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eresia e ortodossia: un inquisitore 7
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Nacque in Brescia nell’anno 1737 da famiglia popolana, percorse
con plauso gli studi e venne ordinato prete, indi dal cardinale Mo-
lino fu chiamato a professore nel Seminario, prima di filosofia e
poscia di teologia.
Alla fine del 1700 l’impulso della civiltà si propagava per tutta l’-
Italia; presentivano governi e governanti l’epoca della rigenera-
zione sociale prodotta dal cataclisma politico di Francia.
I governi per loro interesse dovevano circondarsi d’uomini illu-
minati, che sono sempre la più sicura guida dei medesimi.
Anche la tarda Austria si era scossa e Firmian, governatore di
Lombardia, aspirando a fama di saputo ingegno, mentre non era
se non astuto burocratico, avea chiamati ad illustrare l’Univer-
sità di Pavia uomini di fama mondiale.
Tamburini fu uno di questi.
Scopo di Tamburini era di ritrarre i giovani dalla lettura di rilas-
sati legisti coll’additare loro le vere sorgenti della morale evange-
lica, quali sono la Scrittura e la tradizione, onde poscia stabilire
il vero fine dell’uomo, punto su cui poggiano le verità più impor-
tanti dell’etica cristiana.
Mentre incubeva con tanta energia ed improba fatica ad edu-
care i giovani leviti perché un giorno fossero pastori zelanti e sa-
cerdoti sinceri, educati al vero ed odiatori di quell’ipocrisia che
forma per moltissimi di loro precipuo argomento, egli pubblicò
in Pavia l’opera dell”Etica cristiana.
La sua fama e la sua cultura toccarono l’apogeo, e se possono
riuscire onorevoli le visite degli imperatori, Tamburini n’ebbe
due: una di Giuseppe II, l’altra di Lepoldo, che si recarono a vi-
sitarlo nella sua cameretta a Pavia, divenuta il tempio della
scienza; e da Vienna, da Milano, dalla Toscana, da Venezia gli
capitavano onori e remunerazioni.
Morto Lepoldo, come suonò fama, di veleno, propinatogli da
congiurati, fra’ quali contavasi Francesco II suo figlio, che ere-
dò il trono, aborrendo costui d’ogni civiltà, detestava la scien-
za ed i cultori delle medesime.
Ipocrita e vigliacco d’animo, non appena asceso al trono, die-
tro istanze della curia romana, licenziò Tamburini e l’amico
suo Zola dalla cattedra che occupavano.
S’avvicinavano tempi procellosi; la libertà proclamata in Fran-
cia stendeva la sua bandiera in Italia; ove fervevano i cuori, e
qui trovò tempio e sacerdoti incorrotti la libertà, e per libertà
repubblicana non intendo la civica demagogia.
Tamburini, che la adorava col cuore, sentissi tutto consolare,
sebbene da alcuni malevoli fosse fatto oggetto di accuse e di ca-
lunnie, imperciocché si mostrava irremovibile nel fermo propo-
sito di non proclamare se non le immutabili massime conserva-
trici d’ogni buono e civile reggimento.
Chiamato dall’amministrazione generale ai riaperti studj tici-
nesi, vi leggeva filosofia morale e ne pubblicò le lezioni. Quan-
do Tamburini tornò all’antico domicilio in Pavia, ebbe a soffrire
non poche peripizie, inganni e privazioni sotto il governo degli
Austriaci per opera de’ suoi giurati nemici, ch’erano per lo più
sacerdoti che dalla tirranide di tal governo traevano baldanza
al misfare; e mentre egli colla sua influenza durante la repub-
blica avea salvato monsignor Navi, suo acerrimo nemico, che
trovavasi sul punto d’essere dannato a morte come convinto
di ribellione da uno spaventoso ed espedito tribunale, si vide
vittima egli stesso di persecuzione.
Nel 1814 svaniva il regno d’Italia, e tornavano ad opprimere
per queste contrade gli Austriaci, e Tamburini fu dichiarato
professore emerito, imperciocché la sua voce era temuta fra
la gioventù, quindi posto in quiescienza; ma non poté il go-
verno rifiutargli l’onorato grado di direttore degli studi poli-
tico-legali.
Fra tanti studj e fatiche e speranze e protezioni erasi condot-
to alla grave età di settant’anni, e mal comportando l’ozio, si
votò allora a vergare la Storia generale dell’inquisizione, ch’eb-
be tosto compiuta, essendo ammirabile la sua facilità di scri-
vere.