L’INDIVISIBILITA’ DEL BENE DAL MALE (la relazione di Jekyll sul caso…) (2)

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Dialoghi con Pietro Autier: l’indivisibilita del bene dal male

Prosegue in:

Dialoghi con Pietro Autier 2 &

gli occhi di Atget

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l’indivisibilità del bene dal male 2 &

la forma è il vuoto

e il vuoto è la forma stessa

Da:

Frammenti in rima


 

l'indivisibilità del bene dal male 2

 

 





Ero sempre a questo punto quando, come ho detto, le mie ricerche di

laboratorio cominciarono a gettare una luce inaspettata sulla questio-

ne.

Cominciai a percepire, più a fondo di quanto fosse mai stata ricono-

sciuta, la tremula immaterialità, la vaporosa inconsistenza del cor-

po, così solido in apparenza, di cui andiamo rivestiti.

Scoprii che certi agenti chimici avevano il potere di scuotere via

questo rivestimento di carne, come il vento fa volare le tende di un

padiglione. 

 

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Ho due buone ragioni per non entrare troppo in particolari, in

questa parte scientifica della mia confessione.

La prima è che il nostro destino e il fardello della nostra vita, co-

me ho imparato a mie spese, sono legati per sempre sulle nostre

spalle: se tentiamo di liberarcene, ce li ritroveremo addosso in

qualche forma nuova e ancora più insopportabile.

La seconda è che la mia scoperta, come purtroppo risulterà evi-

dente da questo scritto, è rimasta incompleta.

Mi limiterò a dire, perciò, che non solo riconobbi nel mio corpo,

nella mia natura fisica, la mera emanazione o effluvio di certe

facoltà del mio spirito, ma elaborai una sostanza capace di in-

debolire quelle facoltà e suscitare una seconda forma corporea,

non meno connaturata in me in quanto espressione di altri po-

teri, anche se più vili, della mia stessa anima. 

 

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Esitai a lungo prima di passare dalla teoria alla pratica.

Sapevo bene di rischiare la vita, poiché era chiara la pericolosità

di una sostanza così potente da penetrare e scuotere dalle fonda-

mente la stessa fortezza dell’identità personale: sarebbe bastato il

minimo errore di dosaggio, la minima controindicazione, per can-

cellare del tutto quell’immateriale tabernacolo che mi proponevo

di cambiare.

Ma la tentazione di applicare una scoperta così singolare e pro-

fonda era tale, che alla fine vinsi ogni paura.

 

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Avevo preparato la mia tintura già da un pezzo; acquistai allo-

ra da una ditta farmaceutica un quantitativo importante di un

certo sale, che a quanto mostravano i miei esperimenti era l’ulti-

mo ingrediente necessario, e quella stessa notte maledetta prepa-

rai la pozione. 

Guardai il liquido che ribolliva e fumava nel bicchiere, aspettai

che terminasse l’effervescenza, poi mi feci coraggio e bevvi.

Subito dopo fui assalito da spasimi atroci: un senso di frantuma-

zione delle ossa, una nausea mortale, e un orrore, una revulsione

dello spirito, quale non si potrebbe immaginare maggiore nell’-

ora dell’uscita della morte.

Ma presto queste torture cessarono, e riprendendo i sensi mi

trovai come uscito da una grave malattia. C’era qualcosa di

strano nelle mie sensazioni, qualcosa di indicibilmente nuovo

e perciò stesso di indicibilmente gradevole. 

 

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Mi sentii più giovane, più leggero, più felice fisicamente, men-

tre nel morale ero conscio di altre trasformazioni: una capar-

bia temerarietà, una rapida e tumultuosa corrente di immagi-

ni sensuali, uno scioglimento dai freni dell’obbligo, un’ignota

ma innocente libertà dell’anima. 

 

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E subito, fin dal primo respiro in quella nuova vita, mi seppi 

portato al male con impeto decuplicato e interamente schiavo

del mio peccato d’origine. Ma questa stessa consapevolezza,

in quel momento, mi esaltò e deliziò come il vino.

Allargai le braccia, esultando nella freschezza di queste sensa-

zioni, e mi resi improvvisamente conto di essere diminuito di

statura.

Non c’era uno specchio allora in questa stanza (quello che è

ora di fronte a me mentre scrivo, lo misi qui in seguito proprio

per controllare le mie trasformazioni).

Ma la notte era già inoltrata: per buio che fosse, anzi, il matti-

no era già prossimo a concepire il giorno, e la servitù era chiu-

sa e sbarrata nelle ore più rigorose del sonno.

Decisi dunque, esaltato com’ero dalla speranza e dal trionfo,

di avventurarmi in quella nuova forma fino alla mia stanza

da letto (e sempre in quella forma in altra luoghi e case… nul-

la sembrava potermi contenere…padrone di ogni cosa e di o-

gni pensiero, il male in assoluto…).

Traversai il cortile suscitando (così forse pensai) la meravi-

glia delle costellazioni, alla cui insonne vigilanza si scopriva

il primo essere della specie.

Scivolai per i corridoi, straniero nella mia (…….) casa.

E giunto nella (……) stanza, contemplai per la prima volta l’-

immagine di Edward Hyde.

(R.L. Stevenson, Lo strano caso del Dr. Jekyll e del Sig. Hyde)



 

 

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