UN MONDO PIENO DI IMMAGINI (ma povero di contenuti) (42)

Precedente capitolo:

I benefici della biodiversità delle piante (40/41)

Prosegue in:

Ammazzare il Tempo: verità scientifica e verità teologica (43)

Foto del blog:

Un po’ di storia (1) &

Un po’ di storia (2)

Da:

i miei libri

 

 

un mondo pieno di immagini

 

 

 

 

 

Leucippo di Mileto e il suo allievo Democrito erano contemporanei

di Empedocle, ma più giovani.

Leucippo non solo inventò l’idea dell’atomo ma anche, si dice, in-

trodusse due idee sulla visione che sono cruciali per ciò che se-

gue.

La prima è che la maggior parte delle esperienze sensoriali sono

essenzialmente passive. Noi esploriamo attivamente il nostro mon-

do fin dove arriva la punta delle nostre dita; tutte le altre sensazio-

ni scorrono dal mondo esterno ai nostri sensi, che in qualche modo

le comunicano alla mente.

Questo è abbastanza facile da immaginare quando annusiamo un

fiore: esso emana piccole particelle che profumano l’aria, e noi le

percepiamo con un organo di senso quando la inaliamo.

Può anche spiegare come facciamo ad udire, se crediamo che esi-

stano atomi di suono, come i commentatori successivi certamen-

te fecero.

Ma la vista presenta un problema unico, perché come si fa spie-

gare un’immagine con una qualunque sorta di emanazione?

La seconda idea di Leucippo risponde a questa domanda.

Pare abbia insegnato che sotto l’influenza della luce la superfi-

cie di ogni oggetto visibile produca continuamente sottili veli di

materia, forse non più spessi di un atomo, che si staccano e con-

servano la loro forma mentre viaggiano in ogni direzione a una

velocità immensa.

Sebbene essi possano essere piuttosto distanti nello spazio, arri-

vano insieme nel tempo, e in tal modo la nostra visione di una

scena mutevole e quasi continua, come ciò che vediamo al cine-

ma.

Abbiamo bisogno di una parola per un’immagine simile.

Il termine greco è éidolon, ovvero immagine; in seguito, in latino

vennero chiamate simulacra, e ancora più tardi specie, col signifi-

cato di apparenze, ma a quel punto era cambiato il concetto che

stava dietro l’idea.

Per il momento useremo éidolon.

Si è tentati di ridere all’idea di questa éidola (immagini), ma se 

cominciamo adesso dovremmo ridere per parecchio tempo, men-

tre sarebbe meglio farsi seri e confrontare ciò che è appena stato 

proposto con il modello di Empedocle.

Entrambi i filosofi possono spiegare perché non riusciamo a ve-

dere un oggetto messo accanto alla pupilla: secondo Empedocle

perché impedisce al raggio visivo di uscire, e secondo Leucippo

perché l’èidolon è troppo grande per entrarvi.

Leucippo può aver spiegato perché non possiamo vedere al bu-

io, ma Democrito, sviluppando l’idea di Leucippo, sostiene che

in effetti noi vediamo al buio se la nostra mente è sensibilizzata

dal sonno, poiché ci sono éidola che continuano a fluttuare attor-

no anche la notte, a riempire i nostri sogni.

Plutarco, in uno dei suoi quindici volumi di dialoghi intitolati

‘Simposio’, afferma che per Democrito le éidola emanano da noi

tutti, portando copie spettrali di impulsi mentali, progetti, qua-

lità morali ed emozioni, che parlano come se fossero vive.

Se Empedocle, facendo appello a qualcosa di analogo al sen-

so del tatto, spiega facilmente perché vediamo solo la superfi-

cie di una cosa che ci sta di fronte (l’esempio può essere enun-

ciato con l’immagine proposta un po’di storia 2, cosa vedono

loro… cosa vediamo noi…; se pur il paragone può apparire

fuori luogo è pur sempre valido ai fini puramente estetici dei

contenuti, applicati a concetti più estesi in riferimento all’im-

magine percepita nel suo insieme. Cosa vediamo noi……..

e cosa vedono loro. Ciò che percepisce l’occhio, associato al

vasto contenuto psicologico che compone l’immagine.

Pochi scorgono la luce, molti vedono l’occhio artificiale in

primo piano, altri compongono delle strane ed inattendibi-

li associazioni mentali… Se pur Empedocle, Leucippo, ed al-

tri che verranno, potranno apparire arcaici nelle loro intuizio-

ni, le loro teorie appaiono ancor oggi valide se poste in un di-

verso piano di contenuti…), con Leucippo la faccenda non è

altrettanto chiara.

Se percepiamo l’intera éidolon, perché non vediamo l’oggetto

tutto insieme, davanti, dietro e di lato?

Se riceviamo solo la parte che si muove verso di noi, allora

non c’è realmente una cosa come l’éidolon, perché si dovrebbe 

frammentare non appena si forma, con le diverse parti che se

ne vanno in direzioni diverse. 

La teoria delle éidola contiene un’altra serie di problemi che

dominarono la ricerca nel campo dell’ottica fino a quando il

filosofo arabo del IX secolo Alkindi cominciò a dimostrare

come si potesse superare l’ostacolo.

Supponiamo di guardare una montagna.

Come fa la sua immagine, l’éidolon a entrare tutta quanta nel

mio occhio?

E inoltre, perché quando una cosa è lontana sembra più pic-

cola?

Forse perché le éidola diventano più piccole mentre si muovo-

no nello spazio?

E poi, come fa l’éidolon a sapere dove mi trovo, per diventare

dell’esatta grandezza e volar dentro al piccolo foro del mio oc-

chio?

 

 

 

 

un mondo pieno di immagini

          

NUTRIMENTO DAI ‘FOTONI’ (37)

Precedente capitolo:

Nutrimento dai ‘fotoni’ (36)

Prosegue in:

Ammazzare il Tempo: verità scientifica e verità ideologica (ovvero il regime velato) (38/39) &

I benefici della biodiversità delle piante (40/41)

Foto del blog:

Appie Bonis (1) &

Appie Bonis (2)

Da:

i miei libri

 

gl9

 

 

 

 

 

Poiché sapeva che una candela accesa in uno spazio chiuso

si spegne spontaneamente dopo circa il 20% dell’aria è stato

consumato, Priestley concluse che gli animali e gli oggetti che

bruciano rendono l’aria impura, così che essa non può soste-

nere la vita animale.

Altre due osservazioni portarono però Priestley a compiere un

grande passo avanti. Innanzitutto, quando in un recipiente chiu-

so l’aria pura veniva sostituita con il contenuto delle bolle pro-

dotte dalla fermentazione della birra, oppure con l’ ‘aria impura’

prodotta dalla respirazione del topo o dalla combustione di una

candela, il sistema non era in grado di sostenere la respirazio-

ne di alcun animale.

 

gl11

 

In secondo luogo, un topo confinato in quello spazio soffocava

rapidamente senza che l’aria presente nel sistema subisse ul-

teriori perdite di volume. Chiaramente, i campioni di aria sosti-

tuita erano privi di qualcosa di essenziale alla respirazione del

topo.

Poiché Priestley era convinto dell’unità delle forme viventi, si

aspettava che anche un ramoscello di menta, confinato in u-

no spazio chiuso, avrebbe, come il topo, reso l’aria ‘impura’.

Con sua grande sorpresa, invece, il ramoscello prosperò nel

contenitore chiuso, diventando ancor più vigoroso di un ramo-

scello simile, lasciato aperto.

 

gl12

 

La grande scoperta, resa pubblica nel 1772, giunse quando

egli constatò che l’aria resa ‘impura’ dalla respirazione di un

topo o dalla combustione di una candela poteva essere ‘pu-

rificata’ da una pianta chiusa per qualche tempo nello stesso

spazio.

Questa scoperta portò Priestley a enunciare il principio gene-

rale secondo il quale tra la vita animale e quella vegetale esi-

ste una relazione di complementarità: mentre gli animali ren-

dono l’aria impura e inadatta al perpetuarsi della vita, le pian-

te la purificano, consentendo alla vita animale di prosperare.

E questo è, naturalmente, un altro modo per descrivere il rap-

porto reciproco fra fotosintesi e respirazione cui abbiamo ac-

cennato…

 

gl13

 

Sebbene fosse convinto della fondatezza delle sue osserva-

zioni e della generalizzazione che ne derivava, Priestley am-

mise di essere sconcertato dall’incostanza dei risultati che

otteneva. Le sue piante, infatti, non sempre riuscivano a pu-

rificare l’aria impura. Priestley non scoprì mai il perché, ma

noi possiamo ipotizzare che nei diversi esperimenti le condi-

zioni di illuminazione non fossero costanti, e questo non solo

a causa della variabilità del tempo atmosferico o dell’ora della

giornata, ma anche perché probabilmente Priestley non si

preoccupava di eseguire gli esperimenti sempre nella mede-

sima zona del laboratorio.

 

gl15

 

Il fatto che la luce avesse svolto un ruolo fondamentale negli

esperimenti di Priestley fu accertato nel 1779 da Jan Ingen-

housz, un medico olandese che durante un soggiorno in In-

ghilterra ripeté ed estese le osservazioni di Priestley. Pres-

sappoco nello stesso periodo gli esperimenti di Ingenhousz

furono ripetuti anche da Jean Senebier, un ecclesiastico

svizzero.

Partendo da quanto aveva osservato Priestley, e cioè che la

menta cresceva meglio nell’aria impura che all’aperto, Sene-

bier scoprì che l’aria impura aumentava le capacità purificatri-

ci della pianta in presenza di luce, e che lo stesso effetto ave-

va l’aria arricchita di una sostanza sconosciuta, che egli….

chiamò ‘aria viziata’.

 

gl16

 

Pressappoco nello stesso periodo, Antoine Lavoisier e altri

chimici andavano fornendo informazioni sulla natura dell’ ‘aria

viziata’, dell’ ‘aria impura’ e dell’ ‘aria pura’. L’aria impura diffe-

riva da quella pura per due aspetti importanti: era priva di os-

sigeno ed era ricca di anidride carbonica, a sua volta identi-

ca all’ ‘aria viziata’.

Avvalendosi di questa nuova conoscenza e basandosi sulle

osservazioni di Senebier, Ingenhousz stabilì che l’aumento

del peso delle piante deriva dall’assorimento dell’anidride

carbonica presente nell’aria viziata.

 

gl17

 

Questa scoperta confermò l’ipotesi formulata molto tempo

prima da Stephen Hales, che l’aria avesse un ruolo importan-

te nella nutrizione delle piante. Poco dopo, l’applicazione del-

le leggi della chimica quantitativa permise al botanico svizzero

Nicolas de Saussure di scoprire che nelle piante l’aumento di

peso secco superava di gran lunga il peso dell’anidride carbo-

nica assorbita.

E poiché le sue piante erano coltivate in acqua pura, egli ne

dedusse, rifacendosi a van Helmont, che l’acqua doveva es-

sere incorporata nella materia secca formatasi nel processo

di purificazione dell’aria.

 

gl19

 

La grande scoperta finale arrivò nel 1845, grazie non alla chi-

mica, bensì alla fisica: Robert Mayer, un chirurgo tedesco che

aveva in precedenza enunciato la legge della conservazione

dell’energia, dimostrò che la combustione della materia orga-

nica prodotta dalla fotosintesi libera una quantità di energia e-

quivalente all’energia luminosa assorbita dalla pianta.

Un secolo e mezzo fa gli scienziati giunsero così a mettere in

luce la natura fondamentale della fotosintesi: un meccanismo

capace di convertire l’energia radiante del Sole in una forma

chimica immagazzinabile.

 

(fotografie di: Appie Bonis…)

 

 

 

 

 

glapertura12

 

IL FIORE O IL DODECAEDRO? (33)

Precedenti capitoli:

La coscienza (29) &

Breve cerchio… (31) &

Il fiore o il…. (32)

Prosegue in:

Ammazzare il Tempo: il fiore o il dodecaedro (ricerca dell’assoluto..) (35/34)

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Giuliano Lazzari (il fotoblog) &

Pietro Autier (il fotoblog)

Da:

i miei libri

 

 

ag25

 

 

 

 

Le piante dunque trasformano l’atmosfera terrestre, dalla quale

dipende tutta la vita esistente sul pianeta, sia liberando ossige-

no sia assorbendo anidride carbonica.

Si pensa che l’atmosfera terrestre primitiva consistesse in larga

misura di idrogeno, metano, ammoniaca e acqua, nonché di u-

na certa quantità di anidride carbonica.

Una simile miscela risulterebbe tossica per tutte le forme di vita

che oggi conosciamo, con pochissime eccezioni. L’attuale at-

mosfera, invece è caratterizzata dall’abbondanza (circa il 21%)

di ossigeno libero, assolutamente necessario a quasi tutte le

forme di vita superiori; si pensa che praticamente tutto l’ossi-

geno presente nella nostra atmosfera derivi dalla semplice fo-

tolisi dell’acqua effettuata nelle foglie delle piante.

Nella stratosfera, parte dell’ossigeno, (O(2)), viene convertita in

ozono, (O(3)), per azione della luce ultravioletta, e tale ozono

stratosferico protegge la vita presente sulla superfice terrestre

assorbendo gran parte delle pericolose radiazioni ultraviolette

provenienti dal Sole.

Il pianeta Marte ci offre l’esempio di un ambiente ostile alla vita,

perché privo di ozono atmosferico: l’azione dei raggi ultraviolet-

ti ha infatti trasformato la superficie minerale di quel pianeta,

generando sostanze ossidanti e corrosive che distruggerebbe-

ro le molecole della materia vivente.

Gran parte dell’anidride carbonica gassosa nell’atmosfera

primordiale fu convertita in zuccheri dalle piante. L’odierna atmo-

sfera terrestre, perciò, è diversa da quella primordiale anche per

il suo contenuto estremamente basso (0,033%) di anidride car-

bonica.

Questa alterazione della composizione chimica dell’atmosfera

evitando l’eccessivo riscaldamento della Terra dovuto al tratte-

nimento delle radiazioni infrarosse per effetto dell’anidride car-

bonica, ha indirettamente reso possibile la presenza di acqua

allo stato liquido.

Poiché tutte le cellule viventi contengono un fluido acquoso che

è il mezzo fondamentale in cui avvengono i processi metabolici,

la presenza di temperature che consentono all’acqua di esiste-

re allo stato liquido è probabilmente la condizione più importante

perché la vita possa prosperare sulla Terra.

Sul nostro pianeta, la diffusione delle forme viventi è limitata so-

prattutto dal fattore temperatura, ed affinché la maggior parte del-

le forme viventi possa sopravvivere, la temperatura del pianeta

non deve aumentare in misura tale da far evaporare l’acqua, in-

nescando dei processi chimici irreversibili dalle gravi……..

….. conseguenze…..

 

(Prosegue….)

 

 

 

 

ag7

 

AMMAZZARE IL TEMPO: … breve cerchio… (31)

Precedente capitolo:

… Breve cerchio… (30)

Prosegue in:

Ammazzare il Tempo: il fiore o il dodecaedro? (32)

Foto del blog:

Brevi cerchi (1) &

Brevi cerchi  (2)

Da:

i miei libri

 

 os16

 

 

 

 

 

Sto congetturando che, in tali circostanze, la coscienza avrebbe

il dovuto riconoscimento come mezzo per suscitare i giudizi ap-

propriati.

Perché dico il contrassegno della coscienza è una forma di giu-

dizio non algoritmica?

La ragione deriva in parte dalle mie esperienze come matematico.

Io semplicemente non mi fido delle mie azioni algoritmiche incon-

sce quando la mia consapevolezza non dedica loro un’attenzio-

ne sufficiente.

Spesso non c’è niente di sbagliato nell’algoritmo in quanto algori-

tmo, in un qualche calcolo che viene eseguito, ma è quello il giu-

sto algoritmo da scegliere per il problema in oggetto?

Per fare un esempio semplice, una volta imparate le regole algo-

ritmiche per moltiplicare due numeri fra loro e per dividere un nu-

mero per un altro, come si può sapere se, in un problema dato,

si debbano moltiplicare i due numeri oppure dividerne uno per

l’altro?

Per prendere questa decisione si deve pensare, e formulare un

giudizio cosciente. Ovviamente, una volta che sia risolto un gran

numero di problemi simili, la decisione se moltiplicare o dividere

i numeri potrebbe diventare naturale e potrebbe essere eseguita

algoritmicamente, magari dal cervelletto.

A questo punto la consapevolezza non è più necessaria; allora

si può permettere senza pericolo alla propria mente cosciente di

vagare e contemplare altre cose, anche se di tanto in tanto si può

avere bisogno di controllare che l’algoritmo non sia stato tratto in

errore in qualche modo.

Lo stesso tipo di cosa avviene di continuo a tutti i livelli nel pen-

siero matematico. Spesso quando si fa matematica, ci si sforza

di trovare algoritmi, ma questo sforzo non sembra essere un

procedimento algoritmico.

Una volta trovato un algoritmo appropriato, il problema è in un

certo senso risolto. Inoltre il giudizio matematico che un qualche

algoritmo sia in effetti esatto o appropriato è un tipo di ragiona-

mento che richiede molta attenzione cosciente.

Qualcosa di simile si verificò nel caso della discussione di siste-

mi formali per la matematica descritti da Godel.

Si può prendere l’avvio da alcuni assiomi, dai quali si devono

derivare varie proposizioni matematiche. Quest’ultimo procedi-

mento potrebbe essere in effetti algoritmico, ma per decidere se

gli assiomi siano o no appropriati occorre il giudizio di un mate-

matico cosciente.

… Come ho detto in precedenza, buona parte della ragione per

credere che la coscienza sia in grado di influire su giudizi di veri-

tà in un modo non algoritmico deriva dalla considerazione del

Teorema di Godel…… (nella presente circonferenza inscritto).

(Roger Penrose, La mente nuova dell’Imperatore)

(Fotografie di: Ole Salomonsen)

 

 

 

 

os19

AMMAZZARE IL TEMPO: motore immoto (23)

Precedenti capitoli:

Nuova cosmologia compiuta (18/19) &

Dall’Alchimia….  All’ Algenia (20/21) &

Motore immoto (22)

Prosegue in:

La scienza Sacra (25/24)

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Motore immoto (1) &

La scienza Sacra (2)

Da:

i miei libri

 

 

giotto4

 

 

 

 

(Da: Motore immoto….)

La ragione naturale, però, è deficiente nelle cose di Dio; può

dimostrare alcune parti della fede, ma non altre. Può dimo-

strare l’esistenza di Dio e l’immortalità dell’anima, ma non la

Trinità, l’Incarnazione o il Giudizio finale.

Tutto ciò che è dimostrabile è in accordo con la fede cristiana,

e nulla nella rivelazione è contrario alla ragione. Me è importan-

te distinguere gli argomenti di fede che possono essere dimo-

strati mediante la ragione, da quelli che non lo possono.

 

giotto5

 

Di conseguenza, dei quattro libri in cui è divisa la ‘Summa’, i

primi tre non fanno alcun richiamo alla rivelazione, fuorché per

mostrare che essa è in accordo con le conclusioni cui giunge

la ragione; soltanto nel quarto libro sono trattate materie che è

impossibile alla ragione umana comprendere al di fuori della

rivelazione.

Il primo passo è dimostrare l’esistenza di Dio.

 

giotto3

 

Alcuni pensano che questo non sia necessario, dato che l’esi-

stenza di Dio (essi dicono) è evidente di per se stessa. Se noi

conoscessimo l’essenza di Dio, ciò sarebbe vero, dato che in

Dio, essenza ed esistenza sono una cosa sola.

Ma noi non conosciamo la Sua essenza, se non molto imper-

fettamente. I dotti conoscono più della Sua essenza che non

gli ignoranti, e gli angeli la conoscono più di entrambi questi

ultimi ma nessuna creatura la conosce abbastanza da poter

dedurre l’esistenza di Dio dalla Sua essenza.

 

giotto1

 

Quindi è respinto l’argomento ontologico.

E’ importante ricordare che le verità dimostrabili possono an-

che essere conosciute attraverso la fede. Le prove sono diffi-

cili e possono essere capite soltanto dai dotti; ma la fede è

necessaria agli ignoranti, ai giovani e a chi, per le preoccupa-

zioni pratiche, non ha il tempo di studiare la filosofia.

Per loro la rivelazione è sufficiente.

C’è chi dice che Dio è conoscibile soltanto attraverso la fede.

 

giotto14

 

Costoro sostengono che, se i principi della dimostrazione so-

no noti attraverso l’esperienza dei sensi, come è detto nel

‘Secondi Analitici’, tutto ciò che trascende i sensi non si può

dimostrare.

Questo, però, è falso; ed anche se fosse vero, Dio potrebbe

sempre esser conosciuto attraverso i suoi effetti sensibili.

L’esistenza di Dio è dimostrata, come in Aristotele, per mez-

zo dell’argomento del Motore immoto.

 

giotto6

 

Ci sono cose che sono soltanto mosse, ed altre che al tem-

po stesso muovono e sono mosse. Tutto ciò che è mosso,

è mosso da qualcosa, e dato che è impossibile risalire all’-

infinito, dobbiamo arrivare, in qualche luogo, a qualcosa che

muove senza esser mosso.

Questo Motore immoto è Dio.

Si potrebbe obiettare che questo argomento implica l’eternità

del movimento, che i cattolici respingevano. Ma tale obiezione

sarebbe un errore: l’argomento è valido nell’ipotesi dell’eterni-

tà del movimento, ma è soltanto rafforzato dall’ipotesi oppo-

sta, che implica un inizio e quindi una Causa Prima……

(B. Russell, Storia della Filosofia occidentale)

 

 

 

 

giotto13

 

(dall’alchimia) ALL’ ‘ALGENIA’ (21)

Precedenti capitoli:

Dall’Alchimia all’Algenia (20) &

Nuova cosmologia compiuta (19) &

Un genio al servizio di quale Dio?

Prosegue in:

Motore immoto (22) 

Foto del blog:

Primo Dialogo con la Creazione (1) &

Primo Dialogo con la Creazione (2)

Da:

i miei libri

  

 

all'algenia

 

 

 

 

 

 (Da l’alchimia)

 

Un algenitista considera il mondo vivente una realtà ‘in

potentia’.

A questo riguardo, l’algenitista non pensa a un organismo

come a un’entità distinta e separata, ma piuttosto come a

una serie di rapporti temporanei posti in un contesto in

movimento, in procinto di diventare qualcosa d’altro.

Per l’agenitista, i confini di specie sono soltanto delle co-

mode etichette atte a identificare una condizione biologi-

ca o una relazione che ci è familiare, non sono muri im-

penetrabili che separano le varie piante e i vari animali.

Thomas Eisner, professore di Biologia e direttore dell’Isti-

tuto di ricerca sull’ecologia chimica della Cornell Univer-

sity a Itacha,  New York, propone di ripensare la nostra

idea di ‘specie’. 

Dopo i recenti progressi registrati sul terreno dell’inge-

gneria genetica (una specie biologica) deve essere vista

come un contenitore di geni potenzialmente trasferibi-

li. Una specie non è semplicemente un volume rilegato

della biblioteca della natura. E’ anche un libro ad anel-

li, le cui singole pagine, i geni, possono essere trasferiti

da una specie all’altra. 

Gli algenetisti sostengono che tutte le cose viventi sono

riconducibili a un materiale biologico di base, il Dna,

che può essere estratto, manipolato, ricombinato e pro-

grammato mediante una serie di elaborate procedure

da laboratorio, in un infinito numero di combinazioni.

Rielaborando i materiali bilogici con l’ingegneeria ge-

netica, l’agenetista può creare ‘imitazioni’ di organismi

biologici già esistenti che reputa dotati di natura supe-

riore rispetto a quelli copiati.

Lo scopo finale dell’algenitista è quello di costruire l’or-

ganismo ‘perfetto’. Lo ‘stato aureo’ è lo stato dell’effici-

enza ottimale. La natura per lui è un ordine gerarchico

di sistemi viventi sempre più efficienti.

L’algenitista è l’estremo ingegnere.

Il suo scopo è quello di ‘accelerare’ il processo naturale,

programmando nuove creazioni più ‘efficienti’ di quel-

le già esistenti allo stato naturale.

L’algenia (il secondo gradino della rivoluzione carte-

siana) è filosofia e processo.

E’ allo stesso tempo un modo di percepire la natura (e

con essa purtroppo l’intera …realtà…) e un modo di a-

gire su di essa.

Ci stiamo spostando dalla metafora dell’alchimia a …

quella dell’algenia.

I vantaggi a breve termine di questo straordinario nuo-

vo potere sono allettanti. Tuttavia la storia ci ha insegna-

to che ogni nuova rivoluzione tecnologica porta con sé

non solo benefici, ma anche costi.

Più la tecnologia è in grado di espropriare e di controlla-

re le forze della natura, più alto è il prezzo che dovremo

pagare in termini di sconvolgimento e di distruzione de-

gli ecosistemi sociali che sostengono la vita….

(Jeremy Rifkin,   Il Secolo biotech)

 

 

 

 

all'algenia

 

PRIMO DIALOGO CON LA CREAZIONE (2)

Precedente capitolo:

Primo Dialogo con la Creazione

Prosegue in:

Primo Dialogo con la Creazione (3) &

Primo Dialogo con la Creazione (4)

Foto del blog:

Primo Dialogo con la Creazione (1) &

Primo Dialogo con la Creazione (2)

Da:

i miei libri

 

 

Giuliano Lazzari 03

 

 

 

 

 

Fra una donna che parla

e un strega che urla,

e lo sciamano che racconta

la strana avventura.

Rantolo di voce

chi non conosce ancora

la luce.

Sibilo di vento che è solo

tormento,

una nascita oscura

di un grande Universo.

Frammenti confusi di un primo vagito,

lo sciamano parla la lingua di Dio. (5)

 

Racconta la vita

come lui la raccolta:

sogno oracolare

un lamento che brucia,

stretto fin dentro la gola.

Poi parla con il vento,

suono difficile da catturare.

La coscienza assume la forma,

la parola uguale colore

elemento dell’Universo,

ora disceso fino alla grotta,

specchio della sua

invisibile e prima memoria.

Narra il suono di un tamburo,

corre per un patimento,

suo eterno tormento. (6)

 

Scandisce il tempo di un Dio,

nato dalla strofa di un boato,

precipitato da una forma perfetta,

ad un caos di prima materia.

E’ la danza dell’Universo,

inciampa poi s’alza,

vuol scoprire un mondo

privo del Primo Pensiero.

Spirito che abbraccia

la sua strana illusione,

parola che crea,

e tempo che prega.

Materia che nasce e muore,

in questa strana visione.

Scordando il suo principio,

prima e increata sostanza,

racchiusa in un punto

della memoria.

Quando l’intero mondo raccolto,

racconta ora…,

… la sua eterna storia. (7)

 

L’uomo barbuto,

dopo aver bevuto l’intruglio,

sente anche lui il rumore

di un lontano pianeta perduto.

Vede luci e colori,

passi di danza

di antichi rumori.

A ritroso precipitano

per svelare gli accordi

di un nuovo strumento.

Narrano la scienza mai morta

di una stella che nasce,

e un’altra che tramonta.

Nell’infinito ciclo di una memoria

…non ancora colta. (8)

 

(Giuliano Lazzari, Frammenti in Rima)

 

 

 

 

 

Giuliano Lazzari 04

 

AMMAZZARE IL TEMPO (mondo organico unità feconda…) (15)

Precedente capitolo:

Ammazzare il Tempo (la vita nel suo progredire) (14)

Prosegue in:

Ammazzare il Tempo (finalismo & meccanicismo) (17/16)

Foto del blog:

Ammazzare il Tempo (1)

Ammazzare il Tempo (2)

Da:

i miei libri

 

 

gb49

 

 

 

 

 

Questo è il primo errore del finalismo, che ne porta con sé uno

ancora più grave.

Se la vita realizza un piano, dovrà manifestare, nel suo progre-

dire, un’armonia sempre più perfetta. Così, la casa rispecchia

sempre meglio l’idea dell’architetto a mano a mano che pietre

si aggiungono alle pietre.

 

gb24

 

Se invece l’unità della vita sta interamente nello slancio che la

spinge sulla strada del tempo, l’armonia non si troverà in avan-

ti, ma indietro. L’unità proviene da un vis a tergo: è data all’ini-

zio come impulso, e non posta alla fine come punto di attra-

zione.

Lo slancio, trasmettendosi, si suddivide sempre di più.

La vita, nel suo progredire, si dirama in manifestazioni che, in

virtù della loro origine comune, saranno senz’altro complemen-

tari per certi aspetti, ma che nondimeno resteranno in antagoni-

smo e tra loro incompatibili.

 

gb51

 

La disarmonia tra le specie andrà così accentuandosi.

E sin qui ne abbiamo segnalato solo la causa essenziale.

Abbiamo supposto, per semplificare, che ogni specie acco-

gliesse l’impulso ricevuto per trasmetterlo ad altre specie e

che, in tutte le direzioni in cui la vita si evolve, la propagazio-

ne avvenisse in linea retta.

Ma in realtà ci sono specie che si arrestano, altre che proce-

dono a ritroso.

 

gb54

 

L’evoluzione non è soltanto un movimento in avanti; in molti ca-

si, si osserva un segnare il passo, e più spesso ancora una de-

viazione o un ripiegamento. E’ necessario che sia così, come

dimostreremo più avanti, e le stesse cause che determinano la

scissione del movimento evolutivo fanno sì che la vita, evolven-

dosi, si distragga sovente da se stessa e resti ipnotizzata dal-

la forma che ha appena prodotto.

Ma da ciò risulta un disordine sempre crescente.

 

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Un progresso senza dubbio esiste, se con progresso si intende

un continuo avanzare nella direzione determinata da un impulso

originario, ma tale progresso si compie solo sulle due o tre gran-

di linee evolutive in cui si configurano forme sempre più com-

plesse, sempre più elevate: tra queste linee si sviluppa una gran

quantità di strade secondarie dove, per contro, si moltiplicano le

deviazioni, gli arresti e i regressi.

 

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Il filosofo che aveva cominciato ponendo il principio secondo cui

ogni particolare si ricollega a un piano globale, quando affronta

l’esame dei fatti si ritrova a passare di delusione in delusione; e

se prima, per non voler riconoscere il ruolo giocato dall’acciden-

te, aveva posto tutto sul medesimo piano, ora è portato a cre-

dere che tutto sia accidentale.

Bisogna invece cominciare con il riconoscere all’accidente la

parte, molto ingente, che gli aspetta. Bisogna riconoscere che

non tutto, in natura, è coerente. Si sarà perciò in grado di de-

terminare i centri attorno ai quali si cristallizza l’incoerenza.

 

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E le grandi direzioni lungo le quali la vita si muove sviluppan-

do l’impulso originario.

E’ vero che non si assisterà all’esecuzione dettagliata di un

piano; ma c’è qui qualcosa di più e di meglio della realizza-

zione di un piano.

Un piano costituisce il termine che viene assegnato a un lavo-

ro: esso chiude il futuro configurandone la forma. Di fronte all’-

evoluzione della vita, invece, le porte del futuro restano spalan-

cate.

 

Alvin Langdon Coburn, New York, 1913; THE TUNNEL BUILDERS

 

E’ una creazione che prosegue all’infinito in virtù di un movimen-

to iniziale. Questo movimento costituisce l’unità del mondo orga-

nico, unità feconda, di una ricchezza infinita, superiore a quanto

qualsiasi intelligenza potrebbe sognare, perché l’intelligenza è

soltanto uno dei suoi aspetti o delle sue espressioni.

(H. Bergson, L’evoluzione creatrice)

 

 

 

 

 

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