì perché la Chiesa era il principale centro di potere e culto

che ha caratterizzato e modellato per secoli le civiltà. Cosa

che sto analizzando nei capitoli dedicati ai ‘muratori’ su

questo stesso blog. Il motivo risiede nella storicità dell’am-

biente, cioè dove la storia e la vita avveni(va) e si caratteriz-

zava nei molteplici suoi aspetti.

– L’Autore del blog –

Grazie e buona lettura…)


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Divenuto Inquisitore generale, Torquemada si prefigge uno scopo

ben preciso, che non è quello di aumentare la rigorosità delle per-

secuzioni, bensì quello di regolamentare l’attività inquisitoriale.

Lo scopo è ‘nobile’ e perfettamente consuguente alle motivazioni

che hanno prodotto la sua nomina.

(Sulle parole dell’autore cui faccio riferimento in questa parentesi,

trovo del chiaro umorismo storico, cioè non si vuol affermare che To-

mas è meglio di altri, suoi consimili, ma solo che nei quasi 400 anni

dopo (e prima) analoghe persecuzioni, il tono è stato regolamentato; 

di fatto rimane pur sempre un documento raccapricciante per qualsi-

voglia libertà di pensiero e culto…

Una chiara ‘fotografia storica’ dell’evoluzione, pur sempre una evo-

luzione – intesa come miglioramento – all’interno, si faccia attenzio-

ne, dell'”intolleranza”. Autore del blog.)


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Il ‘Codice’ dell’Inquisizione viene promulgato il 29 ottobre 1484.

L’inquisitore generale  convinto di consegnare ai posteri un’opera che

può determinare la fine dell’eresia e l’inizio della giurisdizione della

fede.

Il Codice Torquemada è Composto di 28 articoli, il Codice ha questo

sviluppo:


Art 1. Gli inquisitori devono pretendere giuramento di fedeltà e di aiuto

da tutti coloro cui si rivolgono: il popolo, innanzitutto, ma particolarmen-

te i notabili, i governatori e gli ufficiali di giustizia.

Art. 2. Gli inquisitori devono leggere un monito contro i ribelli.

Art. 3. Deve sempre essere concesso un periodo di grazia (30 o 40 giorni)

per permettere ai peccatori di ravvedersi e agli altri di fare delazione. In

questo modo si eviteranno: morte, prigione, confisca dei beni.

Art. 4. Vengono determinati il modo e le domande dell’interrogatorio.

Art. 5. Si determina la richiesta di abiura e di penitenza pubblica per i rei

confessi.

Art. 6. Si determina l’interdizione dai pubblici impieghi e dai benefici eccle-

siasatici per eretici e apostati (anche se confessi); inoltre viene loro impedi-

to di vestire con eleganza, di indossare le armi e di montare a cavallo.

Art. 7. Agli eretici, preservati dal rogo, si dovranno affidare delle peniten-

ze, come le elemosine a favore del sovrano per la difesa della fede e l’assedio

ai mori di Granada.

Art. 8. Coloro che si presentano a confessare dopo il periodo di grazia avran-

no pene miti, ma più dure di coloro che sono venuti prima.

Art. 9. I figli di eretici, eretici a loro volta, ma minori di vent’anni, che confes-

sano il peccato, saranno trattati con mitezza, a causa della loro età.

Art. 10. Gli eretici che ricadono nel peccato vedranno i loro beni confiscati.

Art. 11. L’eretico o apostata arrestato per ‘delazione di altri’, che poi confes-

sa e svela i nomi dei complici, verrà punito solo con il carcere, commutabile in

una pena minore, per beneplacido degli inquisitori.

Art. 12 L’eretico di cui si sospetta che sia menzognero nel chiedere perdono,

sarà consegnato al braccio secolare (ossia al rogo).

Art. 13. Se qualcuno è stato assolto, ma si scopre che ha mentito su qualche

punto, verrà processato nuovamente come eretico impenitente.

Art. 14. Se qualcuno non confessa, i testimoni devono essere analizzati con

cura, prima di procedere contro il presunto reo.

Art. 15. Se sussiste una convergenza tra il detto dell’inquisito e quello dei

testimoni, si potrà torturare l’inquisito. Se uno confessa sotto tortura, oc-

correrà che ribadisca la confessione tre giorni dopo. Se non la ribadisce si

potrà ricominciare con la tortura.

Art. 16. Per la tutela dei testimoni, l’accusato non potrà conoscerne i nomi:

le deposizioni saranno pubblicate anonime.

Art. 17. L’interrogatorio deve essere condotto personalmente dall’inquisi-

tore.

Art. 18. L’inquisitore deve essere presente nel caso di tortura.

Art. 19. Si tratta del caso di contumacia.

Art. 20. Nel caso di una denuncia postuma si esumi il corpo dell’eretico.

Art. 21. Nel caso di richiesta dei sovrani, l’inquisitore avrà diritto anche

nei territori dipendenti dalla corona.

Art. 22. I figli di eretici consegnati al braccio secolare, devono essere tu-

telati ed educati secondo le direttive degli inquisitori.

Art 23. Si tratta di questioni di eredità tra eretici.

Art. 24. Gli schiavi cristiani degli eretici devono essere liberati.

Art. 25. Gli inquisitori non possono accettare regali da coloro che posso-

no avere a che fare con i processi.

Art. 26. Gli inquisitori dovranno agire d’accordo, in pace e per il bene

comune.

Art. 27. Gli inquisitori veglino sul buon comportamento dei loro dipen-

denti.

Art. 28. Le questioni non previste in questo codice devono essere decise

in buona fede dagli inquisitori stessi.

(Benazzi/D’Amico, Il Libro Nero dell’inquisizione)



 

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