UNO SVEDESE (12)

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Uno svedese (11) &

Una passeggiata

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Che avanzi leggero, o invece sprofondi, nessuno ti vede,

e nessuno ti sente, quando tu invochi, se muori, se resti

sepolto in un letto di fiori… di neve!

Prosegue in:

Nessun superbo ama Dio (né la verità)

Da:

i miei libri

 

 

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Deserta la strada alle prime luci dell’alba

si trascina, si snoda in lontananza,

a tentoni s’inoltra tra le case,

taglia ed incrocia terreni e vicoli…

ancora più lontano, in un altro quartiere,

s’inerpica, si solleva e diviene una salita.

E lassù le nubi la sovrastano:

la terra finisce, il cielo ha inizio.

 

File di case, muri grigiobruni,

cornicioni, grondaie, ringhiere, balconi,

ciambelle di fornai e spazzole di spezierie,

lastroni di marciapiedi come margini,

pali dei lampioni si stringono insieme,

fiancheggiano la strada di steccati di ferro.

La strada stessa una consunta stinta

passatoia, stesa per la lavatura.

Entro grigiobrune pareti dormono

gli uomini, in attesa di oscuri destini.

Sull’uscio le Nornor attendono

per rinnovare con il nuovo giorno

giochi crudeli con le vite umane.

 

Ora, in lontananza sulla sommità della salita

spunta fuori una testa che si muove,

e due mani che impugnano un bastone –

l’immagine come un miraggio s’innalza,

ed un uomo che spazza la strada

appare sulla salita, il capo tra le nubi;

la scopa solleva un nembo di polvere –

terra e cielo tra le nubi s’incontrano.

(A. Strindberg)

 

 

 

 

 

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DA RUOLO A RUOLO: uno svizzero (10)

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Un olandese (9) & 

Brevi riflessioni (1)

Prosegue in:

Brevi riflessioni (2)

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Da Bruegel ad Hopper (1) &

Da Bruegel ad Hopper (2)

Da:

i miei libri

 

 

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L’angoscia mi stringe per te, fratello mio…

 

 

Il mio scritto necessita, a causa del suo contenuto un po’ inconsueto,

di una breve prefazione che vorrei che il lettore non trascurasse.

Verranno toccati, infatti, temi relativi a credenze religiose profondamen-

te sentite e sappiamo bene che chiunque affronti un discorso di questo

genere corre il rischio di venir fatto a brani dai due partiti che contendo-

no proprio intorno a questi argomenti.

La controversia nasce dal singolare presupposto che qualcosa sia ‘ve-

ro’ soltanto quando si presenti o si sia presentato in passato come un

fatto fisico. Così ad esempio, il fatto che Cristo sia stato partorito da

una vergine, ritenuto dagli uni fisicamente vero, è dagli altri negato co-

me fisicamente impossibile.

Chiunque può vedere che questo contrasto non è risolvibile logicamen-

te e che perciò si farebbe molto meglio ad astenersi da sterili dispute.

Ambedue, infatti, hanno ragione e torto nello stesso tempo e potrebbe-

ro mettersi facilmente d’accordo sol che volessero rinunciare al termi-

ne ‘fisico’.

La ‘fisicità’ non rappresenta il solo criterio di una verità. Esistono, infatti,

anche verità spirituali, che non si prestano a venire spiegate o dimostra-

te o discusse sul piano del fatto fisico.

Se, ad esempio, fosse credenza comune che in un determinato periodo

la corrente del Reno sia risalita dalla foce alla sorgente, già questa cre-

denza in sé rappresenterebbe una  realtà per quanto assurdo possa ap-

parire, da un punto di vista fisico, l’affermarlo.

Una credenza siffatta costituisce una realtà psichica che non può veni-

re contestata e che non ha bisogno di alcuna conferma. A questo gene-

re appartengono le affermazioni di carattere religioso.

Queste si riferiscono senza eccezione a oggetti la cui esistenza o pre-

senza non può venire costatata fisicamente. Se così non fosse, cadreb-

bero inevitabilmente nell’ambito delle scienze naturali dalle quali verreb-

bero irrevocabilmente eliminate in quanto escludono ogni possibilità di

conferma sperimentale.

Messe in rapporto col mondo fisico sono assolutamente prive di signif-

icato. Diverrebbero in questo caso semplicemente dei miracoli già di

per sé esposti al dubbio e che, per di più, non riuscirebbero a provare

la realtà di uno spirito, vale a dire di un significato, poiché il significato

prova sempre da sé la propria esistenza.

Il significato e lo spirito di Cristo ci sono presenti e percepibili anche

senza miracoli. Questi fanno appello soltanto all’intelligenza di coloro

che non sono capaci di afferrare il significato. Sono semplicemente un

surrogato dell’incompresa realtà dello spirito.

Con ciò non si vuole negare che la presenza viva di questo non possa

essere eventualmente accompagnata da avvenimenti miracolosi di ca-

rattere fisico, ma si vuole semplicemente mettere in rilievo che questi

ultimi non possono né sostituire né ‘attualizzare’ la conoscenza dello

spirito, la sola essenziale.

Il fatto che le affermazioni religiose stiano spesso anche in diretta an-

titesi con le manifestazioni fisicamente più evidenti e incontestabili

prova l’indipendenza dello spirito rispetto alla percezione fisica e una

certa indipendenza dell’esperienza spirituale dai dati di fatto fisici.

L’anima è un fattore autonomo e le affermazioni religiose sono dei

riconoscimenti spirituali che, in fondo si basano su processi incon-

sci e perciò trascendenti.

Questi sono inaccessibili alla percezione fisica ma provano la loro

presenza a mezzo di corrispondenti riconoscimenti dell’anima.

Tali espressioni vengono trasmesse attraverso la conoscenza u-

mana e cioè rivestite di forme chiare, le quali a loro volta sono e-

sposte a svariate influenze di natura interiore ed esteriore.

Da ciò segue che, quando parliamo di argomenti religiosi, ci muo-

viamo in un mondo di immagini che alludono all’ineffabile.

Noi non sappiamo quanto chiare o confuse siano queste immagi-

ni, simboli o concetti, rispetto al soggetto trascendentale a cui si

riferiscono.

Quando diciamo ad esempio, ‘Dio’, esprimiamo un’immagine o un

concetto verbale il quale, nel corso dei tempi, ha subito molti cam-

biamenti. Così non siamo in grado d’indicare con sufficiente preci-

sione – salvo che mediante la fede – se queste trasformazioni ri-

guardano soltanto le immagini e i concetti oppure l’ineffabile stes-

so.

Ci si può infatti immaginare Dio altrettanto bene sia come un’atti-

vità vitale in eterno fluire, che assume un numero infinito di forme

diverse, sia come un essere eternamente immoto e immutabile.

La nostra coscienza è certa di una cosa sola, cioè che manipo-

liamo figure, idee che, dipendono dalla fantasia umana e dal suo

essere condizionata temporalmente e spazialmente, hanno subi-

to infiniti mutamenti nella loro storia millenaria.

Indubbiamente, alla base di queste immagini giace qualcosa di

trascendente alla coscienza, che fa sì che le affermazioni non

varino semplicemente senza alcun limite e in maniera caotica,

ma permettano di percepire il loro riferirsi a un numero limitato di

principi o archetipi.

Questi, come la psiche stessa, o come la materia, sono incono-

scibili in sé e di essi si possono soltanto abbozzare modelli di cui

conosciamo l’insufficienza; cosa che viene riconfermata dai prin-

cipi religiosi.

Perciò quando, più avanti, mi occupo di questi soggetti ‘metafisici’,

lo faccio con piena coscienza di muovermi nel mondo di queste

immagini e che nemmeno una delle mie considerazioni raggiunge

l’inconoscibile.

Io so anche troppo bene quanto sia limitata la capacità della nostra

immaginazione – per non parlare poi della limitazione e della povertà

del nostro linguaggio – per presumere che le mie espressioni signifi-

chino, in linea di principio, qualcosa di più dell’affermazione di un pri-

mitivo che sostiene che il suo Dio-Salvatore è una lepre o un serpen-

te.

Per quanto tutto il mondo della nostra immaginazione religiosa con-

sista di figure antropomorfe che, in quanto tali, non potrebbero mai

reggere a una critica razionale, non ci si deve dimenticare che es-

so è basato su archetipi numinosi, vale a dire su di un fondamento

emotivo che si dimostra inattaccabile alla ragione critica.

Si tratta qui di fatti spirituali che si possono soltanto abbracciare con

lo sguardo, ma non dimostrare. Perciò già Tertulliano ha giustamen-

te invocato la testimonianza dell’anima.

Nel suo scritto ‘De testimonio animae’, egli dice:

 

Queste testimonianze dell’anima, quanto sono vere altrettanto sono

semplici, quanto semplici altrettanto popolari, quanto popolari tanto

generali, quanto generali tanto naturali, quanto naturali tanto divine;

non voglio credere che ad alcuno possano sembrare futili e senza

senso sol che pensi alla dignità della natura dalla quale deriva l’au-

torità dell’anima. Quanto tu concederai alla maestra, tanto aggiudi-

cherai all’allieva, e la natura è la maestra e l’allieva è l’anima.

E quanto o quella ha insegnato o questa ha appreso, tutto è stato

insegnato da Dio, cioè dal maestro della maestra stessa. Che co-

sa l’anima possa conoscere dal suo più alto maestro, sta a te giu-

dicarlo ricavandolo dalla tua stessa anima che sta con te.

Conosci l’anima che fa sì che tu conosca: pensa che essa è vin-

citore nei presentimenti, profetica nei presagi, preveggente nei

pronostici. Che meraviglia che lei, data da Dio, sappia divinare

all’uomo. E ancor maggiore meraviglia se riconosce colui dal

quale è stata data.

 

Io vado oltre ancora di un passo e considero anche le affermazio-

ni della Sacra Scrittura come espressioni dell’anima, a rischio di

rendermi sospetto di psicologismo.

Quand’anche le affermazioni della coscienza possano costituire

inganni, menzogne o altri atti arbitrari, questo non può assoluta-

mente valere per le affermazioni dell’anima; esse passano sem-

pre, sin dall’inizio, al di sopra del nostro livello in quanto indirizza-

no a realtà trascendenti alla coscienza.

Questi entia sono gli archetipi dell’inconscio collettivo, che dan-

no origine a complessi rappresentativi sotto forma di motivi mito-

logici. Rappresentazioni di questo genere non vengono inventate

bensì si presentano alla percezione interiore come immagini bell’e

pronte, ad esempio nei sogni.

Si tratta di fenomeni spontanei che sfuggono alla nostra volontà e

si è perciò giustificati ad attribuir loro una certa autonomia. Non de-

vono perciò venire considerati soltanto come oggetti ma anche co-

me soggetti provvisti di leggi proprie.

Naturalmente, dal punto di vista della coscienza, si può descriverli

come oggetti e sino a un certo grado anche descriverli, nella stes-

sa misura in cui si può descrivere e spiegare un essere umano vi-

vente.

In questo caso, comunque, bisogna non tenere conto della loro

autonomia. Ma se si vuole prendere in considerazione pure que-

sta, essi devono venire necessariamente trattati come soggetti,

vale a dire deve venir loro riconosciuta spontaneità e intenziona-

lità, oppure una specie di coscienza e di ‘liberum arbitrium’, di li-

bera volontà e si è perciò giustificati ad attribuir loro una certa

autonomia…..

 

(G. Jung, Estratto di una lettera al pastore….)

 

 

 

 

 

 

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AL DI LA’ DEL MARE: un americano (6)

 

Precedente capitolo:

Al di là del mare: un americano (5)

 

railroad2

 

Prosegue in:

Rivoluzionari &

Owl Creek &

Billy the Kid

 

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Foto del blog:

Al di sopra delle grandi vette (1) &

Al di sopra delle grandi vette (2)

Da:

i miei libri

 

 

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…. Somiglianza dell’Europa: contese senza fine, un milione di uomini

incessantemente in armi dalle due parti del Potomac, e da qui, militari-

smo, convulsioni interne, reazione sociale. La vittoria dell’Unione avreb-

be non solo salvato la democrazia americana per l’oggi, ma l’avrebbe

preservata per i tempi futuri, ed essa avrebbe potuto allora passare al-

l’offensiva e dare il suo aiuto ai popoli d’Europa il giorno in cui nel Vec-

chio Continente si dovessero combattere le decisive battaglie per la

disfatta delle tirannidi e l’avvento della libertà…

 

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Così Lincoln si levava, con l’impressionante realismo dei visionari, a

spingere lo sguardo non solo al di là dai confini del suo Continente, ma

addirittura oltre il tempo, verso i secoli venturi. Portandosi ad un’altezza

infinita ponderava il futuro e tracciava le direttrici della politica americana

per un secolo a venire.

Certo non poteva valutare appieno il continente misterioso che da quell’-

altezza riusciva a intravvedere: in esso vi erano specchi e foreste e su

molte aree gravava pauroso l’ignoto; forze oscure e latenti vi si sarebbe-

ro scatenate, che egli non poteva per anco misurare. Ma l’audacia e l’-

immensità della sua prospettiva lo elevavano sopra tutti i politici della

sua era, sopra il dignitoso e prestigioso Jefferson Davis, sopra l’abile e

astuto Seward, sopra il Sud e il Nord, nella visione della grande Demo-

crazia capace di guarire da sé con pazienza e perseveranza le sue

piaghe e di porgere al mondo una mano fraterna.

 

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Al servizio di questa causa Lincoln recava le sue doti rare di carattere:

la schiettezza e l’onestà, la bontà profonda, la sincerità, la fermezza.

Paziente e comprensivo ma saldo; umile e modesto ma pieno di digni-

tà; portato istintivamente a valutare con esattezza la natura umana e

capace di trarre da ogni individuo il meglio, egli era il più indicato per

trattare con gli uomini, il più adatto ad amalgamare e far lavorare as-

sieme persone diverse e che talora si detestavano.

Se Davis fu mai capace di creare un vero governo ‘di gabinetto’, Lin-

coln invece non lavorò mai che sulla base di una scelta équipe. A

differenza del suo grande avversario, non fuggiva gli uomini di sal-

do carattere e di forte personalità, ma cercava di averli vicini a sé;

sapeva come prendere ciascuno per il suo verso, soggiogarlo e

porlo al lavoro; non imponeva mai: argomentava, discuteva e per-

suadeva.

 

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Pochi statisti furono come lui abili ed esperti conoscitori di uomini.

Pronto a transigere su tutto, era inflessibile sulle questioni di princi-

pio; sapeva convincere, ma possedeva, sotto il guanto di velluto, un

pugno d’acciaio.

La gente semplice del suo Illinois lo amava.

Egli era salito in alto senza staccarsi da loro, era rimasto ‘l’onesto

Abe’, il buon avvocato della povera gente, il figlio del popolo nato nel-

la capanna di tronchi, sulla selvaggia frontiera. Non era diventato una

macchina politica, era rimasto un uomo. E in certi momenti la sua ca-

pacità di comprendere e di soffrire, che non si era lasciata ottundere

dalla politica, lo assillava. Allora egli sentiva profondamente la misera e

il mistero della condizione umana e cadeva in crisi profonda, inconso-

labile malinconia (che qualche odierno imbecille potrebbe confondere

per ‘depressione’).

 

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Come tutti gli uomini capace di ironizzare, pronti alla battuta e allo scher-

zo, il suo animo celava una vena di tristezza, e spesso in lui il riso pale-

se nascondeva, occulte, le lacrime… Egli aveva sognato una patria

grande per la sua benevolenza e la sua bontà, ed ecco: era costretto a

guidare un popolo che stava per impugnare le armi. Aveva amato la pa-

ce, e stava per divenire il condottiero di una tra le guerre più tremende e

inesorabili. Aveva amato ed amava tutti gli uomini, e stava per scagliar-

ne una parte contro un’altra. Sì, in certi momenti la tristezza lo assaliva

e, forse, presentimenti oscuri si affacciavano ancora informi al suo ani-

mo pieno di infinita pietà per tutti gli esseri viventi.

 

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Il cocchio si avvicinava al Campidoglio di cui ora era possibile vedere

chiaramente la grande cupola in costruzione, con solo il basamento già

terminato. Non era quello il simbolo dell’Unione, ancora soltanto per me-

tà edificata e già minacciata di distruzione?

I soldati vegliavano ai crocevia.

Quando Lincoln era partito in treno da Springfield pioveva. La folla muta,

ammassata attorno alle rotaie nel giorno tetro e grigio, aveva notato sul

suo viso una espressione di tristezza sconfinata quasi tragica.

Poi il treno si era avvicinato lentamente, si era allontanato.

 

Train-Depot

 

Giunto a Filadelfia, Lincoln era stato avvertito che in Baltimora, città su-

dista, si tramava per assassinarlo in occasione del suo passaggio. Già:

oltre la Pennsylvania c’era la Linea Mason e Dixon, ed oltre quella linea

c’era il Sud.

Washington stava là, come un posto avanzato in mezzo ad un territorio

potenzialmente nemico. Così egli aveva dovuto traversare Baltimora in

segreto e di notte, ed era arrivato a Washington quasi di nascosto alle

sei del mattino.

Ora il cocchio presidenziale era giunto al Campidoglio.

Nel luogo classico ove tutti i Presidenti avevano prestato giuramento, sul-

la scalinata est, era stato costruito un palco; due batterie di artiglieria vigi-

lavano l’edificio: tiratori scelti erano appostati alle finestre e sui tetti.

Poi il Presidente trasse un fascio di carte e con voce chiara, limpida, sen-

za enfasi, piena di fermezza, cominciò la lettura…..

 

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Concittadini degli Stati Uniti; sembra esista un sentimento di apprensione

tra la popolazione degli Stati del Sud, che, in seguito all’avvento di un Go-

verno Repubblicano, la loro proprietà, la loro pace e la loro sicurezza per-

sonale abbiano ad essere minacciate. Non vi è mai stato alcun ragione-

vole motivo per simile preoccupazione… Io dichiaro che non ho alcuna

intenzione di interferire, né direttamente né indirettamente, nell’istituzione

della schiavitù in quegli Stati ove essa esiste. Credo di non avere alcun

diritto legale di far ciò, e non ho alcuna inclinazione a farlo. Io, ritengo,

però, che secondo la legge universale e la Costituzione, l’Unione di que-

sti Stati sia perpetua. La perpetuità è implicita, anche se non espressa-

mente citata, nella legge fondamentale di tutti i governi delle nazioni.

E’ sufficiente dire che nessun governo correttamente stabilito ebbe mai

nella sua legge istitutiva alcuna clausola alla Costituzione ed alle leggi,

 

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l’Unione è tuttora intatta; ed io farò tutto quanto sta in me, come la Co-

stituzione stessa espressamente mi impone, affinché le leggi dell’U-

nione siano regolarmente applicate in tutti gli stati. Per far ciò non c’è

bisogno di spargimento di sangue o di atti di violenza: e non ve ne sa-

ranno, a meno che l’autorità nazionale non vi si veda costretta.

Il potere che mi è stato dato sarà usato allo scopo di tenere, occupa-

re e possedere la proprietà e le località appartenenti al Governo, ma a

parte ciò non vi sarà invasione, né uso della forza contro o tra la gente

di alcuna località. Nelle vostre mani, miei concittadini scontenti, e non

nelle mie sta la tremenda possibilità della guerra civile. Il Governo non

attaccherà voi (anche se in questi giorni funesti io vedo lo spettro della

schiavitù come un male…)…  

(R. Luraghi, Storia della Guerra Civile Americana)

 

 

 

 

 

 

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AL DI LA’ DELLA LINEA NEMICA: gli inglesi (4)

Precedente capitolo:

Al di là della linea nemica (3) &

Il senso del ‘viaggio’

Prosegue in:

Pensieri eretici contro-tempo 

Foto del blog:

Il senso del ‘viaggio’ (1) &

Il senso del ‘viaggio’ (2)

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i miei libri

 

 

nono luigi 7

 

 

 

 

 

 

Su un rilievo, che domina il passaggio obbligato della strada, si trova,

a rinforzo di questa guarnigione, il nostro tenente e la sua truppa che

erano di stanza a Raibl.

Trovammo cataste di legname, predisposte per costruire palizzate,

ai lati della strada, il che denotava che ci si preoccupava di predispor-

re opere di difesa. Notevole era anche, sotto i bastioni, il bel bassori-

lievo, fuso in bronzo, di un leone morente; esso giace con il petto tra-

fitto da una lancia, ma le zampe sono ancora protese sullo scudo

imperiale.

Si tratta di un’altra di quelle frequenti testimonianze, nel territorio del-

le Alpi orientali, del disperato conflitto con gli invasori francesi. Sul

fronte del monumento, scolpito in caratteri dorati, un’iscrizione ricor-

da l’eroica morte di Johann Hermann, capitano dell’i.r. e dei suoi

compagni.

Il passo è stato più volte teatro di tali battaglie.

 

thomas ender 6

 

Nel 1797 Massenna espugnò Pontebba e sconfisse l’arciduca

Carlo a Tarvis, mentre un reparto francese al comando di Serru-

rier, avanzando sul Predil, assalì il forte e catturò o disperse un

gran numero di austriaci che si ritiravano dal Tagliamento lungo

quella strada, con artiglierie e rifornimenti, per ricongiungersi con

l’arciduca.

Subito dopo, lo stesso Napoleone trasferì il suo quartier generale a

Tarvis per una o due notti, durante la sua avanzata su Klagenfurt,

incalzando gli austriaci attraverso la Carinzia e quindi la Stiria, fin-

ché la pace stipulata a Leoben pose fine alla sua marcia.

Nel 1809 la contesa ebbe un carattere diverso e ne furono prota-

gonisti i contadini del Tirolo.

 

jg7bis

 

Risulta tuttavia che il presidio di questo passo era affidato a truppe

regolari agli ordini dell’ufficiale del Genio, ricordato nell’iscrizione sul

monumento. Macdonald dall’Italia e Marmont dalla Dalmazia stavano

allora avanzando a sostegno di Napoleone nella campagna ch’ebbe

termine con la battaglia di Wagram e probabilmente furono due dei

reparti di Macdonald, forti ciascuno di 6000 uomini, che attaccarono

simultaneamente il presidio di Malborghetto, in territorio di Pontebba,

e il forte del Predil, che allora sorgeva molto più in basso.

Il capitano Hermann e i suoi uomini perirono coraggiosamente nella

sua difesa e la guarnigione di Pontebba si imolò eroicamente nel me-

desimo intento.

A Unter Preth c’è una piccola locanda.

 

emil kircher 4

 

Non ci eravamo fermati per la cena – che del resto nessuno avrebbe

potuto prepararci – perché era scoppiata una furibonda baruffa fra il

cane di Unter Preth e quello di Raibl, che aveva voluto accompagnar-

ci alla precisa condizione, mai messa in discussione, di potersi sdra-

iare con comodo sul carro non appena c’era un po’ di posto disponi-

bile.

Ci volle mezzo villaggio per separare questi due campioni. Sono inci-

denti comuni lungo queste strade dato che i cani delle locande – al-

meno così pare – non sono disposti ad usare cortesie nei confronti

del loro simili che stanno viaggiando.

Il paesaggio era impressionante nella sua spoglia grandezza.

 

thomas ender 21

 

I versanti delle montagne, quando non scendono verticali, sono co-

stituiti da enormi ghiaioni, sui quali stentano dei radi faggi, già con i

colori dell’autunno e rosseggianti come braci quando vengono illu-

minati dal sole.

Si dice che questa zona sia esentata da ogni genere di imposte in

considerazione dell’estrema povertà del suolo; l’unico terreno colti-

vabile, da noi incontrato, è una striscia erbosa ai lati del torrente che,

nel fondo della gola, corre spumeggiante fra rocce biancastre. Le

frane sono causa, quivi, di frequenti e gravi distruzioni. Giungemmo,

infatti, in un posto dove, da un canalone, era rovinato, in tempi recen-

ti, un ammasso enorme di detriti, sconvolgendo il fondo della gola per

circa un miglio e impedendo il passaggio dell’acqua come una gigan-

tesca diga.

 

emil kircher 1

 

Sul versante opposto dei grandi blocchi di roccia erano stati scagliati co-

me spruzzi fangosi. Se ciò si fosse verificato poche yarde più in basso,

la strada sarebbe rimasta distrutta da quell’impatto terribile. Immaginarsi

lo spettacolo ed il frastuono. Nel canalone lontano, l’origine della catastro-

fe è segnata da una enorme cicatrice. E’ molto piacevole in un bel pome-

riggio come questo, quando ogni cosa è punteggiata d’oro e d’argento,

quando le forze della natura riposano, starsene in fila, come noi, ad os-

servare i segni di quella terrificante devastazione.

Penso però che in primavera, quando si fa minaccioso il pericolo delle

valanghe, chi viaggia sia poco propenso alla contemplazione e cerchi

di fare in fretta il percorso o torni impallidendo sui suoi passi appena o-

de un cupo rimbombo fra quei dirupi sconvolti.

 

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Più avanti la valle si restringe ancora e la corrente impazzisce fra le rocce.

Lo scroscio si perde in un sordo rumorio lontano; se ne cerchiamo l’origi-

ne nulla si vede se non una forra che si restringe in fessura, seminasco-

sta dai cespugli. C’è qui un ponte e sporgendosi oltre il parapetto potete

vedere una voragine che fa venire i brividi, in fondo alla quale qualcosa di

nero si muove.

I resti del vecchio forte si trovano su uno sperone al fianco del pauroso

baratro, che impedisce di avvicinarsi da quella parte, mentre dalla parte

opposta si eleva una parete verticale di roccia dalla quale sarebbe im-

possibile calarsi. Per chi è profano di cose militari appare incompren-

sibile come il forte possa essere stato espugnato dai francesi, fosse-

ro sei oppure settantamila.

Il coraggioso capitano Hermann cadde nell’assalto finale, con la spada

in pugno e si potrebbe credere che avesse atteso che gli fossero ben

vicini.

 

guglielmo ciardi 5

 

La vicenda si chiarisce conoscendone i dettagli.

La sera del 15 maggio 1809, l’avanguardia della colonna nemica giun-

se al passo e cercò di difendersi dal fuoco del presidio, apprestando del-

le fortificazioni. Un violento sbarramento dell’artiglieria la costrinse a riti-

rarsi, ma durante la notte furono ultimate le difese e di primo mattino fu

aperto il fuoco contro il forte, senza ottenere però alcun risultato.

Ogni tentativo di avvicinamento fallì con perdite per gli attaccanti.

Si ricorse a delle trattative ma niente poté scuotere il risultato di Her-

mann. Egli rifiutò decisamente di arrendersi.

Si escogitò allora un altro piano.

Il forte di Malborghetto, presso Pontebba, era già caduto e alcuni dei

prigionieri, che vi erano stati catturati vennero inviati al forte in modo

che, conoscendone la sorte e quella del paese, già caduto in mano

nemica, la loro tenacia venisse meno.

 

guglielmo ciardi 6

 

La risposta di Hermann fu ferma: ‘La difesa del forte mi è stata affidata.

Non temo la morte, morirò sul campo dell’onore’.

I francesi si prepararono allora all’assalto e fra rulli di tamburo e urla d’-

incitamento vennero mossi disperati attacchi contro la posizione, ma il

cannone e le armi dei difensori li respinsero, tanto che cominciarono a

dubitare di poterla spuntare. Improvvisamente una fiammata divampò

in mezzo alle opere di difesa, accolta con alte grida dai francesi.

Quattro compagnie di guastatori, dopo aver scalato con infinita difficoltà

i dirupi retrostanti, erano riusciti a lanciare della pece incendiata sui rico-

veri della guarnigione. In un attimo tutto andò in fiamme, il fuoco si este-

se con terribile rapidità e l’attacco fu ripreso con rinnovato vigore.

 

nono luigi 4

 

Ridotto alla disperazione Hermann gridò ai suoi: ‘Fuori compagni! Il nemi-

co non deve averci vivi!’. E tutti si lanciarono in disordine e con selvaggio

impeto contro le fitte schiere nemiche. Hermann cadde subito ripetutamen-

te colpito e con lui morirono quasi tutti gli eroici difensori del Predil.

E così quella incombente parete rocciosa, impossibile da scalare, fu la

loro rovina.

Guardammo con rispetto quel luogo selvaggio che sessant’anni prima era

stato avvolto dalle fiamme e risuonava del fragore della battaglia. Se qual-

che disgraziato precipitò in quel cupo abisso fu davvero un terribile destino

il suo.

Gli austriaci, come si è visto, hanno spostato ora la fortificazione a circa

cinque miglia dall’ingresso della gola, sulla sommità del passo, in una po-

sizione difficile per l’invasore eventuale e con maggiore vantaggio per loro.

Dietro il forte, la strada, che si arresta davanti al precipizio, entra in una

breve galleria e vicino, nella roccia, vi è una lapide, sormontata da uno

stemma e recante nome e titolo di un illustre ‘ben nato’, e ora certamen-

te ‘ben morto’, che nel medioevo vi costruì per primo un fortilizio……

(Gilbert/Churchill, Le montagne Dolomitiche)

 

 

 

 

 

 

nono luigi 6

 

GLI ITALIANI (2)

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Gli italiani

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Verità senza tempo

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i sotterranei dei gesuiti (1) &

i sotterranei dei gesuiti (2)

un libro:

 

i-gesuiti-smascherati-colle-loro-istruzioni-segrete-18591

 

i gesuiti smascherati colle loro istruzioni segrete (1859)

 

Da:

i miei libri

 

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…. Li ritrovai alla scuola, se i tuoi genitori sono stati così bigotti da

affidarti a loro, poi c’è la prima comunione, e il catechismo, e la cre-

sima; c’è il prete il giorno del tuo matrimonio a dirti cosa devi fare in

camera, e il giorno dopo in confessione a chiederti quante volte lo

hai fatto per potersi eccitare dietro una grata (non visti…).

Ti parlano con orrore del sesso ma tutti i giorni li vedi uscire da un

letto incestuoso senza neppure essersi lavati le mani, e vanno a

mangiare e bere il loro signore, per poi cacarlo e pisciarlo.

Ripetono che il loro regno non è di questo mondo, e mettono le ma-

ni su tutto quello che possono arraffare. La civiltà non raggiungerà

la perfezione finché l’ultima pietra dell’ultima chiesa non sarà cadu-

ta sull’ultimo prete, e la terra sarà libera da quella genia.

I comunisti hanno diffuso l’idea che la religione sia l’oppio dei popo-

li. E’ vero, perché serve a tenere a freno le tentazioni dei sudditi, e

se non ci fosse la religione ci sarebbe il doppio di gente sulle barri-

cate, mentre nei giorni della Comune non erano abbastanza, e si

è potuto farli fuori senza troppo attendere.

Ma, dopo che ho udito quel medico austriaco parlare dei vantaggi

della droga colombiana, direi che la religione è anche la cocaina

dei popoli, perché la religione ha spinto e spinge alle guerre, ai

massacri degli infedeli, e questo vale per cristiani, mussulmani e

altri idolatri, e se i negri dell’Africa si limitavano a massacrarsi tra

di loro, i missionari li hanno convertiti e li hanno fatti diventare trup-

pa coloniale, adattissima a morire in prima linea, e a stuprare le

donne bianche quando entrano in città.

Gli uomini non fanno mai male così completamente ed entusia-

sticamente come quando lo fanno per convinzione religiosa.

Peggiori di tutti, certamente i gesuiti….

 

(U. Eco, Il cimitero di Praga)

 

 

 

 

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PIONIERI DELL’ALPINISMO (lupi di montagna) (2)

Precedente capitolo:

la trappola maledetta (lupi di montagna) &

Prosegue in:

quale sarà la via migliore &

verità senza tempo

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Lupi di montagna (1)

Lupi di montagna (2) &

Verità senza tempo (1) &

Verità senza tempo (2)

 

 

 pionieri dell'alpinismo

 

 

 

 

 

 

(Da la trappola maledetta) Intanto mille diavoletti calavano

strillando e frullando, quelli di mezza taglia ululando.

E incessantemente si ripeteva l’atroce sibilo viperino, quan-

do i bianchi serpenti di neve filavano giù per il gran cana-

lone.

Uno di noi spiava di continuo verso l’alto, mentre il compa-

gno arrampicava, e al grido d’allarme comprimevano alla

roccia i nostri corpi tremanti, ma su questi lastroni la prote-

zione che essa offriva era molto incerta.

Dopo le sedici eravamo di nuovo presso il pauroso colatoio

principale. M’infilai le scarpe. Ogni cinque minuti e anche

più spesso transitava frenando quell’orda micidiale, perché

ogni sasso che cadeva, ogni motta di neve che scivolava nel

grembo dell’imbuto enorme, doveva infallibilmente inabis-

sarsi in quest’unico corridoio.

 

pionieri dell'alpinismo

 

‘Bivacchiamo sulla parete!’ disse il compagno pallido, ‘anche

se avremo senz’altro una notte di orrori’. In nessun punto v’-

erano cenge per sdraiarsi, avremmo dovuto rimanere legati

in cordata dalle sedici fino alle quattro protetti a stento dal-

le scariche di sassi.

Una selvaggia spavalderia mi dominava:

‘Per conto mio dopo un’ascensione riuscita sì, ma dopo un in-

successo mai!’.

Egli portò motivi ragionevoli, ma io ero più forte, io ero la pas-

sione, io ero lo scherno rabbioso, io ero il verbo della potenza,

io ero il demone.

 

pionieri dell'alpinismo

 

Io?

No: quell’essere che mi comanda.

L’amico per sua rovina si adattò.

Prima ci abbassammo verso sud su neve molto tenera, a sini-

stra in vicinanza del colatoio; e per poter avanzare entrambi

rapidamente, egli era costretto a correre senza precauzione,

mentre io con la gamba destra mi radicavo profondo nella

neve e sulla coscia sinistra, tenuta obliquamente, lasciavo 

scorrere la corda che dominavo con forza.

Quindi mi lasciavo andare scivolando nella neve aggruma-

ta con la massima rapidità: mi sentivo signore nell’arte de-

gli scivoloni.

Le pietre grandinavano ancora sopra le nostre teste, ma un

po’ più di rado e non così grosse come lassù più a sud sul-

la parete di Penhall.

 

pionieri dell'alpinismo

 

Oh, se fossimo là sopra, al di là del canalone!

Solo pochi metri in linea d’aria ci seperavano dalla riva della

salvezza. Ogni volta che volevamo tentare questo brutto pas-

saggio nel solco delle valanghe crepitava una nuova salva

bianconera di neve e di sassi giù per la voragine della morte.

Guardai al di là verso sud-ovest e osservai: ‘Adesso abbiamo

ancora mezza altezza del Col du Lion’.

Farneticando speravo in segreto che potessimo arrivare sem-

pre verso sud lungo il solco delle valanghe fino al ghiacciaio

di Tiefenmatten; non vedevo che là nell’imbuto inferiore a-

vremmo dovuto attraversare molte centinaia di piccoli sol-

chi prodotti dai sassi, di uno dei quali noi saremmo certa-

mente vittime.

 

pionieri dell'alpinismo

 

La catastrofe giunse poco appariscente, punto drammatica.

Stavamo in un solco laterale poco profondo. Avevamo cessa-

to da un pezzo di guardarci all’intorno per scansare le sassa-

te, ritenendole una perdita di tempo e ci eravamo semplice-

mente affidati alla benignità del fato.

D’un tratto tuttavia guardai in alto: una piccola valanga scen-

deva verso di me, forse una di quelle onde di neve che m’ero

trascinato io stesso nello scivolare e che per riguardo a Lorria,

avevo subito arrestato. Un momento prima, avrei piantato il

bastone della piccozza profondo nella neve e col mio petto

avrei fermato tutto.

Ma la nemica insidiosa fece passare facilmente sotto i miei

piedi tutta la neve bagnata stillante; già nell’atto di cadere

la paletta della piccozza, che tagliò la neve come il burro sen-

za far presa, e la valanga ingrossata sulla quale giacevo s’av-

viò verso Lorria, il quale volò d’un balzo nella voragine temu-

ta.

Il cartografo Imfeld calcolò più tardi l’altezza della caduta a

duecento metri.

Io ho fatto il terribile volo in piena coscienza e vi posso annun-

ziare, amici, che è una bella morte…..

(E. G. Lammer, Fontana di giovinezza)

 

 

 

 

 

pionieri dell'alpinismo

 

DEDICATO AD UN LUPO (ucciso…) (soltanto per pazzi…) (2)

Precedente capitolo:

Dedicato ad un lupo

Prosegue in:

gli occhi di Atget &

Dialoghi con Pietro Autier 2

Foto del blog:

Un lupo ucciso &

Un lupo ucciso (2)

Da:

i miei libri

 

 

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C’era una volta un tale di nome Harry, detto il ‘lupo della steppa’….

Camminava con due gambe, portava abiti ed era un uomo, ma,

a rigore, era un lupo.

Aveva imparato parecchio di quel che possono imparare gli u-

omini dotati di intelligenza, ed era uomo piuttosto savio. Ma una

cosa non aveva imparato: a essere contento di sé e della sua

vita.

Non ci riusciva, era un uomo scontento…

Ciò dipendeva probabilmente dal fatto che in fondo al cuore

sapeva (o credeva di sapere) di non essere veramente un u-

omo, ma un lupo venuto dalla steppa.

 

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I saggi potranno discutere se sia stato veramente un lupo e

una volta, forse prima della nascita, sia stato trasmutato per

incantesimo da lupo in uomo, oppure sia nato uomo ma con

un’anima di lupo, o se magari questa persuasione, di essere

veramente lupo, sia stata una sua fissazione o malattia.

Potrebbe darsi, per esempio, che costui sia stato nella fan-

ciullezza stregato e indomabile e disordinato, e che i suoi e-

ducatori abbiano cercato di ammazzare la bestia che aveva

dentro e proprio in questo modo abbiano suscitato in lui la

fantasia e la credenza di essere effettivamente una bestia,

 

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con sopra una leggera crosta di educazione e di umanità.

Su questo argomento si potrebbe discorrere a lungo e in mo-

do divertente e scrivere dei libri; ma poco servirebbe al lupo

della steppa, poiché per lui era indifferente che il lupo fosse

entrato in lui per magia o fosse soltanto una fantasia della

mente.

Quello che ne potevano pensare gli altri o anche lui stesso

non aveva per lui alcun valore, non bastava a cavargli di den-

tro il lupo.

 

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Il lupo della steppa dunque aveva due nature, una umana e

una lupina: questa era la sua sorte e può ben darsi che que-

sta sorte non sia poi né speciale né rara.

Si son già visti, dicono, uomini che avevano molto del cane

o della volpe, del pesce o del serpente, senza che per que-

sto incontrassero particolari difficoltà nella vita. Vuol dire che

costoro l’uomo e la volpe, l’uomo e il pesce vivevano insieme,

e nessuno faceva del male all’altro, anzi l’uno aiutava l’altro,

e in certi uomini che hanno fatto strada e sono invidiati era

stata la volpe o la scimmia piuttosto che l’uomo a fare la loro

fortuna.

 

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Sono cose che tutti sanno….

Per Harry invece le cose stavano diversamente: in lui l’uomo

e il lupo non erano appaiati e meno ancora si aiutavano a vi-

cenda; al contrario, vivevano in continua inimicizia mortale, e

l’uno viveva a dispetto dell’altro, e quando in un sangue e in

un’anima ci sono due nemici mortali, la vita è un guaio.

Certo, ciascuno ha il suo destino e nessuno ha la vita facile.

Ora, nel nostro lupo della steppa avveniva questo: che nel

suo sentimento faceva ora la vita del lupo, ora quella dell’u-

omo, come accade in tutti gli esseri misti, ma quando era

lupo, l’uomo in lui stava a guardare, sempre in agguato per

giudicare e condannare…. e quando era lupo faceva altret-

tanto….

 

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Per esempio quando Harry uomo concepiva un bel pensi-

ero, provava un sentimento nobile e fine o faceva una così

detta buona azione che aveva dentro digrignava i denti e

sghignazzava, e gli mostrava con sanguinoso sarcasmo

quanto era ridicola quella nobile teatralità sul muso d’un a-

nimale della steppa, di un lupo che sapeva benissimo qua-

li fossero i suoi piaceri, trottare cioè solitario attraverso le

steppe, empirsi ogni tanto di sangue o dar la caccia a una

bella lupa… e, considerata dal punto di vista del lupo, ogni

azione umana diventava orribilmente buffa e imbarazzante,

sciocca e vana.

 

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Ma succedeva lo stesso quando Harry si sentiva lupo e si

comportava come tale, quando mostrava i denti e provava

odio e inimicizia mortale contro tutti gli uomini e le loro co-

stumanze false e degenerate.

Allora infatti la parte umana stava in agguato, teneva d’oc-

chio il lupo, lo insultava chiamandolo bestia e belva e gli a-

mareggiava tutta la gioia della sua semplice, sana e selva-

tica natura lupina…..

 

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…. Certuni lo amavano come uomo gentile, savio e singola-

re e rimanevano atterriti e delusi, profondamente delusi quan-

do scoprivano in lui improvvisamente il lupo. E non potevano

fare a meno di scoprirlo, perché Harry, come tutti gli esseri,

voleva essere amato tutto intero e non poteva quindi nascon-

dere o negare il lupo di fronte a coloro al cui affetto teneva par-

ticolarmente.

Ma ce n’erano altri che amavano in lui precisamente il lupo,

 

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quella sua libertà selvatica e indomita, il pericolo e la forza, e

costoro erano poi a loro volta assai delusi e dolenti quando il

lupo cattivo rivelava a un tratto anche l’uomo, quando si strug-

geva dalla nostalgia di bontà e tenerezza e voleva ascoltare

Mozart, leggere poesie e nutrire ideali di umanità…..

 

(H. Hesse, Il lupo della steppa)

(Le opere pittoriche proposte sono di: I. Levitan)

 

 

 

 

 

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LA GNOSI (i delatori e i persecutori) (11)

Precedente capitolo:

la gnosi (10)

Prosegue in:

La gnosi (12) &

gli occhi di Atget &

Dialoghi con Pietro Autier &  

Dialoghi con Pietro Autier 2

Foto del blog:

chi ha scritto

la storia?

Da:

i miei libri 

 

 

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Abbiamo visto come sui delatori incomba una minaccia

escatologica: essi hanno peccato contro lo Spirito e la loro

sorte rimane affidata alla misericordia di Dio, sempreché

siano creature sue.

Non è da escludersi che essi appartengano, anima e corpo,

alla creazione diabolica, che siano dei diavoli, e non soltan-

to dei posseduti.

Ma è chiaro che certezze di tal natura non potevano sosti-

tuire, per i credenti, l’utile immediato che potevano aspet-

tarsi da una eliminazione preventiva o da una vendetta

appropriata.

Gli esempi non mancano nei confronti degli inquisitori o

dei delatori, in Linguadoca, in Germania e in Italia nel XIII

sec. L’unico problema sta nel sapere che atteggiamento te-

nesse, ufficialmente o ufficiosamente, la Chiesa catara in

presenza di comportamenti siffatti, considerando le rego-

le alle quali i perfetti dovevano sottostare. 

Si sono  avute, infatti, procedure sommarie di questo ge-

nere, delle quali i credenti non hanno potuto fare a meno

di mettere a parte la loro Chiesa, come quella che fu pro-

mossa da Montségur contro gli inquisitori che avevano

preso stanza ad Avignonet nel 1242, o la cattura di un

falso begardo, spia dell’Inquisizione, smascherato dal

nipote di Pietro Autier che era domenicano, poco dopo

il 1300.

 

Sibilla Peyre…sentì dire a Pietro e a Giacomo Autier che

avevano un grande amico al convento dei Predicatori di

Pamiers, chiamato Fratel Raimondo di Rodès, il quale fa-

ceva la spia per loro, di modo che se si tramava o si ap-

parecchiava qualcosa contro di loro a Pamiers o in pia-

nura glielo faceva sapere o inviava un messaggero affin-

ché prendessero delle precauzioni.

Un begardo di nome Gugliemo Dejean aveva tramato,

d’accordo con certi Frati Predicatori di Pamiers, che a-

vrebbe finto di essere amico degli eretici e di entrare a

far parte della loro setta, affinché la Chiesa potesse ar-

restarli. 

Il nominato Fratel Raimondo mandò un messaggero

allo stesso Pietro Autier, che in quel momento si tro-

vava vicino ad…. (Deposizione di Gugliemo di Rodès,

fratello del domenicano).

Il gentiluomo Filippo di Larnat Larnat e Pietro Delaire

mi hanno detto che una notte incontrarono il begardo

sul ponte d’Alat; lo presero e lo imbavagliarono in mo-

do che non potesse gridare e lo condussero sui monti

sopra Larnat.

Qui giunti, gli domandarono se era vero che voleva cat-

turare quei perfetti. Lui l’ammise. Allora Filippo e Pietro

lo precipitarono immediatamente da grande altezza in

fondo ad un baratro o un antro, cosìcché non lo si rivi-

de più.

 

All’inizio del XIV secolo, i perfetti sarebbero stati gli

istigatori, con parole velate, di tali misure estreme:

 

Se avete il sospetto che un credente sia un falso (fratello)

e vi denunci oppure se un cattolico vi perseguita, un cre-

dente lo riveli a monsignore (cioè il perfetto). Egli radu-

nerà quanti più è possibile di credenti dei quali si fida e

dice loro: ‘Ecco qua! fra di noi c’è un falso fratello, ve-

diamo che cosa sapete fare’.

 

Belibasta arriva al punto di fornire un’autorità scrit-

turistica a sostegno di tali assassini:

 

Il figlio di Dio ha detto che bisogna estirpare l’erba

cattiva dal campo, e che se i cattivi rovi arrivano al-

la porta di casa bisognavatagliarli e bruciarli.

L’erba cattiva e i rovi sono i cattivi e falsi credenti

che vogliono denunciare i ‘bonshommes’ e i buoni

credenti e distruggere la Chiesa di Dio.

Bisogna estirparli e tagliarli, il che significa che bi-

sogna eliminarli con ogni mezzo, col veleno, col pu-

gnale, oppure gettarli in un precipizio, o in qualche

altra maniera.

 

Non si può trarre una regola generale da notizie come

queste, poiché va tenuto conto della situazione e dell’-

epoca in cui si collocano, e la deposizione (di uno spio-

ne, in particolare) non va esente da sospetto.

Sembra da escludere che un perfetto possa aver dato

direttammente l’ordine o il consiglio di uccidere.

Ma non è neanche da escludere il ricorso ad espressio-

ni ambigue, che d’altronde corrispondono esattamente

alla formula della cessione al braccio secolare da parte

della Chiesa cattolica. 

 

 

 

 

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LA GNOSI (chi ha scritto la storia?) (10)

Precedente capitolo:

la gnosi 9

Prosegue in:

la gnosi (11)

Foto del blog:

chi ha scritto

la storia?

Prosegue in:

gli occhi di Atget &

Dialoghi con Pietro Autier & 

Dialoghi con Pietro Autier 2

Da:

i miei libri 

 

la gnosi 10

 

 

 

 

 

…Come si devono interpretare questi strani (libri) detti di

Tommaso?

Che cosa vogliono dire?

E da dove vengono?

Partiamo dalla loro provenienza. Poiché così tanti detti ….

(rime….e metafore…) sono simili a quelli dei Vangeli neo-

testamentari, ci sono sempre stati studiosi che hanno affer-

mato che ‘Tommaso’ usò i Vangeli del Nuovo Testamento

come fonte modificandone i detti a aggiungendo alcuni

suoi.

Per spiegare più a fondo questa posizione, devo fare una

piccola disgressione. I paralleli più stretti con i detti di Tom-

maso si trovano in Matteo, Marco e Luca, i tre Vangeli che

normalmente vengono chiamati ‘sinottici’ perché hanno in

comune tanti episodi e detti da poter essere messi su colon-

ne parallele e paragonati tra loro nel dettaglio.

 

la gnosi 10

 

Molto prima che venisse scoperto il ‘Vangelo di Tommaso’,

gli studiosi si chiesero perché i sinottici si somiglino tanto,

perché spesso narrino esattamente le stesse storie, nello stes-

so ordine, a volte uguali parola per parola, e perché invece

altre volte differiscono per gli episodi narrati, l’ordine e l’-

espressione.

La soluzione cui si giunse alla fine per la ‘questione sinotti-

ca’, tuttora condivisa dalla maggior parte dei ricercatori, è

che Matteo e Luca abbiano usato Marco come fonte per mol-

te loro storie.

 

la gnosi 10

 

Matteo e Luca hanno molti passi aggiuntivi quasi intera-

mente costituiti da detti che non si trovano in Marco, che

perciò non può essere stata la loro fonte per questi passi.

Ma allora Matteo e Luca da dove li hanno presi?

E’ nata così la teoria per cui Matteo e Luca presero questi

brani, fatti per lo più di detti (frammenti), da un’altra fon-

te a lungo perduta, e gli studiosi tedeschi che partorirono

questa idea decisero di chiamare quest’altra fonte ‘Quelle’

(in tedesco, per l’appunto, ‘fonte’), spesso abbreviata sem-

plicemente in Q.

Dunque, Q fornì il materiale che si trova in Matteo e Luca

ma non in Marco. Si ammette di solito che Q fosse un vero

documento scritto in greco che circolava nella chiesa delle

origini e che riportava almeno due episodi su Gesù, oltre

a molti insegnamenti, tra cui il Padrenostro, le beatitudi-

ni e altri detti celebri.

 

la gnosi 10

 

Nel XIX secolo una delle principali obiezioni all’esistenza

di questo ipotetico Vangelo Q era la difficoltà di immagi-

nare che un cristiano avesse scritto un Vangelo che conte-

nesse quasi esclusivamente detti di Gesù.

Si sottolineava soprattutto che in nessuno degli episodi

di Q (cioè in nessuno dei passi presenti in Matteo e Luca

ma non in Marco) ci sia la narrazione della morte e resur-

rezione di Gesù.

Come poté un cristiano antico – si chiedevano gli studiosi

scettici – scrivere un Vangelo incentrato sui detti di Gesù

senza enfatizzare la sua morte e resurrezione?

Perché questo interessa ai Vangeli: la morte di Gesù per

i peccati del mondo e la sua resurrezione, prova della di-

vinità della sua persona e della sua missione.

Questo rimase un argomento diffuso contro l’esistenza di

Q, finché non venne scoperto il ‘Vangelo di Tommaso’: ec-

co un Vangelo fatto di 121 detti di Gesù senza alcuna nar-

razione della sua morte e resurrezione.

 

la gnosi 10

 

E c’era di più: si trattava di un Vangelo sì interessato alla

salvezza, ma che per essa non stimava importanti la mor-

te e la resurrezione di Cristo perché la riteneva raggiungi-

bile con altri mezzi.

La salvezza con altri mezzi?

E quali?

La corretta interpretazione dei detti segreti di Gesù.

Nessuno pensa che Tommaso rappresenti la fonte Q per-

duta per tanti secoli: molti dei detti di Q non sono in Tom-

maso, e alcuni di quelli di Tommaso non sono in Q.

Ma potrebbero esserci stati testi simili con idee teologiche

analoghe, e forse anche l’autore di Q credeva che i detti di

Gesù fossero la chiave per stabilire il giusto rapporto con

Dio….

... Se così fosse, perdendo Q abbiamo perso un’importante

voce dissonante nel primissimo periodo del primissimo ….

Cristianesimo. Molti studiosi datano Q all’anno 50 dell’era

volgare, prima della stesura dei Vangeli sinottici (il Van-

gelo di Marco venne scritto 10-15 anni dopo e Matteo e Lu-

ca 10-15 anni dopo di questo) e contemporaneamente a

Paolo. Ovviamente Paolo indicava la morte e la resurrezio-

ne di Gesù come via di salvezza (…il sacrificio…).

E l’autore di Q?

 

la gnosi 10

 

Forse indicava come via di salvezza i detti di Gesù?

Molte persone ancora oggi hanno problemi ad accettare

una credenza letterale della resurrezione di Gesù o l’inter-

pretazione tradizionale della sua morte come espiazione

(..il mito…), eppure si definiscono cristiani perché cercano

di seguire gli insegnamenti di Gesù.

Forse alcuni dei primi cristiani sarebbero stati d’accordo

con loro, e forse l’autore di Q era uno di questi.

Se fosse così, le sue idee andarono perdute e il testo venne

sepolto; in parte venne sepolto nei successivi Vangeli di

Matteo e Luca, che trasformarono e quindi negarono il

messaggio di Q inglobandolo in una narrazione (ortodos-

sa secondo un mito ripetuto nella memoria….) sulla mor-

te e sulla resurrezione di Gesù.

Avremmo così un’altra forma di Cristianesimo che andò

perduta finché non venne riscoperto in età moderna….

 (B. Ehrman, I Cristianesimi perduti)

 

 

 

 

 

la gnosi 10

 

LA GNOSI (chi ha scritto la storia?) (9)

Precedente capitolo:

la gnosi 8

Prosegue in:

la gnosi 10

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chi ha scritto

la storia?

Da:

i miei libri

 

 

la gnosi 9

 

 

 

 

 

La scoperta causale di questa raccolta di documenti cristiani

antichi, effettuata nel 1945 in una zona remota dell’Alto Egit-

to, è una storia affascinante di casualità, inettitudine, segretez-

za, ignoranza, acume filologico, omicidio e vendetta cruenta.

Anche ora, dopo che gli studiosi hanno passato anni interi a

cercare di ricostruirla per intero, dei dettagli del ritrovamento

rimangono frammenti.

Sappiamo che la scoperta avvenne nel 1945, circa un anno e

mezzo prima di quella dei Rotoli del Mar Morto, a centinaia

di chilometri di distanza dal deserto della Giudea.

Sette braccianti beduini stavano scavando per trovare il ‘sa-

bakh’, un fertilizzante ricco di nitrato, vicino a un dirupo

chiamato Jabal-al-Tarif, lungo il Nilo, nell’Alto Egitto.

Il fertilizzante era usato per le coltivazioni da loro tenute

vicino al loro piccolo villaggio di al-Qasr, sulla sponda op-

posta del fiume rispetto al paese più grande della zona, Nag-

Hammadi, circa 5 chilometri a sud del Cairo e 60 chilometri

a nord di Luxor e della Valle dei Re.

 

la gnosi 9

 

Che cos’è questa raccolta?

Per rispondere in breve, è la più importante raccolta di scrit-

ti cristiani perduti scoperta in epoca moderna.

Include diversi Vangeli su Gesù mai visti prima da alcuno stu-

dioso occidentale, libri noti nell’antichità ma perduti per qua-

si 1.500 anni.

Il tesoro conteneva 12 volumi rilegati in cuoio, con pagine di un

tredicesimo volume tolte dalla rilegatura originale (ora perduta)

e infilate nella copertina di un altro; le pagine sono di papiro.

I libri in sé sono antologie, collezioni di testi compilati e poi ri-

legati insieme.

 

la gnosi 9

 

Nel complesso questi volumi hanno conservato 52 trattati, ma

sei sono doppioni, cosicché abbiamo un totale di 46 documenti.

Tra questi ci sono Vangeli di personaggi come Filippo, il disce-

polo di Gesù, rivelazioni segrete comunicate al suo discepolo

Giovanni e un altra comunicata a Giacomo; ci sono poi specu-

lazioni mistiche sull’inizio del Regno di Dio e sulla creazione

del mondo, riflessioni metafisiche sul significato dell’esistenza

e sulle gioie della salvezza; ci sono esposizioni di importanti

dottrine e attacchi polemici ad altri cristiani per le loro idee

devianti ed eretiche, soprattutto a cristiani che chiameremmo

proto-ortodossi.

 

la gnosi 9

 

I documenti sono scritti in copto antico, ma ci sono validi mo-

tivi per pensare che vennero originariamente composti in gre-

co.

Per alcuni libri non c’è dubbio: tra i testi, per esempio, c’è un

piccolo estratto dalla ‘Repubblica’ di Platone; per altre opere,

tra cui il ‘Vangelo di Tommaso’, abbiamo frammenti greci che

risalgono a un periodo molto anteriore.

Per alcuni testi i linguisti sono in grado di stabilire che il cop-

to è un copto ‘da traduzione’ piuttosto che…. ‘da composizio-

ne originale’ (in pratica tradotti da qualche fonte….).

I libri rilegati in cuoio, vennero prodotti nella seconda metà

del IV secolo. Lo sappiamo perché i dorsi delle rilegature ven-

nero rinforzati con carta straccia, e alcuni dei fogli utilizzati

contenevano ricevute datate al 341, al 346 e al 348; perciò il

libro deve essere stato confezionato qualche anno dopo il

348.

 

la gnosi 9

 

Ovviamente la data dei libri non è la stessa delle opere in essi

contenute, proprio come la Bibbia che ho sulla scrivania, che

è stata stampata nel 1998 ma contiene opere scritte circa 1900

anni fa.

Lo stesso accade con i testi di Nag-Hammadi, che vennero

scritti molto prima della fine del IV secolo, quando vennero

prodotti i volumi.

I Frammenti greci del ‘Vangelo di Tommaso’ cui ho fatto cen-

no risalgono al II secolo.

Quando vennero composte queste opere?

Ovviamente le date e i luoghi di composizione variano; ma

la maggior parte dei testi sembra essere già esistita al più tar-

di nel II secolo d.C..

Gli studiosi si sono immersi in accesi dibattiti sulle date di al-

cuni di questi libri, discutendo soprattutto se fossero già stati

composti nel I secolo, prima dei libri nel Nuovo Testamento;

ma il più feroce di questi dibattiti è probabilmente quello sul

‘Vangelo di Tommaso’.

 

la gnosi 9

 

Non sappiamo esattamente chi scrisse questi libri o perché

finirono nascosti sotto il dirupo di Jabar-al-Tarif, appena so-

pra l’ansa del Nilo, a nord di Luxor.

Probabilmente non è un caso che a neanche cinque chilome-

tri di distanza sorga un monastero cristiano fondato dal ce-

lebre monaco san Pacomio nel IV secolo: gli studiosi sono in-

clini a pensare che questi libri possano provenire dalla biblio-

teca del monastero, opinione corroborata dal contenuto del-

la carta riutilizzata per rinforzare le rilegature.

…….. Ma perché i monaci possedevano questi libri?

Nell’anno 367 il potente vescovo di Alessandria, Atanasio,

scrisse una lettera a tutte le chiese dell’Egitto sottoposte alla

sua giurisdizione in cui delineava con precisione i confini

delle Sacre Scritture.

Questa fu la prima occasione in cui qualcuno a noi noto ab-

bia indicato che i 27 libri che oggi formano il nostro canone

del Nuovo Testamento, e solo quelli, dovevano essere ritenu-

ti Sacre Scritture. Inoltre Atanasio sottolineò che gli altri libri

‘eretici’ non dovevano essere letti.

 

la gnosi 9

 

E’ possibile che alcuni monaci del monastero di Pacomio vi-

cino a Nag-Hammadi abbiano sentito una certa pressione

dall’alto e abbiano ripulito la loro biblioteca per conformarsi

ai dettami del potente vescovo di Alessandria; ma se è così,

perché scelsero di nascondere i libri invece di bruciarli?

Forse quelli che nascosero i libri nell’orcio di terracotta nel

deserto erano molto affezionati a questi testi e decisero di ce-

larli in un posto sicuro fino al momento in cui sarebbe cam-

biata l’ondata delle preferenze scritturali e quei testi avreb-

bero potuto essere recuperati per la loro biblioteca di testi…

sacri……

(certamente questa fu la prassi adottata prima durante e …

dopo questi importanti documenti storici….)

(prosegue)

 

 

 

 

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